Tassa sulla salute, i sindacati verso la Corte costituzionale
I sindacati italiani e svizzeri, dopo un lungo dialogo con le istituzioni, che definiscono "in stallo", hanno annunciato di essere pronti a portare la questione della tassa sulla salute davanti alla Corte costituzionale italiana per farla dichiarare illegittima.
La vertenza sulla tassa sulla salute per le lavoratrici e i lavoratori frontalieri si arricchisce di un nuovo capitolo. La volontà di rivolgersi alla Corte da parte dei sindacati (Cgil, Cisl e Uil nonché sul fronte elvetico Unia, Ocst, Syna, Vpod e Syndicom) segna un inasprimento nella battaglia contro un provvedimento che, a quasi due anni dalla sua introduzione, non ha ancora trovato una concreta applicazione.
Introdotta con la legge di bilancio del 2024Collegamento esterno, la tassa sulla salute è un contributo obbligatorio che peserebbe sulle spalle dei “vecchi frontalieri”, ovvero su coloro che lavoravano in Svizzera prima dell’entrata in vigore del nuovo accordo fiscale tra i due Paesi, il 17 luglio 2023. La norma prevede un prelievo compreso tra il 3% e il 6% del reddito netto annuo (la Lombardia ha comunicato che applicherebbe la tariffa minima), con un tetto minimo di 30 euro e massimo di 200 euro mensili, da versare al Servizio Sanitario Nazionale (SSN) italiano.
I vecchi frontalieri, grazie a un accordo tra la Confederazione, possono esercitare il diritto di opzione per restare assoggettati al Servizio sanitario nazionale italiano (finanziato dall’IRPEF, ovvero dall’imposta sul reddito). La grandissima maggioranza dei frontalieri opta per questa soluzione. Pochi, pochissimi optano per l’assicurazione privata svizzera (a pagamento).
Vi è dunque un chiaro problema di fondo: i frontalieri che restano assoggettati al servizio nazionale italiano di fatto utilizzano un servizio senza contribuire al suo finanziamento. Questo pone un serio problema di parità di trattamento con tutti i lavoratori in Italia.
Secondo i vecchi frontalieri, i ristorni fiscali – pari al 40% delle imposte pagate in Svizzera – rappresentano un contributo all’erario italiano. Roma, per contro, non li equipara all’IRPEF.
L’obiettivo dichiarato dal Governo italiano al momento dell’introduzione della misura era duplice: da un lato, con la costituzione di un welfare di frontiera, finanziare gli aumenti salariali per il personale sanitario nelle regioni di confine, nel tentativo di arginare l’esodo di professionisti verso la più remunerativa Svizzera. Dall’altro, far contribuire al Sistema sanitario nazionale anche i frontalieri che, pur beneficiandone, non sono soggetti a tassazione diretta in Italia.
Perché la tassa non è mai partita
Nonostante l’entrata in vigore teorica nel 2024, la tassa sulla salute è rimasta lettera morta per una serie di ostacoli. Il principale è la mancanza dei decreti attuativi da parte dei ministeri competenti (Salute ed Economia), senza i quali le Regioni di confine (Lombardia, Piemonte, Valle d’Aosta e Alto Adige) non possono procedere alla riscossione. A questo si aggiunge il rifiuto della Svizzera di fornire all’Italia i dati anagrafici e reddituali dei “vecchi frontalieri”, informazione indispensabile per identificare i soggetti interessati. Berna, infatti, ritiene che il nuovo accordo fiscale non preveda questo tipo di scambio di informazioni e dunque mancherebbe una base legale chiara.
Di fronte a questo stallo, la Lombardia ha ipotizzato la via dell’autocertificazione, con i lavoratori e lavoratrici frontaliere che dovrebbero dichiarare spontaneamente i propri redditi. Una soluzione che presenta evidenti complessità e che non ha ancora visto la luce.
Solo la Lombardia ci prova
Il fronte delle Regioni di confine appare tutt’altro che compatto. La Lombardia, da cui proviene oltre il 70% degli oltre 90’000 frontalieri italiani attivi in Svizzera, è l’unica ad aver manifestato fin dall’inizio interesse per l’applicazione della tassa sulla salute, avviando un tavolo di confronto con i sindacatiCollegamento esterno, seppur con risultati limitati. Secondo una stima, nelle casse milanesi potrebbero entrare circa 80 milioni di euro all’anno.
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Le conseguenze del nuovo accordo sui frontalieri
Il Piemonte, che conta circa il 15% dei frontalieri, ha invece dichiarato che non introdurrà la misura se non obbligato dallo Stato, ritenendola irrilevante per i conti della sanità regionale e sottolineando come l’esodo di personale sanitario sia marginale rispetto alla situazione lombarda. Dalla Valle d’Aosta (circa 700 frontalieri) e dall’Alto Adige (circa 1’000) non sono giunte finora posizioni ufficiali.
Cosa significa rivolgersi alla Corte costituzionale
La decisione dei sindacati di sollevare la questione davanti alla Corte costituzionale è significativa, ma il sistema italiano prevede modalità di accesso molto limitate. Solo lo Stato e le Regioni possono rivolgersi direttamente alla Corte, quando ritengono che una legge statale o regionale invada le rispettive competenze.
I sindacati, come qualsiasi altro soggetto privato (cittadini, associazioni, imprese), devono quindi seguire la cosiddetta “via incidentale”: intentare una causa presso un tribunale ordinario e chiedere al giudice di sollevare la questione di costituzionalità davanti alla Corte.
“Tassa incostituzionale”
Secondo i sindacati, la tassa sulla salute presenta diversi profili di incostituzionalità. In primo luogo, violerebbe il principio di capacità contributiva (sancito dall’articolo 53Collegamento esterno della Costituzione italiana) e determinerebbe una forma di doppia imposizione, poiché i frontalieri già contribuiscono alle casse pubbliche italiane attraverso i ristorni fiscali, pari al 40% delle imposte versate in Svizzera.
In secondo luogo, la misura sarebbe in contrasto con il nuovo accordo internazionale sulla tassazione dei frontalieri, che attribuisce alla sola Svizzera il diritto di tassare i “vecchi frontalieri”. La Costituzione italiana, infatti, impone che le norme interne rispettino gli obblighi derivanti da accordi internazionali.
Se la Corte costituzionale dovesse accogliere queste argomentazioni e dichiarare la norma illegittima, la tassa sulla salute verrebbe definitivamente eliminata dall’ordinamento.
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