Boschi sani proteggono da slavine e valanghe.
Keystone/gaetan Bally
Il maltempo che ha colpito il sud e l'est della Svizzera (ma non solo) in questi giorni ha dimostrato quanto siano importanti i boschi di protezione. Per essere efficaci, però, devono essere sani.
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Solo un bosco di protezione sano rappresenta un riparo efficace ed economico dai pericoli naturali. Il futuro di queste foreste, però, è sempre più a rischio. Esperte ed esperti i provenienti da tutta la Svizzera e dall’estero si sono incontrati nel canton Grigioni per discutere dell’attuale situazione. Tra questi anche il Gruppo svizzero per la selvicoltura di montagna (GSM), che ha presentato non solo delle analisi, ma anche proposte concrete, come per esempio il ricorso a nuove piante.
Attualmente le foreste elvetiche sono composte principalmente da abeti rossi e bianchi, ma è un paesaggio che è destinato a mutare. Sono già comparse querce, sorbi e diversi tipi di acero: “Un ricambio dovuto al clima caldo e secco, che andrà avanti per anni”, spiega ai microfoni della Radiotelevisione della Svizzera italiana RSI il presidente del GSM Luca Plozza.
Una teoria condivisa anche da Harald Bugmann, ecologo forestale presso il Politecnico federale di Zurigo: “È praticamente sicuro che in futuro gli abeti bianchi e gli abeti rossi che compongono la quasi totalità del bosco scompariranno. Se il faggio riuscirà a resistere o addirittura a diffondersi, invece, è molto meno sicuro”.
Il problema della selvaggina
L’evoluzione della natura dipende da molti fattori, a volte imprevedibili e le cose potrebbero ancora cambiare, ma per piante come le latifoglie un pericolo è già evidente: gli animali selvatici. Si tratta di piante amate dalla selvaggina che, nutrendosene, ne riduce il numero. E senza l’introduzione di nuove specie vegetali, i boschi si diraderanno sempre di più, perdendo così la loro capacità di riparare efficacemente da frane e slavine paesi e strade di montagna. Due le soluzioni proposte: da una parte proteggere le giovani piantine “ridirigendo” gli animali verso altre piante, dall’altra la riduzione del numero di esemplari presenti in queste aree.
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La preoccupazione maggiore, spiega la ricercatrice dell’Istituto per lo studio della neve e delle valanghe (SLF) di Davos Alessandra Bottero, “è quando i danni estesi avvengono nei boschi di protezione diretta, ovvero quelli che proteggono da valanghe o cadute di massi. Quindi lì è veramente utile capire dove ci sono danni e occorre intervenire in maniera molto repentina”.
L’importanza di queste foreste, insomma, è primaria per il gruppo di una sessantina di esperti ed esperte provenienti da università, istituti di ricerca, Confederazione e Cantoni queste foreste sono la priorità. Anche perché l’alternativa a queste barriere naturali non è facilmente realizzabile, spiega Plozza: “L’alternativa sarebbe costruire opere di protezione, terrapieni e ripari valangari che costano molto di più e non potremmo permettercelo”.
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