Salario minimo in Svizzera, priorità ai contratti collettivi

Il Consiglio nazionale ha approvato martedì, con 109 voti a 76, una modifica di legge che dà priorità ai contratti collettivi di lavoro rispetto alle leggi cantonali sui salari minimi. La decisione finale spetta ora al Consiglio degli Stati. In gioco ci sono i diritti dei lavoratori meno qualificati.
In Svizzera è in corso una battaglia silenziosa ma importante sui salari minimi. Al centro del dibattito c’è una domanda apparentemente semplice: quando un Cantone fissa per legge un salario minimo diverso da quello stabilito nei contratti collettivi di lavoro, quale dei due deve prevalere?
La questione è tutt’altro che teorica. Coinvolge migliaia di lavoratori e lavoratrici, soprattutto quelli meno qualificati nei settori a basso salario, e tocca principi fondamentali del sistema federale svizzero.
l problema: due regole diverse per lo stesso lavoro
Oggi in Svizzera cinque cantoni hanno una legge sul salario minimo: Neuchâtel, Giura, Ginevra, Ticino e Basilea Città. Ma non tutti la applicano allo stesso modo.
Neuchâtel e Ginevra hanno deciso che quando il salario minimo fissato dalla legge cantonale è più alto di quello previsto dai contratti collettivi di lavoro, vale quello cantonale. È una scelta che protegge di più i lavoratori.
Al contrario, Giura, Ticino e Basilea Città danno la priorità ai contratti collettivi di lavoro, anche quando prevedono salari più bassi di quelli fissati dalla legge cantonale.

