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Quando l’educazione sessuale previene la violenza di genere

Due ragazze delle scuole medie assistono alla lezione di educazione sessuale.
L’educazione sessuale deve comprendere la sessualità in tutte le sue componenti e funzioni: procreativa, relazionale e ludica. © Keystone / Gaetan Bally

L’educazione affettiva e sessuale nelle scuole è uno degli strumenti che la società ha a disposizione per combattere la violenza di genere. Lo afferma la psicologa e psicoterapeuta Paolo Iametti. Ai giovani viene insegnato che una relazione sessuale non è fatta di prevaricazione e violenza e la donna non è un oggetto. Ma l’insegnamento risponde anche alle tante domande che sin da piccoli bimbi e bimbe si pongono rispetto a quell’oggetto misterioso che è l’universo sessuale.

Femminicidi, stupri, violenze sono ormai all’ordine del giorno. Un ruolo importante per cercare di arginare il fenomeno ce l’ha anche la scuola. In particolare, con le lezioni di educazione affettiva e sessuale. Uno degli obiettivi di questo insegnamento è infatti quello di voler responsabilizzare il singolo individuo affinché sia in grado di instaurare relazioni, anche sessuali, paritarie in cui vi siano comprensione reciproca e rispetto per i bisogni e i confini reciproci.

Per la psicologa e psicoterapeuta Paola Iametti, esperta in educazione sessuale e membro scientifico della Commissione per l’educazione affettiva e sessuale nella scuola (CEASCollegamento esterno) “si confonde spesso l’amore con il possesso, il controllo, il sesso. I media e i social media hanno creato una grossa confusione su questi temi”.

“Il porno dà un’idea deformata del sesso: una relazione non è fatta di prevaricazione e violenza, dove le ragazze devono essere disponibili in ogni momento a fare qualsiasi cosa richiesta”.

Paola Iametti, membro scientifico della Commissione per l’educazione affettiva e sessuale nella scuola

Non aiuta neppure la rappresentazione errata del sesso veicolata dalla pornografia che nell’era di internet è entrata prepotentemente nella vita di molti adolescenti: “Il porno dà un’idea deformata del sesso. I ragazzi vedono immagini forti – racconta Paola Iametti – che non riescono ad elaborare perché non hanno tutti gli strumenti. Altre volte, alcune di queste immagini provocano traumi. Gli adolescenti sviluppano a causa dei video pornografici rappresentazioni non reali del sesso: perché una relazione sessuale non è fatta di prevaricazione e violenza, dove le ragazze devono essere disponibili in ogni momento a fare qualsiasi cosa richiesta”.

Come aiutare i giovani e le giovani a districarsi in questo universo? Con un insegnamento che inizi il più presto possibile e che si prolunghi durante tutto il periodo della crescita. Così la pensa ad esempio il Canton Ticino secondo il quale l’educazione sessuale dovrebbe avvenire a tutte le età e iniziare il prima possibile, anche dalla scuola dell’infanzia.

Non è un segreto per nessuno che bambini e adolescenti si interessano alla sessualità a tutte le età. L’educazione sessuale sembra dunque essere anche un loro diritto. E le risposte degli adulti devono essere adeguate rispetto all’età.

Se inizialmente ci si imbatte nelle tipiche domande dei più piccoli (come è arrivato il bebè nella pancia? Perché la mamma ha una vulva e il papà no?), le domande evolvono durante il percorso a ostacoli che porta un bimbo a diventare adulto (cosa significa gay, lesbica? È normale che il mio seno non sia ancora cresciuto? Cosa significa flirtare? Commetto un reato se guardo un porno? Cos’è la violenza di genere?).

Le risposte a queste domande, anche puntuali, possono arrivare come detto anche dalla scuola, attraverso percorsi di educazione sessuale. Ad innescare il bisogno di questo tipo di educazione – scrive l’OMSCollegamento esterno nel suo Standard per l’educazione sessuale in Europa – sono stati vari cambiamenti avvenuti nel corso dei decenni passati. Questi cambiamenti includono la globalizzazione e le migrazioni di nuove fasce di popolazione con diverso vissuto culturale e religioso, la veloce diffusione dei nuovi mezzi di comunicazione, la comparsa e la diffusione dell’AIDS.

