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Frontalieri italiani in Svizzera: un esposto all’OIL contro le discriminazioni

Il valico doganale di Chiasso.
Keystone / Gaetan Bally

L'Unione frontalieri italiani in Svizzera (Ufis), fondata nell'agosto del 2025, ha presentato un esposto formale all'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) per tutelare i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori frontalieri italiani attivi in Svizzera. L'associazione denuncia un progressivo deterioramento delle condizioni normative. 

La presidente dell’UfisCollegamento esterno, Lisa Molteni, spiega così la decisione di rivolgersi all’OILCollegamento esterno: “L’esposto nasce dalla constatazione di un peggioramento generale delle condizioni di lavoro dei frontalieri: in particolare penso alla tassa sulla salute, alla discriminazione tra vecchi e nuovi frontalieri, alle incertezze sul telelavoro. Abbiamo così deciso di agire perché non si tratta di episodi isolati, ma di una prassi consolidata”. 

Lisa Molteni
Lisa Molteni Ufis

L’azione dell’Ufis si inserisce in una “strategia multilivello”, come la definisce la stessa Molteni, che ha già visto iniziative presso la Corte dei Conti italiana e la Commissione Europea. A tal proposito, Molteni chiarisce la distinzione tra i ricorsi: “A livello di Commissione europea denunciamo una violazione degli accordi bilaterali tra Svizzera e UE e del diritto dell’Unione. All’OIL abbiamo denunciato la violazione delle Convenzioni internazionali sul lavoroCollegamento esterno e dei diritti fondamentali dei frontalieri da parte dell’Italia e del Canton Ticino. “L’obiettivo – racconta Molteni – è spingere Governi e Parlamenti a correggere le storture“, attraverso un percorso tecnico”. 

L’Unione Frontalieri Italiani in Svizzera (Ufis) è un’associazione sindacale di recente costituzione, nata dalla volontà di un gruppo di lavoratori frontalieri di creare un soggetto di rappresentanza autentico e vicino ai loro bisogni. L’Ufis, come si può leggere sul sito del sindacato, si distingue per essere composta interamente da frontalieri, garantendo così una prospettiva interna e concreta sulle problematiche da affrontare.

La missione del sindacato è chiara: rappresentare e tutelare gli interessi collettivi dei lavoratori frontalieri in ogni sede istituzionale, sia in Italia che in Svizzera e in Europa.

L’esposto presentato dall’Ufis articola una serie di criticità che, sommate, descrivono un progressivo deterioramento delle condizioni normative e sociali dei frontalieri. Vediamole. 

La tassa sulla salute, una doppia imposizione

Tra le principali problematiche sollevate emerge innanzitutto la cosiddetta “tassa sulla salute“. Introdotta come emendamento alla legge di bilancio 2024, la norma prevede un prelievo a carico dei “vecchi frontalieri” (coloro che lavoravano in Svizzera prima del 17 luglio 2023) con un’aliquota variabile dal 3% al 6% del reddito netto, per un importo massimo di 200 euro mensili. L’obiettivo dichiarato è finanziare un “bonus” per il personale sanitario degli ospedali di confine e arginare così la loro sua fuga verso il Ticino, dove gli stipendi sono più competitivi.  

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La legge è rimasta inapplicata. La Svizzera, infatti, si è rifiutata di fornire i dati fiscali dei lavoratori, non esistendo una base legale per tale trasmissione. Per aggirare l’ostacolo, la regione Lombardia vuole introdurre l’obbligo di autocertificazione, spostando di fatto l’onere sui singoli frontalieri. La presidente Molteni descrive la situazione come “un cantiere infinito. Nel frattempo, i frontalieri non sanno nulla e vivono nell’incertezza”. L’associazione sindacale, aggiunge Molteni, “contesta la misura alla radice, definendola una forma di doppia imposizione, poiché i frontalieri contribuiscono già al sistema italiano attraverso i ristorni fiscali, ovvero il 40% delle imposte alla fonte che la Svizzera riversa all’Italia”. 

“La distinzione tra vecchi e nuovi frontalieri è discriminatoria”

Un altro punto critico riguarda la presunta discriminazione tra “vecchi” e “nuovi” frontalieri, generata dalla creazione di un doppio regime fiscale e previdenziale previsto dal nuovo accordo sui frontalieri. La distinzione si basa sulla data di inizio dell’attività lavorativa in Svizzera: chi ha cominciato prima del 17 luglio 2023 (“vecchio frontaliere”) continua a essere tassato esclusivamente in Svizzera, mentre chi ha iniziato dopo (“nuovo frontaliere”) è soggetto a una doppia imposizione, con il pagamento dell’IRPEF in Italia e la detrazione di quanto già versato alla fonte in Svizzera. Questa disparità si traduce in significative differenze salariali a parità di mansione. Ad esempio, un infermiere “nuovo frontaliere” può arrivare a guadagnare oltre 10’000 franchi in meno all’anno rispetto a un collega “vecchio frontaliere”.  