Altri sviluppi
Salari minimi cantonali rimessi in discussione dal Parlamento
Questa situazione ha spinto il senatore obvaldese del Centro Erich Ettlin a presentare nel dicembre 2020 una mozioneCollegamento esterno che chiede la modifica della Legge federale concernente il conferimento del carattere obbligatorio generale al contratto collettivo di lavoro (LOCCL). La sua proposta: i contratti collettivi di lavoro dichiarati “obbligatori per tutti” dovrebbero sempre prevalere sulle leggi cantonali sui salari minimi.
I contratti collettivi di lavoro sono accordi tra sindacati e associazioni di datori di lavoro che stabiliscono le condizioni di lavoro in un settore. Normalmente si applicano solo a chi li ha firmati.
Ma quando questi contratti vengono dichiarati “di obbligatorietà generale” dalle autorità, diventano vincolanti per tutti i lavoratori e datori di lavoro del settore, anche per chi non li ha sottoscritti. È un meccanismo che garantisce condizioni uniformi in tutto un ramo economico.
Secondo Ettlin, permettere alle leggi cantonali di prevalere su questi contratti mette a rischio il “partenariato sociale” svizzero, cioè quel sistema di collaborazione tra sindacati e datori di lavoro che caratterizza il mercato del lavoro del paese.
Martedì il Consiglio nazionale ha dato ragione a Ettlin, approvando la modifica di legge con 109 voti a 76 e sette astenuti.
Il Consiglio federale dice no
Il Governo federale si oppone fermamente alla proposta. La ragione? Secondo il Consiglio federale, la mozione Ettlin violerebbe principi fondamentali della Costituzione svizzera.
Il primo problema riguarda la ripartizione dei poteri tra Confederazione e Cantoni. In Svizzera, i Cantoni hanno il diritto di adottare misure di politica sociale, comprese le leggi sui salari minimi. Questo diritto è stato confermato anche dal Tribunale federale.
Il servizio del TG 20.00 della RSI del 17 giugno 2025:
Il secondo problema è la “gerarchia delle norme”: in un sistema giuridico ordinato, le leggi hanno più valore dei contratti privati. I contratti collettivi di lavoro, anche quando sono dichiarati obbligatori per tutti, rimangono contratti tra privati. Le leggi cantonali, invece, sono atti del legislatore e quindi hanno un rango superiore.
Chi è a favore e chi è contro
La consultazione pubblica sulla proposta ha mostrato un paese diviso lungo linee prevedibili.
Quasi tutti i cantoni (25 su 26) si oppongono al progetto. Sostengono che violerebbe l’autonomia cantonale e creerebbe incertezza giuridica.
Dal lato opposto, la maggior parte delle associazioni di datori di lavoro, tra cui l’Unione svizzera delle arti e mestieri e l’Unione svizzera degli imprenditori, sostengono la proposta. Secondo loro, darebbe stabilità al sistema e rafforzerebbe il ruolo dei contratti collettivi.
I sindacati, invece, sono contrari. L’Unione sindacale svizzera, la Società svizzera degli impiegati di commercio e Travail.Suisse temono che la proposta indebolisca le protezioni per i lavoratori garantite dalle leggi cantonali.
Le reazioni dei parlamentari
Il dibattito al Consiglio nazionale ha mostrato le stesse divisioni politiche sulla questione. I sostenitori della riforma hanno sottolineato l’importanza di salvaguardare il partenariato sociale svizzero.
“Questo progetto rafforza la piazza economica svizzera, facendo sì che non ci siano condizioni diverse a livello nazionale”
Thomas Burgherr, Unione democratica di centro
“Fissare salari minimi cantonali che prevalgono su quelli previsti nei CCL rappresenta un intervento unilaterale che mette a repentaglio la tradizione del partenariato sociale”, ha affermato l’argoviese democentrista Thomas Burgherr, relatore della commissione preparatoria. “Questo progetto colma delle lacune e rafforza la piazza economica svizzera, facendo sì che non ci siano condizioni diverse a livello nazionale”.
Il liberale radicale vodese Olivier Feller, altro relatore commissionale, è stato ancora più diretto: “È inammissibile chiedere di negoziare dei CCL e poi aggirarli tramite delle disposizioni cantonali. Il partenariato sociale è la forza del nostro Paese”.
L’opposizione denuncia un “attacco al federalismo”
Il campo rosso-verde ha reagito con durezza, denunciando una violazione dei principi democratici e federali. “Si ribalterebbe la democrazia diretta”, ha dichiarato il verde liberale bernese Jürg Grossen, sottolineando che “l’introduzione dei salari minimi cantonali è stata legittimata da votazioni popolari, mentre i CCL dichiarati di obbligatorietà generale sono convenzioni di diritto privato”.
“Attacco grave e senza precedenti al federalismo”
Emmanuel Amoos, Partito socialista
Il socialista vallesano Emmanuel Amoos ha parlato di un “attacco grave e senza precedenti al federalismo”, mentre il suo collega di partito argoviese Cédric Wermuth è arrivato a denunciare un “putsch parlamentare”.
Infine, la verde sangallese Franziska Ryser ha ricordato che “i salari minimi sono stati confermati dal Tribunale federale come misura di politica sociale conforme alla Costituzione” e che “tutti i Cantoni sono contrari, a parte Obvaldo, da dove proviene l’autore della mozione originale Ettlin.”
Nonostante queste critiche, tutte le proposte alternative – compresa quella di non entrare in materia e quella di rinviare il disegno al governo per istituire una base costituzionale – sono state respinte.
Cosa succede ora
Con l’approvazione del Consiglio nazionale, la palla passa ora al Consiglio degli Stati. Qui la situazione potrebbe essere diversa: la consultazione pubblica del 2024 ha mostrato che 25 cantoni su 26 si oppongono al progetto, sostenendo che violerebbe l’autonomia cantonale e creerebbe incertezza giuridica.
Questo risultato netto dovrebbe riflettersi nelle posizioni del Consiglio degli Stati, dove i rappresentanti cantonali potrebbero essere più sensibili alle preoccupazioni dei loro governi locali.
Le conseguenze per i lavoratori
Attualmente il salario minimo a Neuchâtel Collegamento esternoè di 21.09 franchi all’ora, nel Giura Collegamento esterno20,60 franchi, a Ginevra Collegamento esterno24,32 franchi, a Basilea CittàCollegamento esterno 21,70 franchi (ma non si applica a tutti settori) mentre in Ticino Collegamento esternoil salario minimo va da 19,75 a 20,25 franchi all’ora a dipendenza del settore economico.

Altri sviluppi
Salario minimo “a regime” in Ticino
In generale la maggior parte dei contratti collettivi di lavoro prevede salari minimi più alti di quelli fissati dalle leggi cantonali. Ma quando non è così, sono i lavoratori meno qualificati nei settori a basso salario a pagare il prezzo della confusione normativa.
La questione tocca il cuore del modello svizzero: da una parte il federalismo, che dà ai cantoni il diritto di decidere le proprie politiche sociali. Dall’altra il partenariato sociale, che affida a sindacati e datori di lavoro la regolamentazione delle condizioni di lavoro.
Trovare un equilibrio tra questi due principi non è solo una questione giuridica, ma una sfida politica che definirà il futuro del mercato del lavoro svizzero.
Con l’approvazione del Consiglio nazionale, il primo capitolo di questa battaglia parlamentare è stato scritto. Ora si attende che si esprima il Consiglio degli Stati, dove l’opposizione dei Cantoni potrebbe pesare di più nella decisione finale.

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