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Nove anni al terrorista di Hong Kong in base alla legge cinese

Un attivista pro-democrazia è stato condannato a 9 anni di carcere a Hong Kong per atti di protesta. Il suo è il primo caso di applicazione della legge sulla sicurezza nazionale imposta da Pechino l’anno scorso all’ex colonia britannica. Un caso che sta facendo discutere perché riporta in primo piano il tema della libertà e dell’indipendenza di Hong Kong.

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Durante le manifestazioni pro-democrazia a Hong Kong nel luglio 2020, in piazza c’è anche Leon Tong Ying-kit. Quando la polizia interviene per fermare il corteo, il 24enne prende una bandiera con uno slogan per l’indipendenza, sale su una moto e si scaglia contro un gruppo di agenti ferendone tre. Il suo caso è il primo ad essere giudicato con le lenti della legge sulla sicurezza nazionale imposta da Pechino. E la condanna è arrivata subito: 9 anni di carcere per terrorismo e incitamento alla secessione. 

Il processo era molto atteso perché Hong Kong è teatro ormai da anni dello scontro fra l’influenza politica cinese e la voglia di emancipazione dell’ex colonia britannica. Una voglia di libertà che l’anno scorso ha subito un duro colpo con la legge sulla sicurezza nazionale, una serie di norme che riducono di fatto l’autonomia e l’indipendenza di cui Hong Kong ha goduto per più di 20 anni. 

Quella di oggi è la prima condanna, ma sono tante le persone accusate ai sensi della legge sulla sicurezza nazionale: ci sono alcuni dei più noti attivisti pro-democrazia, proprietari di quotidiani chiusi dalla polizia negli ultimi mesi, blogger che hanno visto scomparire il loro sito. La maggior parte è in carcere, in attesa di un processo: tutti rischiano condanne pesanti.

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