Vietare l’ingresso dei mafiosi in Svizzera? Da valutare caso per caso
Prima di vietare l'accesso anche a un mafioso condannato in via definitiva, la sua situazione va valutata attentamente.
Ti-press
Non si può negare in modo sistematico e preventivo l’entrata in Svizzera alle persone condannate in Italia per mafia. È il parere della Commissione delle istituzioni politiche del Consiglio degli Stati (CIP-S) che invita a respingere la mozione in tal senso del ticinese Marco Romano ritenendo che sia sempre necessaria una valutazione caso per caso.
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tvsvizzera.it/fra
La mozione Romano – che auspica il divieto d’entrata a tutti coloro che sono stati condannati in via definitiva per mafia in Italia – era stata accolta lo scorso giugno dal Consiglio nazionale per 127 voti a 46 (14 astenuti). In quell’occasione il consigliere nazionale ticinese giustificava la misura proposta con il “preoccupante livello” di infiltrazione in Svizzera di persone legate alla mafia.
Ora la Commissione delle istituzioni politiche del Consiglio degli Stati invita i “senatori” a respingere la mozione. In particolare – secondo la Commissione – l’Ufficio federale di polizia dispone già oggi in modo sistematico divieti d’entrata nei confronti di esponenti della criminalità organizzata ma, per motivi legati allo Stato di diritto, è sempre necessaria una valutazione caso per caso.
A detta della commissione, nel valutare un divieto sistematico e preventivo per le persone condannate in Italia per mafia, sussistono difficoltà nel raccogliere le informazioni necessarie atte ad esaminare i singoli casi.
Insomma, secondo la Commissione la mozione non apporterebbe alcun contributo in tal senso. Vedremo se il Consiglio degli stati seguirà le indicazioni della sua Commissione o se invece come la Camera bassa sosterrà la mozione Romano.
Le motivazioni di Romano
“Sappiamo che decine di persone residenti in Svizzera – aveva dichiarato Marco Romano alla nostra collega Madeleine Rossi in questo stesso portale – sono direttamente o indirettamente legate a dinamiche mafiose. Spesso magari non commettono direttamente reati nel nostro Paese, ma il legame è realtà”.
Come ricordava il deputato ticinese, per molti mafiosi, la Svizzera è ancora il Paese di Bengodi dove poter sviluppare i propri interessi e dove il concetto di pericolosità sociale associato alla criminalità organizzata è appena preso in considerazione.
Non a caso la consigliera federale Elisabeth Baume-Schneider – responsabile del Dipartimento di giustizia e polizia – aveva sostenuto che i mafiosi condannati in Italia sono “persone che non hanno un legame diretto con la Svizzera e che quindi non verrebbero nel nostro Paese”.
“Una dichiarazione – secondo Marco Romano – che dimostra quanto la Svizzera tedesca e la Svizzera francese siano ancora lontane dall’aver compreso il fenomeno e la sua portata. La Svizzera viene usata come piattaforma da cui operare, dove è piacevole vivere e dove il fenomeno non è preso sul serio. È disarmante vedere quanta passività e ingenuità vi è rispetto al fenomeno”.
Governo respinge la mozione
A giugno nel corso della discussione in Consiglio nazionale il Governo federale – per voce sempre di Elisabeth Baume-Schneider – aveva respinto la mozione, adducendo soprattutto giustificazioni legali. In particolare, riteneva che le misure regolarmente ordinate da Fedpol funzionino bene e che non sia sempre facile provare i legami di un individuo con la mafia. La difficoltà principale, ha aggiunto il Governo, è che i casellari giudiziali e i dossier di polizia da presentare a un tribunale amministrativo ai fini di una misura preventiva possono essere ottenuti solo “con un notevole sforzo” dalle autorità italiane.
Da parte sua, Fedpol aveva sottolineato che è stato anche considerato il principio di proporzionalità, che richiede che ogni caso sia giudicato individualmente, e che il problema sollevato è quello della pertinenza pragmatica dei divieti di ingresso sistematici. Ad esempio, se un mafioso italiano di 65 anni viene condannato a 40 anni di reclusione e non ha legami con la Svizzera, l’emissione di un divieto d’ingresso in questo caso specifico non sarebbe pertinente.
Tanto per farci un’idea, dal 2018, la Fedpol ha respinto una sessantina di persone legate alla criminalità organizzata, di cui 15 nel 2022. Poche secondo Romano.
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