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La giungla delle cure a domicilio in Ticino

Un lavoro indispensabile.
Un lavoro divenuto indispensabile. © Keystone / Gaetan Bally

Nel Cantone a sud delle Alpi si assiste a un boom di infermiere e infermieri indipendenti. In un mercato delle cure già molto teso e che poggia in gran parte sulla manodopera proveniente dall'Italia, il fenomeno preoccupa e si cerca ora di porvi un freno 

Il settore delle cure a domicilio sta esplodendo. È il mantra che si sta ripetendo negli ultimi anni nella Svizzera italiana, dove si assiste a un continuo incremento delle infermiere e degli infermieri indipendenti e dei servizi privati che si occupano delle e dei pazienti a casa.

Una tendenza che a detta di molti operatori e operatrici del settore genera costi supplementari e contribuisce a creare pressioni sul mercato del lavoro già teso nelle regioni confinanti con l’Italia, da cui proviene una quota consistente del personale impiegato nel settore sociosanitario del Canton Ticino.

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Concorrenza tra enti e infermiere

Secondo diversi media sarebbe addirittura in corso una guerra tra organizzazioni pubbliche, private e personale infermieristico indipendente per accaparrarsi i pazienti. Uno scenario in cui non si riconosce però Roberta (nome di fantasia), un’infermiera del Ticino settentrionale che dopo essere stata alle dipendenze della sanità cantonale alcuni anni si è dimessa per intraprendere la professione autonoma: “Noi lavoriamo con il passaparola, anche perché in base alle norme cantonali non possiamo farci pubblicità”.

Di solito “è il medico curante che si rivolge a noi, con il consenso del paziente, – spiega la professionista – nel caso in cui il o la paziente abbia bisogno di una prestazione a domicilio. L’iniziativa può partire anche da un parente o da un assistente, ma senza la firma del medico non possiamo fatturare”.

Per porre un freno in quella che secondo taluni è divenuta una “giungla”, è stata lanciata la proposta di introdurre una moratoria sulle autorizzazioni rilasciate dalle autorità cantonali alle e agli indipendenti convenzionati (riconosciuti dalle assicurazioni sanitarie secondo la legge LAMal). Inoltre si vuole estendere la durata della pratica, dagli attuali due a cinque anni, da svolgere in ospedali o istituti riconosciuti dopo il diploma, prima di intraprendere la professione indipendente.

Ma sulla reale incidenza di questa categoria di operatrici e operatori sui costi del settore, che è la principale preoccupazione che viene sbandierata, non concorda però Lilia Nodari-Cereda, portavoce delle infermiere indipendenti del Canton Ticino: le cure a domicilio, sottolinea la rappresentante di categoria, “costituiscono solo il 3-4% dell’intera spesa sanitaria”. E le professioniste e i professionisti autonomi non possono certo, a suo dire, influire in modo significativo sulle cifre globali.

Incremento vistoso delle cure a domicilio

In ogni caso gli enti locali, che in base al complicato meccanismo di finanziamento della sanità in Svizzera sono chiamati a coprire parte delle spese dei servizi di assistenza domiciliare, sono allarmati per l’evoluzione in corso. E soprattutto i numeri lasciano spazio a pochi dubbi sulle tendenze in atto: in otto anni, dal 2015 al 2023, le e gli infermieri indipendenti in Ticino sono passati da 201 a 518 e gli Spitex privati, le organizzazioni di cura a domicilio locali, da 24 a 60 (quelle pubbliche sono sei).

Ma soprattutto, nel cantone italofono opera un terzo del totale degli infermieri/e indipendenti presenti attualmente in Svizzera (1’420). Cifra che, a dire il vero, non coincide con quella indicata dalle associazioni di questi ultimi, che parlano di oltre 2’800 professionisti autonomi nell’intero Paese. Più o meno nello stesso periodo (dal 2015 al 2021) i contributi pubblici, erogati da Cantone e Comuni a Spitex privati e indipendenti, sono schizzati da 2,7 a 13 milioni.

Naturalmente vi sono diversi fattori che contribuiscono a questo sviluppo, viene osservato da diverse parti. L’invecchiamento della popolazione, combinato con i costi crescenti e le disponibilità limitate nelle strutture acute e negli istituti per gli anziani, hanno ampliato la domanda di prestazioni, cui non possono far fronte unicamente i sei servizi di assistenza pubblici sul territorio.

La fuga dalle strutture sanitarie

Ma sembrano esserci altri fattori, legati più da vicino con le nuove condizioni di lavoro.  “La fuga da queste strutture sanitarie sul territorio costituisce un grosso problema e le cause sono molteplici”, riconosce Lilia Nodari-Cereda. “Lo si era già visto durante la pandemia di Covid, quando le e i dipendenti sono stati sottoposti a forti sollecitazioni. Ma è anche vero – aggiunge – che spesso emergono situazioni in cui i responsabili degli istituti non dimostrano di avere realmente a cuore il personale e le sue esigenze”.

