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Mafiosi, “è inutile un divieto di entrata sistematico”

Gli strumenti a disposizione sono inadeguati per combattere il fenomeno.
Gli strumenti a disposizione sono inadeguati per combattere il fenomeno. © Keystone / Louis Dasselborne

Bocciata dalla Camera alta una mozione per rendere automatica l'interdizione di persone condannate per mafia. Il Governo è però chiamato ad approfondire l'ipotesi di norme premiali per i pentiti e le pentite. 

Non c’è bisogno di introdurre un divieto sistematico d’entrata nella Confederazione per le persone condannate in via definitiva in Italia per reati di mafia (art. 416bisCollegamento esterno). Il concetto è stato ribadito dalla ministra di giustizia e polizia uscente Elisabeth Baume-Schneider nel dibattito alla Camera alta sulla mozione depositata dall’ex deputato ticinese Marco Romano.

Secondo la consigliera federale l’atto parlamentare depositato nel giugno 2022 è reso inutile dalla prassi adottata dalla polizia federale (Fedpol)Collegamento esterno e da ragioni di natura giuridica. L’orientamento espresso dal Governo è stato seguito tacitamente anche dal plenum del Consiglio degli Stati, contrariamente alla Camera bassa, che lo scorso giugno si era espressa con un’ampia maggioranza a favore del testo, con voto nominale (127 sì e 46 no). E quindi la mozione viene archiviata.

I respingimenti di mafiosi vengono già attuati

In virtù della legge federale sugli stranieri, ha precisato la consigliera federale giurassiana, Fedpol può già – e lo fa – pronunciare dei divieti di entrata ed espulsioni di persone che mettono a repentaglio a sicurezza interna ed esterna della Svizzera. Conseguentemente già oggi, ha continuato, la polizia federale proibisce l’ingresso alle persone condannate in Italia o in Svizzera per il loro sostegno o l’appartenenza ad organizzazioni mafiose, come le statistiche ce lo dimostrano.

In uno Stato di diritto però, ha aggiunto Elisabeth Baume-Schneider, queste misure non possono essere imposte in modo sistematico (nel senso di automatico) e ogni situazione deve essere esaminata singolarmente. Se per “sistematico” si intende il fatto che i divieti d’entrata vengono verificati in modo sistematico e applicati a soggetti mafiosi, ha specificato la ministra socialista, “posso assicurarvi che questo avviene”.

Fedpol fa addirittura di più, ha rassicurato Elisabeth Baume-Schneider: l’interdizione viene infatti estesa agli imputati per mafia che vengono assolti per un vizio formale, soprattutto se risulta dalla documentazione della polizia o della magistratura italiane che questi individui appartengano o sostengano organizzazioni di stampo mafioso. Il vantaggio delle misure amministrative, ha sottolineato, è che possono essere applicate in assenza di una condanna penale.

Una sessantina di persone respinte dal 2018

Nella sua mozione Marco Romano evidenziava che “il livello di infiltrazione in Svizzera di attori, attivi e passivi, collegati alla criminalità organizzata di stampo mafioso è una realtà preoccupante”. A fronte di questa situazione, insisteva il parlamentare ticinese del Centro, il divieto di entrata non viene attuato in maniera sistematica e coordinata con i Cantoni.

Altri sviluppi

Occorre quindi, a suo giudizio, aumentare il livello di sicurezza interna ed evitare soprattutto che “nel nostro Paese si spostino e svolgano attività persone che sono state condannate in Italia per mafia secondo l’articolo 416bis del Codice penale italiano nonché per gravi reati correlati”.

In proposito Marco Romano aveva avuto modo di segnalare che dal 2018, Fedpol ha respinto una sessantina di persone legate alla criminalità organizzata (di cui 15 nel 2022), cifre che a suo dire non possono non preoccupare.

Marco Romano: disarmante ingenuità

“Sappiamo che decine di persone residenti in Svizzera sono direttamente o indirettamente legate a dinamiche mafiose”, ci ha indicato nei mesi scorsi il politico ticinese. “Spesso magari non commettono direttamente reati nel nostro Paese, ma il legame è una realtà”.

La Svizzera, ha proseguito, viene usata come piattaforma da cui operare, dove è piacevole vivere e dove il fenomeno non è preso sul serio: “È disarmante vedere quanta passività e ingenuità vi è rispetto al fenomeno”. Tutte tesi accolte lo scorso 7 giugno dal Consiglio Nazionale ma che sono state spazzate via, in modo oltretutto tacito, dall’altra Camera.

Aderendo all’approccio governativo il senatore Verde Mathias Zopfi, che ha parlato a nome della Commissione delle istituzioni politiche del Consiglio degli Stati, ha infatti riconosciuto che il problema delle infiltrazioni mafiose non deve essere sottovalutato e che la Svizzera risulta coinvolta in misura rilevante dal fenomeno criminale. Ma il nostro ordinamento giuridico, ha notato il politico glaronese, non consente di imporre divieti generici, quasi automatici, senza una valutazione dei singoli casi. Un orientamento accolto senza particolari rimostranze dai suoi colleghi.

Norme per i pentiti anche in Svizzera?

Sempre la stessa Camera ha adottato, contro il parere del Governo, un postulato del socialista zurighese Daniel Jositsch che chiede in sostanza di valutare l’opportunità di introdurre in Svizzera una legislazione premiale, analoga a quelle in vigore in altri Paesi, in favore dei collaboratori di giustizia.

Il Consiglio federale è quindi chiamato ad elaborare un rapporto, prendendo spunto dall’esperienza acquisita da altri Stati, sui presunti vantaggi svantaggi derivanti dall’adozione di un programma di attenuazione della pena nei confronti dei cosiddetti pentiti. In proposito la commissione preparatoria e l’esecutivo avevano rilevato che una norma sui pentiti di mafia in Svizzera, per esempio sul modello italiano, sarebbe socialmente incomprensibile.

Inoltre ricompensare con l’impunità, come avviene nei sistemi giuridici anglosassoni, un imputato reo confesso, magari di reati gravissimi, che fornisce informazioni alle autorità non è accettabile poiché cozzerebbe contro il principio dell’uguaglianza.

Per la (risicata) maggioranza del “Senato” (4 voti di differenza) uno studio sul tema s’impone, se non altro alla luce anche delle considerazioni del procuratore generale della Confederazione, Stefan Blättler, il quale sostiene che gli strumenti a sua disposizione gli impediscono attualmente di svolgere al meglio inchieste su terrorismo e criminalità organizzata.

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