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“Regolare i social a livello svizzero non funziona, sono meglio le regole dell’UE”

Urs Saxer, professore di diritto
Urs Saxer, professore di diritto. Keystone-SDA

Regolare a livello svizzero i media sociali? Non può funzionare, il Consiglio federale farebbe bene ad applicare direttamente la normativa dell'UE: lo sostiene Urs Saxer, professore di diritto ed esperto del ramo, in un'intervista all'Aargauer Zeitung (AZ).

Il tema viene molto dibattuto in questi giorni nella Svizzera tedesca per la vicenda che ha interessato la consigliera nazionale zurighese Meret Schneider: in un articolo pubblicato dalla SonntagsZeitung l’esponente dei Verdi ha sostenuto che le piattaforme come X, Facebook e TikTok sono un pericolo per la democrazia e dovrebbero poter essere bloccate. Esternazioni che hanno scatenato una gogna mediatica a livello planetario, con anche minacce di morte. Molti si sono quindi chiesti come mettere fine a questo tipo di odio.

“Il punto di vista della signora Schneider è comprensibile”, osserva Saxer. “Sulle piattaforme ci sono dispute politiche estreme che possono essere unilaterali. Vorrei però sottolineare che in Svizzera vi sono fattori che garantiscono una correzione: abbiamo ancora un sistema mediatico funzionante, abbiamo un servizio pubblico finanziato pubblicamente. Questo rappresenta un certo grado di protezione contro rappresentazioni troppo unilaterali”.

Il Consiglio federale sta intanto esaminando le modalità di regolamentazione dei social media. “Può studiare a lungo la questione, ma non otterrà molto”, dice a questo proposito il docente all’università di Zurigo. “Abbiamo a che fare con aziende attive a livello globale che hanno sede negli Stati Uniti, in Cina e in Irlanda. Cosa può fare la Svizzera come piccolo paese, che impatto può avere? Come può far rispettare le sue leggi? Le reti devono essere regolamentate, ma il quadro nazionale è troppo piccolo”.

Tre approcci per gestire i social

“Esistono tre approcci per gestire i social media a livello mondiale”, prosegue il 68enne. Il primo è quello degli Stati Uniti: le piattaforme non sono responsabili dei contenuti che distribuiscono. I tentativi di regolamentarle sono falliti al Congresso – la legge attuale risale al 1996 – e le piattaforme possono sempre invocare la libertà di parola nei confronti dello stato. Il secondo è quello della Cina e in parte della Russia: le reti sociali sono sotto il controllo dello stato e vengono utilizzate specificamente per sottrarre dati e diffondere propaganda.

Il terzo approccio è quello dell’Unione Europea con il Digital Services Act e il Digital Markets Act. In questo caso “i diritti legali esistenti si applicano anche alle piattaforme online”, spiega il giurista. “Ad esempio i diritti della persona che proteggono dalla diffamazione e tutelano la sfera privata; vengono applicate le leggi contro il razzismo e le normative sui reati sessuali. Gli utenti delle piattaforme hanno dei diritti e possono rivendicarli ai gestori delle piattaforme. Ai fornitori non è consentito sfruttare una posizione di mercato dominante”.

Ritiene che la Svizzera – chiede il giornalista di AZ – debba adottare queste disposizioni? “Certamente”, risponde l’intervistato. “Si tratta di trovare un equilibrio tra la libertà e la salvaguardia dei diritti fondamentali di ogni individuo e gli interessi del pubblico in generale. Poiché l’UE è grande, può far rispettare la sua normativa. Da sola, la Svizzera ha poca influenza in questo campo”.

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Ma adeguandosi alla regolamentazione di Bruxelles la Confederazione non perderebbe in sovranità? “Quale sovranità, per favore? La normativa a livello nazionale non funziona in questo caso. O ci si unisce a un’entità più grande e si ottiene qualcosa, oppure non lo si fa affatto. Quest’ultima soluzione non risolve alcun problema”.

Intanto però il vicepresidente americano JD Vance ha messo in guardia dal limitare la libertà di espressione sui media sociali. “Ma perché lo fa? Difende soprattutto gli interessi commerciali delle piattaforme americane. Esse dovrebbero essere immuni da sanzioni se i contenuti che diffondono danneggiano importanti interessi privati o pubblici. Si tratta soprattutto di affari e non certo della libertà di espressione degli utenti. La misura in cui gli interessi nazionali sono al centro della scena si può vedere anche nel modo in cui gli Stati Uniti trattano con TikTok”.

In Germania però c’è stata una denuncia penale e una perquisizione domiciliare dopo che una persona ha semplicemente dato dell’imbecille (Schwachkopf) a un ministro sul web: le autorità stanno esagerando? “Non conosco i dettagli del caso, ma sospetto che le circostanze indicassero una possibile minaccia alla sicurezza”, replica l’avvocato. “Se si fosse trattato solo di questa dichiarazione l’azione sarebbe stata sproporzionata”.

Sussiste comunque il rischio che lo stato cerchi di reprimere l’espressione di opinioni che non gli vanno a genio. “Mi sembra che i confini siano talvolta difficili da tracciare, soprattutto nell’ambito delle cosiddette fake news. Cosa è palesemente falso o solo sintetizzato? Tracciare il limite a volte non è facile. Ecco perché in questo caso si impone un’interpretazione generosa”.

Secondo l’esperto l’UE non ritirerà mai la sua regolamentazione sulle piattaforme online, malgrado le pressioni degli Stati Uniti. “Perché dovrebbe farlo? Ha formulato regole che corrispondono alla sua concezione della legge e che proteggono i diritti degli utenti e del pubblico in generale. Dal punto di vista dell’UE, non c’è motivo di discostarsene. È meglio una regolamentazione sovranazionale che una proliferazione inefficace a livello di stati membri”, conclude lo specialista.

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