Alla Biennale la Svizzera riflette sul ruolo delle architette nella storia
Alla 19esima Biennale di architettura di Venezia, che ha aperto le porte il 10 maggio e chiuderà il 23 novembre, la Svizzera si presenta con un progetto che mette in discussione le narrazioni consolidate dell’architettura.
Il Padiglione svizzero, commissionato dalla Fondazione svizzera per la cultura Pro Helvetia, ospita la mostra “Endgültige Form wird von der Architektin am Bau bestimmt” (La forma definitiva è determinata dall’architetta sul cantiere) a cura di Elena Chiavi, Kathrin Füglister, Amy Perkins, Axelle Stiefel e Myriam Uzor.
Il titolo, tratto da una nota manoscritta dell’architetta elvetica Lisbeth Sachs,Collegamento esterno sintetizza il cuore concettuale dell’intervento: ripensare lo spazio costruito a partire da una voce femminile storicamente marginalizzata.
La domanda centrale da cui parte il progetto è tanto semplice quanto provocatoria: “E se Lisbeth Sachs, invece di Bruno Giacometti, avesse progettato il Padiglione svizzero?”
SachsCollegamento esterno, una delle prime donne architetto registrate in Svizzera e contemporanea di Bruno Giacometti, ha rappresentato una figura pionieristica nell’architettura del Novecento, sebbene ancora poco conosciuta. Le curatrici propongono un esercizio di finzione produttiva, costruendo nel padiglione originariamente firmato da Giacometti una reinterpretazione della Kunsthalle progettata da Sachs per l’esposizione svizzera del lavoro femminile (SAFFACollegamento esterno) del 1958 a Zurigo.
Un gesto simbolico e materiale, che mira a restituire visibilità a voci dimenticate, evocando la memoria spaziale di architetture mai entrate nei “Giardini” ufficiali della storia.
Il progetto si sviluppa come un atto di riscrittura critica e poetica. L’approccio di Sachs – rispettoso delle risorse e orientato alla partecipazione – ispira un’installazione che non si limita a esporre, ma costruisce un ambiente immersivo, capace di riflettere la sua visione etica ed estetica.
La scelta del titolo, “La forma definitiva è determinata dall’architetta sul cantiere”, diventa così una dichiarazione di intenti: non solo recuperare un nome e una voce, ma riattivare una modalità progettuale che mette al centro il processo, la relazione e l’esperienza.
Elena Chiavi, Kathrin Füglister, Amy Perkins e Myriam Uzor formano Annexe, è un gruppo di donne architetto che valorizza e mette in primo piano una cultura della costruzione che parte da ciò che è già a disposizione. Agendo all’intersezione tra architettura e performance, AnnexeCollegamento esterno si attacca all’esistente, aprendo nuove possibilità spaziali. Il gruppo utilizza la finzione come strumento per dare vita al lavoro di donne designer pioniere, avviando una discussione con coloro che ci hanno preceduto e imparando da loro. Il lavoro di Annexe è relazionale e collega il passato al presente e le risorse materiali alla conoscenza immateriale. Il gruppo offre un veicolo per accogliere forme di collaborazione e pratiche costruttive femministe.
Per il loro progetto “Endgültige Form wird von der Architektin am Bau bestimmt”, Annexe ha lavorato con l’artista Axelle Stiefel.
Le curatrici, infatti, traducono i principi di Sachs in un’architettura “risonante”, che prende vita attraverso una serie di trasformazioni simboliche e sensoriali. Il cemento del padiglione viene reinterpretato in legno, mentre il sistema di illuminazione centrale si trasforma in un veicolo acustico che collega generazioni e idee.
Un’installazione sonora, basata su registrazioni sul campo, accompagna visitatori e visitatrici in un viaggio tra spazi, voci, e paesaggi, rivelando storie sommerse e stimolando una comprensione dell’architettura che va oltre la dimensione fisica.
“Vogliamo creare uno spazio che stimoli l’immaginazione senza fornire risposte definitive”, affermano le curatrici. L’obiettivo non è solo esporre, ma coinvolgere attivamente il pubblico in un processo aperto, dove l’architettura diventa un contenitore di memoria collettiva e una piattaforma di riflessione. L’installazione invita a percepire lo spazio non come struttura chiusa, ma come corpo vibrante, vivo, capace di attivare la sensibilità di chi lo attraversa.
Nel Padiglione svizzero 2025, dunque, l’incompiuto diventa poetico: uno spazio dove la linearità storica è sospesa e si apre la possibilità di immaginare il presente – e il futuro – dell’architettura in chiave più inclusiva, relazionale e aperta. Un invito a riconsiderare non solo chi progetta, ma come e perché si costruisce lo spazio in cui viviamo.
La 19esima Biennale di ArchitetturaCollegamento esterno si tiene fino al 23 novembre a Venezia ed è intitolata “Intelligens. Naturale. Artificiale. Collettiva”.

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