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Frontalieri e telelavoro, ratificato l’accordo tra Svizzera e Italia 

donna seduta a un tavolo con computer e bambina seduta per terra
Per i lavoratori e le lavoratrici frontalieri il lavoro a domicilio è ora regolamentato in via definitiva. Keystone/Julian Stratenschulte

Dopo un lungo iter, la possibilità per le lavoratrici e i lavoratori italiani di lavorare fino al 25% del tempo da casa senza perdere lo status di frontaliere è stata definitivamente approvata. 

Nella tarda serata di lunedì 19 maggio, a Roma, il Consiglio dei ministri ha approvato un disegno di legge che ratifica il protocollo di modifica dell’accordo tra Italia e Svizzera relativo all’imposizione delle lavoratrici e dei lavoratori frontalieri. Questo accordo, del 23 dicembre 2020, concerne l’eliminazione delle doppie imposizioni sui salari, gli stipendi e le altre remunerazioni ricevute da chi lavora in Svizzera vivendo in Italia. 

Concretamente, l’accordo è stato modificato con l’aggiunta della legge del 13 giugno 2023 che consente alle lavoratrici e ai lavoratori frontalieri di svolgere una parte dell’attività dipendente (fino al 25%) in telelavoro dal proprio domicilio nello Stato di residenza, senza che ciò comporti alcuna modifica dello status di frontaliere.  

Circa un anno fa, la consigliera federale svizzera Karin Keller-Sutter e il ministro italiano dell’economia e delle finanze Giancarlo Giorgetti avevano firmato un protocollo di modifica dell’accordo che prevedeva la possibilità retroattiva – dal gennaio 2024 – per chi fa frontalierato di svolgere fino a un quarto del tempo di lavoro da casa, quindi dall’Italia, senza però modificare il Paese di tassazione, ossia la Svizzera. 

Come e perché si è arrivati a questa decisione 

Nel corso della pandemia di Covid-19 che si è diffusa globalmente cinque anni fa, le abitudini lavorative hanno subito ovunque drastici cambiamenti. L’unica maniera per continuare ad essere operativi era farlo dal proprio domicilio. Ma, se il domicilio risulta in un altro Stato, ci potrebbero essere delle complicazioni giuridiche. Se, di fatto, si sta lavorando in Italia, è in Italia che si dovrebbero pagare le tasse, no? 

Per chiarire questa situazione, nel giugno del 2020, Italia e Svizzera hanno stipulato un accordo amichevole in cui si definivano le disposizioni per lo svolgimento delle modalità di lavoro da remoto per le lavoratrici e i lavoratori transfrontalieri, con un tacito rinnovo a cadenza mensile. 

Nel dicembre 2022, la Segreteria di Stato svizzera per le questioni finanziarie internazionali (SFICollegamento esterno) ha comunicato che questa intesa non sarebbe più stata valida se non fino al 31 gennaio 2023. Alla fine di aprile 2023, i due Paesi hanno infine trovato un accordo per prolungare il telelavoro, in via transitoria, fino al 30 giugno dello stesso anno. 

Una necessità crescente 

La pandemia di coronavirus ha stravolto molte abitudini ma, in alcuni casi, come è quello del telelavoro, se ne sono tratti, in parte, anche effetti positivi. Sempre più realtà aziendali hanno quindi introdotto questa pratica in maniera permanente. Oltre a conciliare meglio lavoro e famiglia e risparmiare il tempo del viaggio, il lavoro da casa consente anche alle società di economizzare in termini di spazi e attrezzature.  

Aggiungendo a tutte queste considerazioni il fatto che i lavoratori e le lavoratrici frontaliere italiane con un impiego in Svizzera sono in costante aumento, i due Paesi sono stati in un certo senso costretti a trovare una soluzione che rendesse questa situazione legalmente e fiscalmente legittima. Ecco, quindi, che si è arrivati, un anno fa, alla firma tra Keller-Sutter e Giorgetti, ratificata lunedì dal Governo italiano. 

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Cosa succede se si supera il 25% del tempo lavorativo 

In caso di superamento della soglia del 25% del proprio tempo di lavoro a domicilio, l’autorità previdenziale italiana, cioè l’Istituto nazionale della previdenza sociale INPS, acquisisce la facoltà di richiedere all’azienda svizzera l’incasso del relativo contributo in Italia. 

L’esempio francese 

Un accordo simile è stato firmato da Berna anche con Parigi. Anche in questo caso, il telelavoro transfrontaliero è stato oggetto di una regolamentazione specifica che permette a lavoratrici e lavoratori residenti in Francia e impiegati in Svizzera di svolgere parte della loro attività da remoto, pur continuando a essere di fatto frontalieri.  

A differenza del caso italiano, l’intesa francese prevede un limite massimo che arriva al 40% del tempo lavorativo totale. Anche in questo caso è previsto uno scambio automatico e reciproco di dati salariali, indispensabile per stabilire con precisione i giorni di lavoro svolti in ciascun Paese e assicurare un’imposizione corretta.   

Telelavoro, parte integrante del mercato elvetico 

Il lavoro da casa, come dicevamo, diventa sempre di più un’abitudine e una condizione richiesta – almeno in forma parziale – da chi è alla ricerca di un nuovo impiego. E questo malgrado la pandemia sia oramai alle nostre spalle da un pezzo. Un recente studio mostra infatti che in Svizzera non ci sono mai stati tanti annunci di lavoro con home office quanti ora. 

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Un uomo di spalle che lavora da casa.

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Telelavoro parte integrante del mercato dell’impiego in Svizzera

Questo contenuto è stato pubblicato al Il telelavoro, lanciato dall’epidemia di coronavirus, negli ultimi tempi sembrava subire un rallentamento, con diverse aziende che hanno richiamato i dipendenti negli uffici. Ma non è così.

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Concretamente, alla fine del primo trimestre di quest’anno, nel 13,9% delle offerte di lavoro pubblicate veniva proposta tale opzione, almeno parzialmente. All’inizio dell’anno la quota era del 12,8%. È quanto mostra una ricerca effettuata dalla piattaforma Indeed, che parla di nuovo record dal 2019, anno in cui sono cominciate le rilevazioni. 

Nel paragone internazionale la Confederazione si trova in alto nella classifica, davanti a Stati Uniti (7,9%), Francia (12,3%) e Italia (10,5%). Dietro però ad Austria (16,5%), Regno Unito (15,9%), Germania (15,2%) e Canada (14,1%).  

Anche se non tutti i settori si prestano all’home office, come ad esempio quello delle cure (4%), la vendita al dettaglio o i lavori manuali (circa il 6%), il telelavoro non è un fenomeno passeggero, ma è diventato parte integrante del mercato dell’impiego. 

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