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Salmo svizzero: un inno desueto, forse, ma coriaceo

Persone inonano il salmo svizzero
Saper cantare a memoria l’inno elvetico non è da tutti. Keystone / Alexandra Wey

Non è il più esaltante degli inni nazionali e in pochi lo conoscono a memoria, ma il Salmo svizzero ha superato finora ogni tentativo di sostituzione dopo aver “sconfitto” il vecchio Ci chiami o patria.

Avete presente quando si intona in coro una canzone e c’è chi sbaglia le parole? Anche senza commettere errori è una situazione che si crea facilmente nella Svizzera multilingue quando si canta l’inno patrio.

Se lo si canta. Non è infatti scontato come in altri Paesi. La Nazionale di calcio maschile, o perlomeno buona parte di essa, ad esempio, è nota per tenere le labbra cucite prima delle partite (la cosa non vale per la nazionale femminile che nel recente Campionato europeo ha dimostrato di aver meno remore ad intonare il Salmo svizzero rispetto ai colleghi uomini).

Quando in giugno l’ex calciatore della “Nati” Valon Behrami è stato interpellato al riguardo dalla RSI, ha elencato tre scuse per il suo silenzio: la perplessità degli avversari nel sentire lingue diverse, le sue scarse abilità canore e il fatto di non ricordarsi le parole. 

Il servizio della trasmissione della RSI Falò sul Salmo svizzero:

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Behrami è in buona compagnia in Svizzera. Conoscere a memoria anche solo la prima strofa è una competenza poco diffusa nel Paese. Addirittura l’ex presidente della Confederazione, Moritz Leuenberger, aveva confessato di aver spesso “solo mosso le labbra, non avendo memorizzato i versi ridondanti”.

Se la frase dell’ex consigliere federale fosse riecheggiata a ritroso nel tempo fino al XIX secolo, non avrebbe fatto piacere a Leonhard Widmer, l’autore del testo, e ad Alberik Zwissig, che compose la musica.

Un brano nato da un’amicizia insolita

Widmer e Zwissig provenivano da mondi opposti. Il primo era un progressista liberale-radicale di fede protestante, il secondo era un monaco cistercense. Tuttavia, tra loro nacque un’amicizia. Widmer, oltre a gestire un negozio di spartiti frequentato dal religioso, era anche poeta e nel 1841 chiese a Zwissig di mettere in musica una sua poesia.

Lo spartito del Salmo svizzero
Lo spartito del Salmo svizzero custodito alla Biblioteca nazionale a Berna. Biblioteca nazionale svizzera

Il monaco riciclò un canto liturgico che aveva scritto qualche anno prima. Risultato: il Salmo svizzero (o Quando bionda aurora), un inno che unisce Dio, montagne e luce mattutina in un mix spiritual-patriottico. Il brano piacque, si diffuse spontaneamente e presto le sue note sarebbero riecheggiate durante gli eventi nazionali.

Prima che diventasse inno patrio, però, ci sarebbero voluti decenni.

In primo luogo, perché gli inni (non solo in Svizzera) fino alla diffusione della radio e della televisione erano spesso relegati, appunto, alle sole cerimonie nazionali. Non raggiungendo un vasto pubblico, decretarli ufficialmente fu per molto tempo abbastanza in basso nella lista di priorità delle autorità. Il Consiglio federale sottolineò a più riprese che non fosse di sua competenza imporlo.  

In secondo luogo, il Salmo svizzero aveva un concorrente, anch’esso cantato in occasione delle manifestazioni ufficiali: Ci chiami o patria, del poeta e professore di filosofia Johann Rudolf Wyss.

Dio salvi il Salmo svizzero

I due testi erano molto diversi. Al netto delle traduzioni non letterali dall’originale tedesco, il contenuto della prima strofa del salmo di Widmer/Zwissig si può riassumere così: la bellezza delle Alpi, illuminate dalla luce del mattino, infonde una gran fede e voglia di pregare per la patria.

Italiano:

Quando bionda aurora il mattin c’indora
l’alma mia t’adora re del ciel!
Quando l’alpe già rosseggia
a pregare allor t’atteggia;
in favor del patrio suol,
in favor del patrio suol,
cittadino Dio lo vuol,
cittadino Dio, si Dio lo vuol.

Tedesco:

Trittst im Morgenrot daher,
Seh’ich dich im Strahlenmeer,
Dich, du Hocherhabener, Herrlicher!
Wenn der Alpenfirn sich rötet,
Betet, freie Schweizer, betet!
Eure fromme Seele ahnt
Eure fromme Seele ahnt
Gott im hehren Vaterland,
Gott, den Herrn, im hehren Vaterland.