E più recentemente dalla crescente preoccupazione per l’abuso sessuale su bambini e adolescenti e dal dilagare del fenomeno della violenza di genere (sofferenze fisiche, sessuali o psicologiche per le donne, incluse le minacce, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, fino al femminicidio).

Ecco perché l’educazione sessuale a scuola è importante. “C’è un equivoco di fondo sull’educazione sessuale, spiega la psicologa e psicoterapeuta Paola Iametti: molti pensano che si faccia lezione di sesso in classe, invece si insegna il rispetto, la conoscenza del proprio corpo, il sapere dire no in certe situazioni. Ma anche riconoscere le emozioni, i sentimenti e saperli esprimere”. Più in generale, si legge nelle raccomandazioni operativeCollegamento esterno del Gruppo di lavoro per l’educazione sessuale nelle scuole ticinesi, l’educazione sessuale deve comprendere la sessualità in tutte le sue componenti e funzioni: procreativa, relazionale e ludica.

Cosa si insegna a scuola?

Durante le lezioni di educazione affettiva e sessuale si impara il rispetto per la diversità sessuale e le differenze di genere. Ma anche ad agire in modo responsabile verso sé stessi e il proprio partner. Avere consapevolezza e conoscenza del corpo umano, imparare a esprimere sentimenti e bisogni, essere in grado di instaurare relazioni paritarie in cui vi siano comprensione reciproca e rispetto per i bisogni e i confini reciproci.

“C’è un equivoco di fondo sull’educazione sessuale: molti pensano che si faccia lezione di sesso in classe, invece si insegna anche riconoscere le emozioni, i sentimenti e saperli esprimere”.

Paola Iametti, membro scientifico della Commissione per l’educazione affettiva e sessuale nella scuola

Paola Iametti sottolinea che “un approccio globale, basato sul concetto di sessualità come un’area del potenziale umano, aiuta a far maturare in bambine e ragazzi quelle competenze che li renderanno capaci di determinare autonomamente la propria sessualità e le proprie relazioni nelle varie fasi dello sviluppo”.

L’istruzione in Svizzera è di competenza cantonale e non federale. In generale, l’educazione sessuale fa parte del mandato della scuola, sebbene non venga impartita in una lezione specificamente dedicata a questa materia. Come chiarisce Paola Iametti “nel panorama cantonale, questo insegnamento è portato avanti generalmente, nelle scuole comunali, dal docente spesso in collaborazione col docente di sostegno pedagogico, e principalmente dal docente di scienze naturali nella scuola media. Non esiste però un programma di educazione sessuale. Solo in terza media (nono anno di scuola a livello federale) si tengono delle lezioni specifiche obbligatorie condotte durante la lezione di scienze”.  

In Ticino è inoltre obbligatorio per i ragazzi di terza o quarte elementare seguire il programma “Sono unico e preziosoCollegamento esterno“, un percorso didattico per la prevenzione degli abusi sessuali sui bambini e del maltrattamento infantile organizzato dall’ASPI, la Fondazione della Svizzera italiana per l’aiuto, il sostegno e la protezione dell’infanzia. “Per altri percorsi formativi in ambito di educazione affettiva e sessuale – aggiunge Paola Iametti – dipende dal singolo istituto scolastico o dall’iniziativa del singolo docente”.

Chi insegna?

“La competenza degli educatori e delle educatrici – sottolinea Paola Iametti – è una questione assolutamente centrale nell’educazione affettiva e sessuale”. È importante sottolineare che non è necessario che gli insegnanti di educazione sessuale siano dei professionisti di alto livello. “Idealmente – spiega ancora Paola Iametti – gli insegnanti di educazione affettiva e sessuale, in terza media i docenti di scienze, ricevono una formazione specifica sulla sessualità”.

“Inoltre – aggiunge sempre Paola Iametti – è possibile coinvolgere delle specialiste e degli specialisti in salute sessuale Collegamento esternoper aiutarli a preparare determinati percorsi, affrontare tematiche o dimensioni specifiche dell’educazione sessuale con gli allievi, per momenti di formazione dedicati anche ai genitori”.


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