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Sebbene l’accordo sia stato firmato dai due Governi (dopo difficili negoziati durati anni), Molteni contesta la sua equità: “Che sia stato firmato dai due Governi non significa che sia giusto e corretto. Questo accordo così come interpretato e attuato viola il principio di uguaglianza e di non discriminazione. Se un trattato produce effetti discriminatori va corretto”.  

Le incertezze del telelavoro

La questione del telelavoro rappresenta un’ulteriore fonte di incertezza. L’accordo ratificato nel maggio 2025 consente ai frontalieri di lavorare da casa fino al 25% del proprio tempo senza perdere lo status fiscale e previdenziale. Tuttavia, secondo Molteni, persistono “zone grigie e difficoltà di coordinamento tra fisco, previdenza e assicurazioni, ad esempio in caso di infortunio”. Questa incertezza, spiega ancora Molteni, “porta i frontalieri a rinunciare al telelavoro per non rischiare di perdere il loro status”. Il superamento della soglia del 25% comporterebbe infatti l’assoggettamento al sistema previdenziale italiano, con la conseguente perdita dei benefici legati allo status di frontaliere. L’obiettivo del sindacato è chiaro: “Vogliamo con il telelavoro mantenere comunque lo status frontaliere e avere la piena copertura assicurativa”. 

Utilizzo dei ristorni poco trasparenti

L’esposto solleva inoltre la questione dell’utilizzo dei ristorni fiscali destinati ai comuni di frontiera. L’Ufis ne lamenta la gestione poco trasparente. “I ristorni sono soldi che la Svizzera ritorna all’Italia e non devono essere utilizzati per tappare i buchi di bilancio”, afferma Molteni, aggiungendo: “Non diciamo che i comuni li usino male, ma vogliamo trasparenza nel loro utilizzo. Oggi manca una rendicontazione verificabile”. 

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Le richieste all’OIL

Con il suo esposto, l’Ufis non si limita a una semplice denuncia, ma avanza richieste precise. L’associazione chiede all’OIL di aprire una procedura di osservazione formale e di avviare un monitoraggio attento nei confronti dei Governi italiano e svizzero. “L’obiettivo finale è la convocazione di un tavolo tripartito sul frontalierato che includa rappresentanti dei Governi di Italia e Svizzera, dell’OIL e delle parti sociali, al quale l’associazione vuole essere presente, per affrontare in modo strutturato e coordinato le problematiche del lavoro transfrontaliero”. 

L’Organizzazione Internazionale del Lavoro, fondata nel 1919 e integrata nell’ONU, ha il mandato di promuovere la giustizia sociale e i diritti umani e del lavoro riconosciuti a livello internazionale. Attraverso l’adozione di Convenzioni vincolanti per gli Stati membri e un sistema di controllo sulla loro applicazione, l’OIL agisce come un organismo terzo in grado di valutare la conformità delle normative nazionali agli standard globali. Il ricorso dell’Ufis mira proprio a innescare questo meccanismo di vigilanza. 

Riguardo alle tempistiche, la presidente è realista: “All’OIL hanno procedure ben definite. Si misurano in mesi o meglio in anni. Nel breve periodo ci aspettiamo una presa di atto formale. Mentre a medio termine ci aspettiamo un monitoraggio e perché no un tavolo tripartito”. 

Se l’OIL dovesse accogliere la richiesta e convocare un tavolo tripartito, l’Ufis porterebbe come priorità negoziali lo stop alla tassa sulla salute e il riconoscimento pieno dell’assicurazione svizzera. “Il superamento della discriminazione tra vecchi e nuovi frontalieri – aggiunge Molteni – rappresenta per il sindacato la conditio sine qua non di qualsiasi negoziato”. Tra le altre richieste figurano regole chiare e garantiste sul telelavoro, con standard internazionali minimi, il pieno riconoscimento dei contributi esteri per la disoccupazione e, infine, la trasparenza e tracciabilità dell’utilizzo dei ristorni, affinché questi fondi tornino effettivamente ai territori di confine. 

Per quanto riguarda il Canton Ticino, esplicitamente citato nell’esposto, Molteni spiega: “Abbiamo citato il Canton Ticino perché alcune prassi cantonali contribuiscono a creare o aggravare situazioni discriminatorie”. L’Ufis ha informato le autorità ticinesi e si dichiara pronta a un confronto tecnico su tutti i punti sollevati. Se l’OIL aprirà un tavolo tripartito, racconta Molteni, “sarà fondamentale che il Ticino sia parte attiva”.  

L’Ufis ribadisce la propria determinazione a difendere i diritti dei frontalieri su tutti i livelli. La palla passa ora all’Organizzazione internazionale del lavoro.  

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