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Diversi svizzeri ancora bloccati in Afghanistan

soldati armati sorvegliano torre di controllo di aeroporto
L'aeroporto di Kabul resta per ora ancora sotto il controllo USA Keystone / Staff Sgt. Victor Mancilla

Gli sforzi della Confederazione per rimpatriare dall’Afghanistan cittadini elvetici e collaboratori afghani continua e sabato un aereo della compagnia Swiss sarà inviato in Uzbekistan, snodo principale dei voli che partono da Kabul. Sono tre gli obiettivi di questo volo: portare materiale sanitario, collaborare ai rimpatri e mandare rinforzi (sei persone) alla squadra elvetica già presente a Kabul.

“Il popolo afghano ha bisogno di noi e ha bisogno della comunità internazionale. Siamo preoccupati per la situazione”: con queste parole il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) ha aperto la conferenza stampa dedicata all’impegno elvetico in Afghanistan.

Il DFAE, ha dichiarato Hans-Peter Lenz, capo della cellula di crisi, è cosciente del fatto che “forse non tutte le persone che dovrebbero tornare potranno salire a bordo. Si tratta di un contributo agli sforzi internazionali per accelerare l’evacuazione da Kabul”.

Per il momento 11 dei 25 cittadini elvetici presenti in Afghanistan hanno potuto lasciare il Paese. Uno solo è tornato nella Confederazione, gli altri si trovano in altri Stati. Nessuno degli oltre 230 collaboratori locali e familiari ha invece potuto andarsene.

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Il Partito socialista elvetico ha dal canto suo indetto venerdì una conferenza stampa nel corso della quale ha chiesto al Governo di accogliere 10’000 persone. Una richiesta sostenuta anche dai Verdi e firmata online da oltre 40’000 persone.

“La situazione continua a cambiare. Nessuno sa davvero come si svilupperà. Il Governo continuerà a valutare la situazione, ma per il momento non possiamo prendere decisioni”, ha spiegato dal canto suo il segretario di Stato supplente Johannes Matyassy.

Liste nere e spedizioni punitive

Intanto sono già 18’000 le persone che hanno lasciato il Paese da quando i talebani hanno ripreso in mano il potere la scorsa domenica. All’aeroporto di Kabul, però, ci sono ancora migliaia di uomini e donne in attesa di poter partire. Si tratta soprattutto di persone che per 20 anni hanno lavorato per gli occidentali e che ora temono ripercussioni da parte dei terroristi, nonostante questi abbiano assicurato che non cercano la vendetta e che non impediscono a nessuno di andarsene.

Dichiarazioni che sono però in contrasto con i racconti sempre più numerosi di spedizioni punitive. Stando all’ONU ci sarebbero delle vere e proprie liste nere e un reale rischio di assistere a delle esecuzioni di massa. Nelle ultime ore la categoria presa maggiormente di mira è quella dei giornalisti.

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Joe Biden: “Questa guerra andava conclusa”

Joe Biden si è intanto di nuovo rivolto venerdì al pubblico, insistendo su alcuni punti. Inizialmente ha spiegato che sono 6’000 i soldati americani che stanno cercando di garantire la sicurezza intorno all’aeroporto di Kabul. Ha poi promesso che “ogni americano che vorrà lasciare il Paese, verrà portato a casa. Costi quel che costi”. Si è poi rivolto direttamente ai terroristi ai quali ha fatto sapere che se cercheranno di interferire con queste operazioni, la risposta USA “sarà veloce e potente”.

Alla domanda di un giornalista su eventuali ripensamenti riguardo al ritiro delle truppe a stelle e strisce dall’Afghanistan, l’inquilino della Casa Bianca ha risposto “No, assolutamente. Questa guerra andava finita”.

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