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Dazi sull’oro, l’allarme che ha scosso le raffinerie svizzere

Lingotti d'oiro
Buona parte dell'oro mondiale viene raffinato in Svizzera, soprattutto in Ticino dove hanno sede 3 delle 5 raffineria operanti in Svizzera. Keystone / Martin Ruetschi

Un documento doganale statunitense ha fatto temere l'estensione dei dazi doganali ai lingotti d'oro, prima della smentita di Donald Trump. L'episodio ha evidenziato il ruolo delle raffinerie svizzere e il paradosso delle esportazioni dell’oro negli Stati Uniti: nel primo semestre 2025 sono impennate a 39,2 miliardi proprio in previsione dei dazi americani.

Venerdì 8 agosto 2025 ha segnato una giornata di tensione per il settore dell’oro svizzero. In poche ore, una notizia ha fatto tremare le raffinerie svizzere e mandato in fibrillazione i mercati internazionali: i temuti dazi americani sull’oro sembravano diventare realtà. Poi, altrettanto rapidamente, è arrivata la smentita, confermata lunedì dallo stesso Donald Trump.

Dietro a questo episodio si nasconde una storia complessa, che racconta di come la Svizzera, e in particolare il Canton Ticino, sia diventato un centro del commercio mondiale dell’oro e di come le politiche protezionistiche di Donald Trump abbiano scatenato un flusso senza precedenti di metallo prezioso da Londra a New York, passando proprio per le raffinerie ticinesi.

L’allarme che ha scosso i mercati

Un documento doganale americano datato 31 luglio, ma reso pubblico solo l’8 agosto, indicava che i lingotti d’oro da un chilogrammo e quelli da 100 once sarebbero stati classificati come soggetti a dazi doganali. La notizia, riportata inizialmente dal Financial TimesCollegamento esterno, ha fatto immediatamente il giro del mondo, generando quello che l’agenzia Bloomberg ha successivamente definito una “notizia falsa”.

L’effetto sui mercati è stato immediato. Il prezzo dell’oro ha toccato un nuovo record storico a 3’534,10 dollari l’oncia, prima di scendere a 3’461,40 dollari dopo le precisazioni della Casa Bianca. Per la Svizzera, e in particolare per il Canton Ticino, centro nevralgico della raffinazione dell’oro mondiale, la prospettiva di una tassazione su questo metallo rappresentava un nuovo problema, proprio nel momento in cui la Confederazione si era vista infliggere una sovrattassa del 39% sui suoi prodotti in entrata negli Stati Uniti.

La tensione è durata fino a quando la Casa Bianca non ha annunciato l’intenzione di pubblicare “a breve un decreto per chiarire le informazioni errate sulla tassazione dei lingotti d’oro”. Infine, la conferma è arrivata lunedì 11 agosto tramite un post sulla piattaforma social Truth dove Trump ha dichiarato che non ci saranno dazi sull’oro.

“La dichiarazione del presidente Trump è un segnale incoraggiante per la stabilità commerciale”, ha affermato Christoph Wild, presidente dell’Associazione Svizzera dei Produttori e Commercianti di Metalli Preziosi (ASFCMP). “Tuttavia – ha precisato – solo una decisione formale e vincolante potrà fornire la certezza di cui il settore dell’oro e i suoi partner hanno bisogno”.

Prima delle rassicurazioni di Trump, l’Associazione aveva dichiarato Collegamento esternoche “l’imposizione di dazi su questi prodotti in oro fuso rende economicamente non sostenibile esportarli negli Stati Uniti”.

Il contesto: i dazi del 39% e il peso dell’oro

Per comprendere la portata di questo episodio, è necessario inquadrarlo nel contesto delle relazioni commerciali tra Stati Uniti e Svizzera. Dal 7 agosto 2025 (ma l’annuncio è arrivato il primo agosto, giorno della Festa nazionale svizzera), l’amministrazione Trump ha imposto dazi punitivi del 39% sui prodotti svizzeri, una misura che Washington giustifica con l’ampiezza del surplus commerciale che la Confederazione ha nei confronti degli Stati Uniti (nel 2024, la bilancia commercialeCollegamento esterno presentava un saldo positivo di oltre 38,5 miliardi di dollari a favore della Svizzera). E qui entra in gioco proprio l’oro.

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Il commercio dell’oro ha infatti un peso determinante in questo squilibrio commerciale. Nel 2024, le esportazioni d’oro dalla Svizzera verso gli Stati Uniti sono salite a 11 miliardi di franchi svizzeri, rispetto ai 6,1 miliardi del 2023. Ma è nel primo semestre del 2025 che i numeri sono aumentati notevolmente: 39,2 miliardi di franchi. Un incremento che ha contribuito significativamente ad ampliare il deficit commerciale americano nei confronti della Svizzera.

L’ASFCMP riconosceCollegamento esterno l’impatto a breve termine che l’oro ha avuto sulla bilancia commerciale all’inizio del 2025, una situazione definita “eccezionale causata dalla reazione dei mercati statunitensi all’incertezza riguardo ai dazi imminenti e alla situazione geopolitica globale”.

Come ha sottolineato la presidente della Confederazione Karin Keller-Sutter durante una conferenza stampa, queste esportazioni d’oro hanno “naturalmente” contribuito ad ampliare tale deficit.

