La televisione svizzera per l’Italia

Romeo e Giulietta potranno tornare a baciarsi sul palco?

Platea inquadrata dall alto, spettatori
In Svizzera diverse sale (nella foto il Teatro cittadino di Berna) hanno potuto riaprire i battenti il 6 giugno. Le regole di distanza e di igiene, anche se più flessibili di quelle imposte in Italia, mettono comunque in difficoltà i professionisti del settore. Keystone / Peter Klaunzer

Il teatro, sia in Svizzera che in Italia, è stato molto colpito dalla pandemia di coronavirus. Il settore ricomincia a mettersi in moto nei due Paesi, che hanno optato per approcci diversi ma restano accomunati dall’incertezza sul futuro.

Il contatto con il pubblico e tra gli attori sul palco, la vicinanza gli applausi, la convivialità. Andare a teatro è un’esperienza che trascende il semplice assistere, un’esperienza che nella grande maggioranza dei casi è incompatibile con le misure introdotte per frenare la diffusione del nuovo coronavirus.

E così per mesi i teatri sono state scatole vuote. Ora, con il picco della pandemia alle spalle, sia Svizzera che Italia hanno deciso che è il momento di ripartire. Nella Confederazione, il settore si sta rimettendo lentamente in moto già dal 6 giugno, mentre il turno dell’Italia arriverà a partire dal 15.

“Sarà una falsa ripartenza”, dice Carlotta Viscovo, attrice e Coordinatrice Nazionale Sezione attori del Sindacato lavoratori della comunicazione della CGILCollegamento esterno.

Secondo le norme del comitato tecnico scientifico italiano, infatti, artisti e lavoratori dello spettacolo dovranno sostanzialmente seguire le stesse regole previste per tutti: rispettare il metro di distanza, indossare mascherine, misurare la temperatura corporea e igienizzare e arieggiare con regolarità gli ambienti chiusi. Ci potranno essere al massimo duecento spettatori al chiuso, mille all’aperto.

“Non vedremo spettacoli con grandi cast, perché la scena sarà accessibile a un massimo di quattro attori per rispettare le misure”, spiega Carlotta Viscovo. “Saranno impiegate molte meno persone, verranno venduti soprattutto monologhi. Romeo e Giulietta non lo vedremo per un bel po’.”

Responsabilità dei singoli

In Svizzera, la situazione potrebbe essere differente, ritiene invece Cristina Galbiati, artista e membro dell’associazione t. – professionisti dello spettacolo SvizzeraCollegamento esterno.

Continuando sulla linea spesso seguita durante l’emergenza, le autorità elvetiche hanno deciso di lasciare molto spazio alla responsabilità delle singole attività.

“In Svizzera abbiamo sviluppato dei piani di protezione. Il più articolato è quello dell’Unione dei teatri svizzeri e l’associazione t. ne ha adattata una parte, soprattutto per rispondere alle esigenze del teatro indipendente”, spiega Cristina Galbiati.  “La logica in Svizzera è che ci sono delle linee guida, ma ogni teatro può adattarle a seconda della sua particolare situazione. È una richiesta di responsabilità a teatri e compagnie, ma è più flessibile rispetto alle normative italiane”.

Questa libertà crea però anche insicurezza. L’associazione t. ha avuto contatti con molti teatri che ritenevano che misure più chiare e standardizzate avrebbero garantito più tranquillità.

Un’opinione condivisa da Carlotta Viscovo, secondo la quale la riapertura è prematura. “Cosa succede se ci si ammala di coronavirus sul posto di lavoro? Prima di tutto, deve essere garantita la sicurezza del lavoratore.”

Secondo Cristina Galbiati, tuttavia, la soluzione elvetica resta comunque buona. “Nessuno conosce la situazione specifica di un teatro o di una compagnia come il teatro stesso”, dice, sottolineando che sono tutti coscienti del fatto che la crisi non è passata. Le misure da seguire, anche se adattabili, sono severe e mettono in difficoltà le sale piccole, le compagnie con molte persone e quelle dove c’è molto contatto fisico, come le compagnie di danza.

“La responsabilità è da parte del teatro, ma anche da parte del pubblico”, continua Cristina Galbiati, “è una cosa che si fa in collaborazione. Il teatro stila delle misure e sta al pubblico accettarle o meno. L’importante è agire sempre nel rispetto della propria salute e quella degli altri. Quindi forse ‘solidarietà’ è la parola chiave di questa situazione”.

Aiuti insufficienti

Una certa “solidarietà” è arrivata al settore anche da parte delle autorità, sia in Svizzera che in Italia. Ma questo non basta a smorzare le preoccupazioni dei professionisti.

La Confederazione ha stanziato un credito di 280 milioni di franchi per il settore della cultura. Una misura federale che coinvolge anche i cantoni e che sta cominciando in questo periodo a essere percepita.

“La sensazione sulla carta è che siano tanti soldi, ma vista l’entità di quanto successo non saranno sufficienti. Le associazioni si stanno muovendo per chiedere ulteriori aiuti”, dice Cristina Galbiati.

La crisi ha infatti messo in luce il fatto che il mondo del teatro non è composto solo da artisti e organizzatori. Ci sono i tecnici, le maestranze e tutte sono strettamente legate. Senza spettacoli, sono moltissime le categorie che non possono lavorare.

Ad essere particolarmente colpiti sono gli indipendenti e chi aveva un contratto a tempo determinato.

In Italia, “quando è iniziata l’emergenza i contratti a tempo determinato di artisti e tecnici sono stati interrotti bruscamente”, spiega Carlotta Viscovo. “Nel teatro esiste un contratto collettivo che prevede le cause di forza maggiore, ma è stato interpretato diversamente da imprese e sindacati. Gli attori, nel migliore dei casi, hanno avuto 12 giorni di minima sindacale e poi sono stati mandati a casa, perdendo diverse migliaia di euro”.

Ci sono stati aiuti da parte del governo italiano, ma inizialmente il decreto cura Italia ha escluso moltissimi professionisti (formatori, tecnici dell’audiovisivo, chi ha lavorato all’estero) perché per percepirli serviva il parametro delle 30 giornate lavorative, calcolate tramite i versamenti nella cassa Enpals, la cassa previdenza per i lavoratori dello spettacolo.

Il decreto successivo ha abbassato a sette il numero di giornate richieste. Ora che però si può ripartire, ci si chiede cosa succederà.

“Pare che questa riapertura sia stata annunciata per poter dire che il settore stia ripartendo e che quindi non è più necessario aiutarlo”, sottolinea Carlotta Viscovo. “Cosa falsa perché, con le norme da rispettare, saranno pochissimi quelli che potranno ricominciare a lavorare. E non si sa come potranno mantenersi senza un aiuto del governo”.

Ripartire non sarà dunque facile. La ferita che la pandemia ha inflitto al settore della cultura è profonda e avrà conseguenze anche sul medio e lungo termine. D’altro canto, dopo mesi di chiusura, la voglia del pubblico e dei professionisti dello spettacolo di tornare incontrarsi, anche se in modo diverso, è tanta. Per superare gli ostacoli, dopotutto, serve anche creatività. E dove trovarla, se non a teatro?

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