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Quale è il segreto del cemento degli antichi romani?

Lo ha inaugurato Tito nell 80 d.C.
Lo ha inaugurato Tito nell'80 d.C. Keystone / Andrew Medichin

I dettagli della ricerca internazionale sulla longevità dei monumenti romani spiegati dagli esperti dell'Istituto meccanica dei materiali (IMM) di Grancia (Lugano) che hanno collaborato allo studio.

Ne hanno parlato diffusamente i media di mezzo mondo negli scorsi giorni: un po’ enfaticamente è stato detto che è stato svelato il segreto della millenaria resistenza dei monumenti dell’antica Roma.

Numerosi acquedotti, anfiteatri, ponti, terme e templi sparsi nell’intera area del Mediterraneo sono infatti ancora in piedi (alcune canalizzazioni sono tuttora funzionanti) a duemila anni dai fasti dei Cesari e verosimilmente ve ne sarebbero molti più se non fosse intervenuta l’opera distruttrice di barbari e papi. “Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini”, indica infatti un celebre detto in cui si allude all’uso disinvolto degli antichi Fori come cave di marmo per abbellire la Roma rinascimentale da parte dei pontefici dell’epoca.

Una constatazione ancora più sorprendente alla luce delle notizie di crolli di opere civili realizzate in tempi ben più recenti e di cui ci riferisce la cronaca ogni tanto.

A investigare dal 2017 sulle conoscenze architettoniche dei nostri antichi avi e a dare una risposta a questo mistero, come lo ha definito la CNNCollegamento esterno, è un team del prestigioso MIT di Boston, coordinato dal professore Admir Masic, in collaborazione con scienziati italiani e svizzeri. Lo studio pubblicato lo scorso 6 gennaio sulla rivista Science AdvancesCollegamento esterno si concentra sul calcestruzzo con cui gli antichi romani costruivano i loro edifici che, secondo la ricerca internazionale, ha delle peculiarità che gli consentono di resistere all’usura dei secoli e agli agenti atmosferici e persino, a determinate condizioni, di autoripararsi.

Coinvolta nel progetto, che ha preso le mosse dalle analisi su un muro antico a Priverno (Latina), anche una società svizzera, l’Istituto Meccanica dei Materiali (IMM) di Grancia (Lugano) che ha effettuato le verifiche sperimentali e certificato lo studio internazionale.

Immagini tratte da Science Advances
Science Advances

I Romani, sottolinea in proposito Michel Di Tommaso, direttore dell’IMM, utilizzavano una miscela di calce e ceneri vulcaniche del Vesuvio per produrre cemento freddo, a cui aggiungevano acqua, cocci e ghiaia per irrobustirlo.

La novità che è stata scoperta in queste ricerche, indica sempre il dirigente della società ticinese, “è che la calce che veniva utilizzata, non veniva completamente assorbita nella matrice ma rimaneva sotto forma di grani sparsi nella stessa matrice, un po’ come l’uvetta nel panettone”.

Questi grani ancora oggi, -continua- in presenza di acqua filtrata attraverso le fessure, riescono a produrre nuovo carbonato di calcio e a sigillare con lo stesso principio con cui le ossa si rigenerano dopo essere state fratturate.


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