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Un miliardo all’UE ma a una condizione

La Camera alta del Parlamento svizzero ha approvato giovedì il versamento di 1,3 miliardi di franchi a favore degli Stati dell’Europa dell’est e del Sud.

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Il versamento di 1,3 miliardi di franchi all’UE per ridurre le disparità economiche e sociali è nell’interesse della Confederazione. Ne è convinto il Consiglio degli Stati che ha approvato mercoledì due decreti federali.

Tuttavia il versamento è sottoposto a una condizione, ossia che l’UE non adotti misure discriminatorie nei confronti della Svizzera. Sul dossier deve ora pronunciarsi il Consiglio nazionale, che se ne occuperà in marzo.

Nel corso del dibattito, si è discusso a lungo se fosse il caso di legare politicamente il cosiddetto miliardo di coesione a precise condizioni.

In fondo è proprio quello che ha fatto Bruxelles, hanno sostenuto diversi oratori in aula, quando ha messo in relazione il riconoscimento sine die della Borsa svizzera – ora solo per quest’anno – a progressi nei negoziati sull’accordo istituzionale tra la Svizzera e l’Ue.

Christian Levrat (Partito socialista) ha invitato il plenum ad agire razionalmente e a non sopravvalutare l’efficacia politica del miliardo di coesione per il miglioramento delle nostre relazioni con l’Ue. Per il “senatore”, il contributo elvetico non è un obolo all’Europa, bensì un investimento nel nostro interesse volto a stabilizzare il Continente europeo a livello sia sociale che politico. Dello stesso parere il suo compagno di partito Daniel Jositsch, che ha invitato i colleghi a non limitare eccessivamente il margine di manovra del Consiglio federale nelle due relazioni di politica estera con Bruxelles, introducendo nuove “linee rosse”.

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Questo appello è in parte stato raccolto dal plenum. Il liberale radicale Philipp Müller ha infatti ritirato la sua proposta di minoranza che avrebbe voluto condizionare il contributo di coesione a “chiari segni di miglioramento nelle relazioni bilaterali con l’Europa e se quest’ultima non adotta discriminazioni”.

A dare fastidio alla maggioranza, come anche al relatore della commissione Filippo Lombardi (Partito popolare democratico, PPD), era la prima parte della proposta, giudicata vaga giuridicamente e politicamente delicata. Diverso invece il caso per il concetto di discriminazione, conosciuto a livello di diritto internazionale. La Svizzera, constatata una discriminazione (come viene considerato dal governo il mancato riconoscimento della Borsa elvetica) potrebbe anche denunciare l’UE all’Organizzazione mondiale del commercio.

“Fair-play”

Per questo motivo, il plenum ha optato per la proposta di Ruedi Noser (Partito liberale radicale) in cui si parla solo di “misure discriminatorie nei confronti della Svizzera”. Pur non mettendo in dubbio l’importanza del contributo elvetico allo sviluppo dei paesi dell’Est e a favore di Paesi come Italia e Grecia per far fronte ai flussi migrazioni, diversi esponenti PLR e PPD hanno infine votato, con un occhio rivolto anche al loro elettorato, a favore della versione suggerita dal “senatore” zurighese.

“Il minimo che si possa pretendere tra partner negoziali è che ci sia fair-play, insomma che non ci si discrimini a vicenda”, ha detto Pirmin Bischof (PPD). Per lo stesso Noser, visto il clima teso tra Berna e Bruxelles, è importante inviare un segnale di distensione all’Ue, evitando eccessi.

“Vogliamo aiutare ma qualcosa deve tornarci indietro”, ha affermato dal canto suo Peter Föhn (Unione democratica di centro) , secondo il quale non è ammissibile “che la parte che riceve ci tratti con disprezzo”. “Ciò che vale nelle relazioni tra privati, deve valere anche nelle relazioni tra Stati”, ha spiegato il consigliere agli Stati svittese.

Nel suo intervento, il consigliere federale Ignazio Cassis si è detto sollevato dal fatto che non ci fosse un’opposizione di principio al contributo elvetico a favore dell’Ue. Si tratta di un investimento nella sicurezza e nella prosperità dell’Europa, ha insistito il ministro degli esteri ticinese.

Soprattutto ad est

Stando ai piani dell’esecutivo, una parte consistente dell’importo di 1,302 miliardi di franchi diluito su 10 anni (circa 130 milioni l’anno) dovrebbe andare a Paesi dell’Europa dell’Est quali Polonia e Romania, seguite da Slovacchia, Repubblica Ceca, Ungheria e Bulgaria.

Più nei particolari, 1,0469 miliardi sono destinati ai Paesi dell’Ue 13 quale contributo di coesione. Per quanto riguarda la somma destinata alla coesione, fino a 200 milioni sono previsti per la formazione professionale, un settore nel quale la Confederazione può vantare una lunga esperienza.

190 milioni sono attribuiti alla migrazione (per l’integrazione dei migranti nella società e nel mondo del lavoro, e anche per rispondere a situazioni di urgenza, come ad esempio un forte afflusso di migranti) e i rimanenti 65,1 milioni concernono le spese a carico dell’amministrazione federale (costi salariali in Svizzera e sul posto, spese legate all’uso di esperti, comunicazione, ecc). Il Consiglio federale calcola in 40 unità i posti di lavoro necessari per la realizzazione di questo programma decennale.

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