Concetti sostanzialmente condivisi da Fausto Calabretta, delegato per il settore sanitario del sindacato dei servizi pubblici VPOD Ticino, secondo cui il personale di istituti e case anziani se ne va per il lavoro divenuto troppo stressante, a causa dell’aumento delle mansioni burocratiche e le carenze, ormai endemiche, dell’organico che impongono turni massacranti.

In questa situazione è normale, sottolinea il sindacalista, che le e gli infermieri “preferiscano lasciare l’impiego e si mettano in proprio, anche perché il lavoro non manca”. Non è un caso che la durata dell’attività nelle strutture sanitarie sia scesa negli ultimi anni a 7/8 anni, così come le percentuali di impiego, aggiunge Fausto Calabretta.

Concorrenza dall’estero

Un apporto sicuramente non trascurabile a questo quadro teso, in cui all’aumento di richiesta di prestazioni fa da contraltare la mancanza di professionisti e professioniste, lo fornisce la manodopera proveniente da oltre confine. Il divario delle retribuzioni, osserva in proposito Lilia Nodari-Cereda, non aiuta: “Sappiano che in Lombardia le paghe per gli infermieri sono sui 1’500 euro (a fronte dei 4’000-5’000 percepiti in Svizzera) e le formalità per lavorare in Svizzera sono poco restrittive. È un panorama che indubbiamente ci preoccupa”.

In realtà la collega Roberta non ravvisa nel suo lavoro quotidiano, almeno tra le e gli infermieri indipendenti, un cospicuo aumento di frontalieri/e. Anche perché le norme vigenti sulla privacy “impediscono loro di portare a casa, oltre confine, i dati privati contenuti nelle cartelle dei pazienti”. Inoltre, “le assicurazioni non inviano la fatturazione delle loro prestazioni a un indirizzo estero”.

Più articolato invece il pensiero di Fausto Calabretta, secondo il quale senza frontalieri e frontaliere nella Svizzera italiana “non si va avanti”. Sono infatti oltre 4’300 i pendolari in ambito infermieristico su un totale di circa 16’000 addetti e addette nella sanità ticinese. Inoltre, in molti istituti privati il 70-80% delle e dei dipendenti hanno passaporto italiano.

Il problema degli Spitex privati senta contratto di prestazione

Ma in questo ristretto ambito non sembrano emergere casi di dumping salariale, rileva il sindacalista della VPOD, poiché le retribuzioni che vengono adottate sono quelle d’uso per professione e settore. Sono semmai le pratiche vigenti all’interno dell’organizzazione degli Spitex privarti, osserva Fausto Calabretta, a destare interrogativi: “Una quarantina di questi ha infatti sottoscritto il contratto di prestazione con le autorità cantonali e il contratto collettivo (CCL) soggetto alla sorveglianza delle commissioni paritetiche”.

Ma ce ne sono 15 o 16, insiste il sindacalista, “che non hanno stipulato un contratto di prestazione e non sono quindi sottoposti al controllo del competente ufficio di Bellinzona ma solo a quello del medico cantonale”.

Si producono così pressioni su tutto l’ambito delle cure a domicilio e sebbene i salari minimi previsti siano rispettati, evidenzia il rappresentante VPOD, “spesso non vengono riconosciute le indennità, come le compensazioni per i turni serali e notturni o quelle per la trasferta”.

Del resto, continua, è normale che con l’esplosione delle cure a domicilio si vada a cercare il personale anche in Italia, dove ce n’è in abbondanza. “È un mercato che deve essere regolato, da un lato fidelizzando le e i dipendenti che altrimenti sono indotti ad andarsene e, dall’altro, ponendo un freno alle organizzazioni che operano senza contratti di prestazione e al di fuori del perimetro dei contratti collettivi”.

Misure proposte per regolare il mercato sanitario

Intanto si affacciano misure per regolamentare un settore che conosce pochi vincoli: innanzitutto è stata avanzata dagli Spitex pubblici la proposta di un blocco degli enti e delle persone autorizzate che però, sottolinea Fausto Calabretta, è di difficile applicazione in quanto collide con la libertà di commercio.

Del resto già oggi gli ospedali, al momento della dimissione di un o una paziente, tendono a indirizzarlo verso le organizzazioni pubbliche. A porre un freno a quello che da taluni è definito un mercato selvaggio potrebbe essere un inasprimento dei requisiti per poter operare, in particolare prolungando a cinque anni la durata obbligatoria della pratica post diploma.

Oggi a un infermiere o infermiera con diploma, anche quelli riconosciuti equivalenti e residenti in Italia, è consentito di operare dopo solo due anni attività in una struttura svizzera. “Si tratta di una proposta – rivela la portavoce delle infermiere indipendenti Lilia Nodari-Cereda – che abbiamo fatto anche noi, come associazione infermiere, in aprile con lettera inviata alle autorità cantonali”.

Concorda anche Roberta, secondo cui il lavoro a domicilio richiede esperienza. “Ci troviamo da soli a casa, senza un medico vicino: è una situazione che presuppone la padronanza del proprio lavoro e che non consente margini di errore”.  Di sicuro “bisogna assolutamente evitare – conclude Lilia Nodari-Cereda – che da questa guerra tra enti pubblici, privati e indipendenti alla fine ci vadano di mezzo le e i pazienti”.

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