Francese:

Sur nos monts, quand le soleil
Annonce un brillant réveil,
Et prédit d’un plus beau jour le retour,
Les beautés de la patrie
Parlent à l’âme attendrie;
Au ciel montent plus joyeux
Au ciel montent plus joyeux
Les accents d’un coeur pieux,
Les accents émus d’un coeur pieux.

Romancio:

En l’aurora la damaun ta salida il carstgaun,
spiert etern dominatur, Tutpussent!
Cur ch’ils munts straglischan sura,
ura liber Svizzer, ura.
Mia olma senta ferm,
Mia olma senta ferm Dieu en tschiel,
il bab etern, Dieu en tschiel, il bab etern.

Fonte: Biblioteca nazionale svizzeraCollegamento esterno

Il poema di Wyss invece, è molto più diretto nei contenuti. Una brutale parafrasi potrebbe essere: “Oh, che bello morire combattendo per la patria! Spero mi capiti, non chiedo di meglio”.

A seconda della geopolitica internazionale, a godere di maggior favore era uno o l’altro. Nel 1961, chiamato un’ennesima volta a prendere una decisione in merito, il Governo designò provvisoriamente Quando bionda aurora come inno nazionale. Provvisorietà che sarebbe durata 20 anni, fino al 1° aprile 1981, quando divenne inno de jure.

A far pendere l’ago della bilancia non fu però lo spirito pacifista del tempo, ma soprattutto un problema musicale.

Ci chiami o patria, infatti, era cantato sulle note di God save the King, come d’altronde era il caso degli inni di diversi Paesi (quello del Liechtenstein, ad esempio, ancora oggi è musicalmente identico a quello britannico) e la cosa cominciava a creare non poco imbarazzo durante gli eventi sportivi internazionali.  

Tentativi di cambiamento

Alcuni esponenti delle generazioni più anziane storcono ancora il naso per questa decisione. Non sono però solo i nostalgici di Ci chiami o patria a non apprezzare un granché l’attuale inno nazionale.

Nel 2004, l’allora parlamentare socialista Margret Kiener Nellen presentò una mozione per la modernizzazione dell’inno. Secondo lei era troppo nazionalista, complicato, ampolloso e ostile a donne e stranieri. La mozione fu ritirata per la forte opposizione incontrata in Parlamento.

Una decina di anni dopo, la Società svizzera di utilità pubblica (SSUP) ci riprovò, indicendo un concorso per cambiare le parole che, secondo l’associazione, non erano conosciute dalla popolazione e non rispecchiavano più i valori del Paese.

Coincidenza vuole che l’autore del testo vincitore, annunciato nel settembre 2015, si chiamasse anche lui Widmer di cognome, come l’autore dell’originale. Werner Widmer, argoviese, sostituì i riferimenti religiosi con valori costituzionali moderni, tra cui l’unità nella diversità.

La versione di Werner Widmer con la strofa che unisce tutte e quattro le lingue nazionali:

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Versione italiana: Croce bianca: unità, campo rosso: libertà, simboli di pace e d’equità. Forti se aiutiamo i deboli, servi della libertà, liberi. Siamo aperti al mondo, siamo aperti al sogno : La bandiera svizzera, segno della nostra libertà.

Tutte le versioni sul sito della SSUPCollegamento esterno

Con il testo prescelto e il sostegno di 250 personalità note, tra cui anche ex membri del Consiglio federale (sì, anche Moritz Leuenberger), alla SSUP ormai sarebbe bastato superare solo l’ultimo piccolo scoglio: insegnare e far apprezzare il nuovo inno a tutto il Paese. Fu un clamoroso buco nell’acqua. Dei 2’300 Comuni invitati a promuovere il nuovo inno in occasione della Festa nazionale, solo una ventina risposero all’appello.

Fino al prossimo tentativo di cambiamento – e probabilmente anche oltre – il Salmo svizzero resterà quindi al suo posto. Dopotutto, anche se non è così moderno, si potrebbe dire che rispecchia bene la Svizzera e la sua politica. Prima di tutto perché è lento e in secondo luogo, come molte leggi approvate dal Parlamento, rappresenta la soluzione che genera il minor grado possibile di insoddisfazione collettiva.

++Per approfondire: Il Salmo svizzero, un inno tra fede e identità nazionale

A cura di Daniele Mariani

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