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Indignano, ma fanno parlare i giovani che imbrattano opere d’arte

I Girasoli di Van Gogh imbrattati con della minestra in scatola.
Nationa Gallery di Londra: gli attivisti di Just Stop Oil davanti all'opera imbrattata di Van Gogh. Keystone / Just Stop Oil

Bersagliano i capolavori per chiedere un futuro senza petrolio. Secondo il sociologo Sandro Cattacin questi ragazzi "esprimono disperazione, ma non sono impreparati"

“È proprio il gesto eclatante che fa l’effetto”, dice il sociologo Sandro Cattacin. Dopo la zuppa di pomodoro sui Girasoli di Van Gogh alla National Gallery di Londra, domenica hanno servito il purè sui Covoni di Monet al Museo Barberini di Potsdam, ma prima ancora c’era stata la torta di panna lanciata sulla Gioconda al Louvre.

E poi ancora, durante l’estate, le mani degli attivisti incollate alla base della statua del Laocoonte ai Musei Vaticani di Roma e al vetro della Primavera di Botticelli agli Uffizi di Firenze. Da ultimo, lunedì, al Museo londinese di Madame Tussauds anche la bella cera di re Carlo III è stata presa a torta in faccia. Tanti gesti, un solo collante, ossia la lotta contro i carburanti fossili e per il clima, e molti vetri che in definitiva e in tutte le occasioni, nonostante il panico iniziale, hanno protetto i preziosissimi dipinti.

La galassia radicale per il clima

Da “Just stop oil”, a “Letzte Generation”, passando per” Extinction Rebellion”, i nomi di battaglia – che, tradotti nelle varie lingue, hanno rivendicato queste azioni – orbitano tutti in quella che si potrebbe definire la galassia dei movimenti radicali per il clima. “Questi attivisti sono consapevoli delle conseguenze e non sono così naïf – osserva il professor Cattacin, che è sociologo all’Università di Ginevra -. Sanno che questi quadri sono protetti dal vetro e che si potranno ripulire. Però più lo sanno loro e meno gli altri, migliore è l’effetto”.

Nella maggioranza dell’opinione pubblica sembra tuttavia prevalere la disapprovazione per lo sfregio di un patrimonio, l’arte, che appartiene a tutti. Una protesta che indigna buona parte della società non manca lo scopo? “Direi di no, se l’obiettivo è quello di portare la popolazione a dibattere sui metodi, ma soprattutto sul contenuto. Il risultato finale è che si parla degli attivisti e delle loro posizioni, magari dicendo che questi gesti non vanno bene e che sono troppo scioccanti. Però se ne discute. Se non fossero gesti eclatanti nessuno ne parlerebbe”.

Il Monet imbrattato da due giovani
Esponenti di “Ultima Generazione” davanti al Monet imbrattato di purè di patate. Keystone

Le conseguenze di questi atti, continua il sociologo, “sono note agli attivisti e ciò che è moralmente condannabile, per alcuni, fa parte della dichiarazione pubblica di una disperazione che esiste in questi movimenti e che è insita in quella che si può chiamare una disobbedienza civile”.

“Vivono un presente senza futuro”

Il vandalismo nell’arte ha collezionato una serie di personaggi folli, da Erostrato che, per far parlare di sé, nel 356 a. C. diede fuoco al tempio di Artemide, una delle sette meraviglie, fino all’ungherese Laszlo Toth, che nel 1972 prese a martellate la Pietà di Michelangelo. Non c’è il rischio, chiediamo a Cattacin, che il “gioco” possa sfuggire di mano, che qualcuno possa alla fine colpire per danneggiare? “Non abbiamo indizi che vanno in questa direzione – dice il sociologo -. Certo tutto è possibile, ma molto dipenderà dalla risposta che nei prossimi mesi e anni arriverà a questi giovani che vivono il presente come una deprivazione del loro futuro. Il rischio piuttosto è quello di una disperazione che possa portare a degli atti autodistruttivi. Come abbiamo visto con chi si dà fuoco contro i regimi autoritari”.

La reazione degli adulti di fronte a questi giovani attivisti è spesso di farne una caricatura. Non si afferma che sono folli, ma piuttosto dei disadattati, dei “cattivi ragazzi”. “In questo momento – nota Cattacin – non ci troviamo all’inizio di una fase terroristica, nessuno viene preso di mira come negli anni ’70. È però il momento in cui la sfida morale è lanciata nei confronti di una società che non prende in considerazione un certo numero di temi rilevanti e sempre più condivisi”.

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Nel solco di Greenpeace

Nonostante purè, salsa di pomodoro e panna facciano pensare quasi a delle performance “artistiche”, non è quella la corretta lettura dall’atto. “Non parliamo di artisti, qui ci troviamo in una classica logica di movimento e di idee che, va ribadito e sottolineato, rimangono nel contesto di una pacifica manifestazione. C’è tuttavia una lunga tradizione di queste performance politiche. I padri fondatori di queste idee eclatanti sono gli attivisti di Greenpeace, sono loro che negli anni ’80 hanno iniziato a fare una politica dove non occorre la massa in strada, ma si scelgono luoghi verso cui è il mondo intero che guarda”.

In aggiunta, conclude il sociologo, “questo movimento non manda allo scoperto gente impreparata e pericolosa, ma attivisti formati, che hanno preparato un discorso e che utilizzano le leggi che non permettono un intervento violento dove non c’è violenza. Nell’insieme sono militanti estremamente ben formati e calmi nei gesti durante le loro azioni. Ricordano davvero Greenpeace”.

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