Il flusso di oro da Londra a New York: una corsa contro il tempo

Uno degli aspetti più significativi di questa vicenda è il massiccio trasferimento di oro da Londra a New York che ha caratterizzato i primi mesi del 2025. Più di 61 miliardi di dollari in lingotti sono arrivati negli Stati Uniti per evitare i possibili dazi, generando una carenza di metallo a Londra che è il principale centro di scambio dell metallo giallo  a livello globale. 

Questa corsa all’oro ha tenuto particolarmente occupate le raffinerie ticinesi, grazie a una particolarità dei mercati globali dell’oro: i due principali mercati utilizzano lingotti di dimensioni diverse. A Londra, la maggior parte degli scambi avviene con lingotti da 400 once, ciascuno del peso di circa 12,5 kg e delle dimensioni di un mattone. La borsa Comex di New York, invece, fa riferimento a lingotti da 1 kg, delle dimensioni di uno smartphone. 

Questo implica che i lingotti che attraversano l’Atlantico debbano prima passare anche per la Svizzera per essere fusi e riformati. Come ha raccontato al Financial Times (qui l’articolo tradotto e ripreso da Swissinfo) Robin Kolvenbach, co-direttore generale di Argor-Heraeus di Mendrisio, l’attività nell raffineria non è mai stata così frenetica e la fonderia è operativa 24 ore su 24 da dicembre 2024, per far fronte alla crescente domanda di lingotti d’oro da un chilogrammo proveniente da New York. 

Il Ticino, centro del commercio mondiale dell’oro

Se la Svizzera è riconosciuta a livello mondiale come il principale centro di raffinazione dell’oro, il Canton Ticino ne rappresenta il fulcro operativo. A sud delle Alpi si concentrano tre delle raffinerie più importanti al mondo, che hanno fatto di questa regione un nodo strategico del commercio internazionale dei metalli preziosi.  

>> Gran parte del commercio mondiale di oro avviene nel sud del Ticino:

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Il Ticino raffina quasi la metà dell’oro fino mondiale, una percentuale che testimonia l’importanza di questa regione per l’economia globale. Secondo il Segretariato di Stato dell’Economia (SECO), però, nel 2023, la Svizzera ha rappresentato “solo” il 34% dell’oro raffinato a livello mondiale e non il 70% come spesso erroneamente riportato dai media.

L’importanza economica del settore dell’oro per la Svizzera

I numeri del settore dell’oro svizzero testimoniano il peso di questa industria per l’economia nazionale. Secondo un rapporto Collegamento esternodell’Ufficio federale delle dogane, nel 2023 la Svizzera ha importato 2’372 tonnellate d’oro (per un valore di 91 miliardi di franchi) e ne ha riesportate 1’564 tonnellate. Il valore di queste esportazioni si avvicinava agli 88 miliardi di franchi svizzeri, con principali acquirenti la Cina (25,1 miliardi di franchi) e l’India (13,1 miliardi di franchi).

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Diversi lingotti d oro con la scritta fine 999,7

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L’industria dei metalli preziosi, includendo oro, argento e palladio, rappresenta 1’500 posti di lavoro diretti e 1’000 indiretti, secondo l’Associazione Svizzera dei Produttori e Commercianti di Metalli Preziosi. Questi numeri, apparentemente modesti in termini assoluti, nascondono però un impatto economico più ampio.

Prospettive future e soluzioni proposte

Di fronte a questa situazione, l’Amministrazione federale ha riconosciuto che l’oro rappresenta un problema e si sarebbe alla ricerca di soluzioni. Diverse proposte sono state avanzate per affrontare la questione. Il consigliere nazionale liberale del Canton Zurigo, Hans-Peter Portmann ha dichiarato ai giornali del gruppo TamediaCollegamento esterno che“non è accettabile che, a causa di un singolo settore, soffra l’intera economia svizzera”, riferendosi all’impatto delle esportazioni d’oro sul disavanzo commerciale.

Per questo motivo, Portmann chiede l’adozione di misure e afferma che ci sono diverse idee in discussione. Una proposta da valutare sarebbe, ad esempio, tassare maggiormente le raffinerie d’oro in Svizzera. Un’altra idea è quella di introdurre una tassa sulla sostenibilità per le esportazioni d’oro verso Paesi con cui la Svizzera non ha accordi di libero scambio, come gli Stati Uniti. Portmann ipotizza anche un divieto di esportazione dell’oro verso questi Paesi.

Un’altra possibilità messa sul piatto, infine, è quella di far passare la vendita dell’oro dalle banche. In questo modo diventerebbe uno spostamento di capitali e non andrebbe più a pesare sull’export svizzero verso gli Stati Uniti.

Da Londra a New York e ritorno passando dal Ticino

Il massiccio flusso di oro da Londra a New York, passando per le raffinerie ticinesi, ha dimostrato quanto sia interconnesso il mercato globale dei metalli preziosi e come le politiche protezionistiche possano generare effetti paradossali. Le stesse misure pensate per ridurre il deficit commerciale americano hanno infatti alimentato una corsa all’oro che ha gonfiato ulteriormente quel deficit.

Se la spinta protezionistica di Trump dovesse davvero allontanare i metalli preziosi, come scrive il Financial Times, gli operatori si aspettano che il flusso si inverta, poiché i detentori di oro a lungo termine guardano ai costi di stoccaggio più bassi di Londra. Quando ciò accadrà, le fornaci svizzere dell’oro torneranno a funzionare 24 ore su 24. Questo ridurrebbe il surplus commerciale elvetico e potrebbe attenuare le tensioni commerciali tra i due Paesi.

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