Uno studio di fattibilità presentato mercoledì dal Politecnico federale di Zurigo (ETHZ) ha analizzato due metodi innovativi che prevedono di catturare, trasportare e immagazzinare nel sottosuolo o nel cemento l'anidride carbonica.
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tvsvizzera.it/mrj
“Catturare l’anidride carbonica (CO2) dall’atmosfera e stoccarla in aggregati di cemento riciclato o in serbatoi geologici in Islanda non solo è tecnicamente fattibile, ma ha anche un’impronta di carbonio positiva”. A questa conclusione è giunto uno studio condotto dal Politecnico federale di ZurigoCollegamento esterno e commissionato dalla Confederazione svizzera, i cui risultati sono stati resi noti oggi, mercoledì.
La Svizzera punta a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050, ma per raggiungere questo obiettivo non basta solo evitare di generare CO2. Ci vogliono anche tecnologie in grado di catturare quell’anidride carbonica che è difficilmente evitabile produrre e intrappolarla definitivamente, ricorda ai microfoni della Radiotelevisione della Svizzera italiana RSI il professor Marco Mazzotti, coordinatore del progetto e professore presso l’ETHZ.
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Le emissioni inevitabili producono milioni di tonnellate di anidride carbonica ogni anno. Sono quelle degli inceneritori, dell’agricoltura, dell’industria chimica, della produzione di cemento: “Queste dobbiamo trattarle con le tecnologie che abbiamo studiato”, spiega Mazzotti.
Due i metodi presi in esame dall’analisi. Il primo consiste nel legare al cemento di demolizione riciclato l’anidride carbonica, che, così mineralizzata, rimane per sempre nel calcestruzzo. “Lo stoccaggio permanente nel cemento – dice Mazzotti – è molto attraente e valido, ma è limitato in termini di capacità”.
Potenzialmente più interessante è il secondo metodo: la CO2 in forma liquida viene portato fino in Islanda, dove viene iniettato, con acqua di mare, nel sottosuolo di basalto vulcanico. L’anidride carbonica non è semplicemente intrappolata nella roccia, come succede invece con altri metodi, ma si mineralizza rapidamente e stabilmente nel basalto.
Lo studio ha dimostrato che è una soluzione tecnicamente fattibile e molto efficiente dal punto di vista climatico, malgrado la CO2 generata dai lunghi trasporti. “Abbiamo dimostrato – aggiunge il professore di origini italiane – che queste emissioni indirette non sono più del 20% di quanto riusciamo a trasportare e stoccare, quindi abbiamo un’efficienza dell’80%”.
Intanto rimangono ancora diverse sfide da affrontare prima di passare all’applicazione su larga scala, come pure complesse questioni legali e di trasporto internazionale. Nel frattempo ricercatori e ricercatrici vogliono anche analizzare meglio il sottosuolo elvetico, per capire se ci sia un potenziale per stoccare l’anidride carbonica anche all’interno del Paese.
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