Il ricordo, in molti newyorchesi, è ancora vivido
Keystone / Judie Stein
Sono passati 20 anni dall’attentato dell’11 settembre e il presidente statunitense Joe Biden si è rivolto al mondo già venerdì sera: “Quando siamo vulnerabili, l’unità è la nostra più grande forza. Questa per me è la lezione centrale di quell'11 settembre. Unità non significa che dobbiamo credere tutti alle stesse cose, ma che dobbiamo avere un fondamentale rispetto e fede gli uni negli altri."
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Biden si è recato nel corso della notte a New York, dove, insieme a Barack Obama, si recherà a Ground Zero (il luogo dove fino all’11 settembre sorgevano le Torri Gemelle). La città, blindata e avvolta nel silenzio, ricorda le vittime di quell’attentato, illuminando come ogni anno quel vuoto lasciato dai due grattacieli del world Trade Center.
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Un momento di silenzio anche al Pentagono, che ricorda le sue vittime, come pure Shanksville in Pennsylvania, dove si schiantò l’unico volo dirottato che non riuscì a centrare il suo obiettivo perché i 40 passeggeri presenti a bordo si ribellarono e sabotarono i piani dei terroristi.
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Solidarietà con gli Stati Uniti è stata espressa oggi anche dal resto del mondo: “L’11 settembre ricordiamo coloro che hanno perso la vita e onoriamo coloro che hanno rischiato tutto per aiutarli” ha scritto la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, mentre il presidente del Consiglio europeo Charles Michel commenta: “Gli orribili attacchi di 20 anni fa hanno cambiato il corso della storia”.
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A nome della Confederazione, il presidente Guy Parmelin, ha dal canto suo ricordato che quel giorno ha cambiato la politica in tutto il mondo.
L’11 settembre degli svizzeri a New York
Quel giorno a New York c’erano anche dei cittadini elvetici, che ricordano vividamente quanto accaduto: “Si poteva vedere l’enorme scia di fumo che si alzava dal World Trade Center. È stato uno shock assoluto, come in una scena di guerra”, racconta il ginevrino Oliver Augen, direttore di Swissnex New York. “Un’enorme massa di persone si spostava dal sud al nord di Manhattan a piedi. Non c’era più la possibilità di prendere la metro, i mezzi pubblici erano interrotti. I ponti erano chiusi, quindi bisognava per forza spostarsi a piedi. (…) C’era un’atmosfera surreale, con gli aerei da combattimento che passavano su Central Park ogni 5 o 10 minuti.”
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La Grande Mela si è svegliata profondamente diversa dopo gli attentati e molto rapidamente anche l’idea della vendetta ha guadagnato terreno: “Era come se fossimo stati attaccati nel cuore della città”, aggiunge Olivier.
La gallerista lucernese Corinne Erni ha lasciato la città per San Francisco il 9 settembre, con lo stesso volo dirottato due giorni dopo dai terroristi, che si è poi schiantato in Pennsylvania. “Ero sbalordita. Ho pensato che avrei potuto essere io, e mi sono chiesta come si sentissero le persone su quell’aereo quando si sono rese conto di essere con i terroristi.” Tornata a New York, Corinne ha vissuto nella paura di un altro attacco: “Ricordo che quando sentivo gli aerei troppo vicini, ero nervosa. Avevo paura di prendere la metropolitana perché era un obiettivo facile”. Poi però ha anche vissuto la rinascita della città: “New York non si può distruggere. La mia vita deve andare avanti anche qui… La mia voglia di viverci è ancora più forte”.
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