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Libia "5 anni dopo", un paese ancora diviso

Nel febbraio 2011, i primi tumulti che avrebbero portato alla caduta di Gheddafi; oggi il Paese ha due governi ed è sempre più penetrato dall'Is

Questo contenuto è stato pubblicato il 15 febbraio 2016 - 13:32

Cinque anni fa, proprio in questi giorni, la primavera araba si arricchiva di un nuovo capitolo, dopo le rivoluzioni di Tunisia ed Egitto. In Libia si svolgevano le prime manifestazioni di piazza, che sarebbero sfociate nella caduta di Gheddafi e nell'inizio di una lenta agonia che ha diviso il Paese, rendendolo un obiettivo privilegiato dell'autoproclamato Stato islamico.

Nelle scorse ore il Consiglio presidenziale libico ha inviato una nuova lista di ministri, 13, al parlamento dell'est del paese. Una precedente lista con 32 nomi era stata respinta.

A cinque anni dalla rivoluzione contro l'allora capo di Stato Gheddafi, il paese è ancora diviso. Dalla primavera del 2014, diviso addirittura tra due governi, sostenuti da alleanze liquidi e instabili. È al contempo minacciato dalla crescente penetrazione dello Stato islamico.

Lo scorso dicembre le Nazioni unite sono riuscite a mettere d'accordo la maggior parte delle fazioni in lotta in Libia, per la formazione di un governo di unità nazionale. Ma in due mesi non è ancora stata prodotta una lista di ministri che soddisfi tutti.

L'instabilità di oggi ha però le sue radici nella rivoluzione libica. Era iniziata il 15 febbraio 2011 a Bengasi, quando alcune migliaia di persone scesero in piazza per ricordare l'uccisione di oltre 1000 detenuti in un carcere. Ma l'onda lunga delle altre rivolte, quella tunisina e quella egiziana, trasformò la celebrazione di un anniversario in una protesta antigovernativa.

Il 17 febbraio il malcoltento si allargò ad altre città. Otto mesi dopo il colonnello, che aveva promesso di combattere fino all'ultima goccia di sangue, fu catturato e ucciso. Fine di un regime durato 42 anni.

Le prime elezioni libere a metà del 2012 non fecero altro che segnare la deflagrazione dei particolarismi, che Gheddafi aveva tenuto a bada con la violenza.

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