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Abusi in seno alla Chiesa Svizzera: reazioni, scuse e spiegazioni

chierichetti in fila in chiesa
I casi venuti alla luce hanno rivelato dei problemi sistemici nell'istituzione. © Keystone / Olivier Maire

Non sono mancate le reazioni in seguito alla pubblicazione di uno studio dell'Università di Zurigo (UZH) che rivela oltre 1'000 abusi in seno alla Chiesa cattolica svizzera avvenuti dal 1950 a oggi.  

Abusi sessuali ai danni di circa 900 persone che sono stati spesso insabbiati, confermando quanto sostenuto da numerose associazioni a sostegno delle vittime di questi episodi nella Chiesa. Queste ora chiedono che la nunziatura di Berna e il Vaticano rendano finalmente accessibili i loro archivi. “Oggi il Papa afferma di voler far luce su questa vicenda, ma si rifiuta ancora di consentire l’accesso agli archivi”, ha denunciato nel corso di una conferenza stampa presso l’UZH Jacques Nuoffer, presidente del gruppo romando SAPEC, che offre sostegno delle vittime di abusi nella Chiesa cattolica. Nuoffer ha anche chiesto la creazione di un call center nazionale per le vittime, nonché uno studio quantitativo e maggiori risorse per la ricerca legale, psicologica e sociologica.  

Anche l’Associazione svizzera dei liberi pensatori ha diffuso un comunicato stampa nel quale ha criticato il comportamento della Chiesa cattolica durante il periodo considerato dallo studio dell’UZH. L’Associazione si è anche espressa negativamente sullo Stato laico, accusandolo di aver “fallito” nella sua responsabilità di prevenire tali abusi e di sequestrare tutti i documenti probatori, specialmente considerando che conferisce “marchi di qualità” alle comunità religiose. Ha inoltre chiesto di porre fine ai “privilegi legali” di cui godono queste ultime.  

Lo studio presentato lunedì dall’UZHCollegamento esterno  ha rivelato oltre 1’000 abusi ai danni di circa 900 vittime avvenuti nell’arco di 70 anni (dagli anni Cinquanta dello scorso secolo a oggi). Abusi che sono avvenuti soprattutto in ambito pastorale: confessioni, consulenze, servizi liturgici, insegnamento religioso e attività per l’infanzia, ma anche nella formazione e nell’aiuto sociale. Violenze a sfondo sessuale che sono state ignorate, occultate e minimizzate dai responsabili fino agli anni 2000. Nel caso di due diocesi – quella di Lugano e quella di Sion – è stata dimostrata anche la distruzione volontaria di materiale d’archivio.  

La necessità di un “cambiamento radicale” 

Un quadro “che spaventa e sconcerta”, ha dal canto suo commentato il presidente della Conferenza dei vescovi svizzeri Felix Gmür. Sono 510 le persone accusate di aver perpetrato gli abusi su una maggioranza di minorenni (il 74% dei casi emersi). Anche perché, ha dimostrato lo studio, le punizioni nei confronti dei responsabili (in grandissima maggioranza, uomini), o non ci sono state o sono state estremamente lievi e i casi molto spesso sono stati banalizzati dai superiori che ne erano venuti a conoscenza. Quello che invece è stato fatto sistematicamente è stato trasferire i responsabili, spesso all’estero, per evitare procedimenti giudiziari e consentire loro di continuare a lavorare per la Chiesa.  

Altri sviluppi

Secondo monsignor Gmür, citato dal sito Vatican News, “dietro ogni numero vi sono una persona, un volto e una vita distrutti” e quanto venuto alla luce rivela un problema non solo degli individui, ma questioni sistemiche delle quali devono rispondere i diretti colpevoli, come pure la loro gerarchia.  

I vescovi e i religiosi in Svizzera, ha concluso, si impegneranno “per un cambiamento radicale della cultura, al fine di lasciare alle future generazioni una Chiesa più umana e più degna”. 

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Scuse e spiegazioni 

San Gallo

Scuse ufficiali sono intanto giunte da più parti: il vescovo di San Gallo, nella cui diocesi sono stati documentati due casi, ha ammesso che sono stati commessi degli errori. Nel corso di una conferenza stampa organizzata in seguito alla presentazione dello studio dell’UZH, monsignor Markus Büchel ha chiesto perdono e ha fatto sapere che è stata sporta una denuncia penale contro un sacerdote, e che è stata aperta un’indagine interna. Ha fatto anche un “mea culpa” ammettendo di non aver indagato ulteriormente quando, nel momento della sua entrata in carica nel 2006, il suo predecessore non gli ha trasmesso nessun dossier aperto su casi di abusi. “È stato un grande errore da parte mia non aver controllato le verifiche fatte dal mio predecessore”, ha ammesso.  

Losanna, Ginevra e Fruburgo

Charles Morerod, vescovo di Losanna, Ginevra e Friburgo, non ha invece offerto scuse ufficiali. Accusato anche lui di non essere intervenuto dopo essere venuto a conoscenza di alcuni casi, ha fatto sapere in un’intervista a una testata romanda, che non esclude di dimettersi se dovesse scoprire di aver commesso gravi errori. “Non è che io sia particolarmente attaccato alla mia posizione di vescovo: se dovessi dimettermi, sarebbe per me una liberazione”. Secondo il domenicale SonntagsBlick, non solo non avrebbe fatto nulla dopo essere venuto a conoscenza di fatti gravi, ma avrebbe promosso uno dei colpevoli. “Sono state spezzate delle vite – ha anche detto ai microfoni della Radiotelevisione svizzera di lingua francese RTS – e la figura eccessivamente sacralizzata del sacerdote ha contribuito agli abusi”. Uno degli obiettivi di questo studio, ha aggiunto, “è da un lato dire alle vittime ‘Vi crediamo’, visto che fino ad allora lo abbiamo negato, e dall’altro cercare di capire come sia potuto accadere”.  Dal canto suo, ha sottolineato, non c’è mai stata la volontà d’insabbiare nulla.  

Coira

Il vescovo di Coira, Joseph Bonnemain, ha detto che ha intenzione di intervenire per fare chiarezza. La responsabilità della Chiesa cattolica è “molto pesante”, ha riconosciuto. “Abbiamo esitato per troppo tempo ad affrontare il problema e abbiamo trattato ogni abuso come un caso isolato, invece di rivolgere uno sguardo critico al sistema”, ha asserito. “Occorre finalmente affrontare questo problema sistemico, legato alle relazioni di potere, alla sessualità e all’immagine della donna. Dobbiamo anche migliorare la formazione dei sacerdoti”.  

Da noi contattato, il suo ufficio stampa ha dichiarato che la distruzione sistematica degli archivi ogni 10 anni è stata una regola introdotta per una mera questione di logistica, ossia per una mancanza di spazi fisici dove conservare tutto. “Da una ventina d’anni, però, non abbiamo più distrutto nulla”. Alla domanda “Cosa si può dire oggi alle vittime di questi abusi?”, la risposta è: “Non diciamo nulla. Adesso dobbiamo restare in silenzio. Siamo profondamente dispiaciuti. Per troppo tempo abbiamo pronunciato troppe parole e non è cambiato nulla. Adesso è il tempo di agire”. Le azioni concrete e immediate previste dalla Conferenza dei vescovi svizzeri sono state rese note negli scorsi giorni. Nuove strutture e servizi professionali alle quali le vittime si potranno rivolgere per sporgere denuncia saranno create in tutta la Svizzera. “Nei prossimi mesi verranno esaminati vari modelli di organismi di denuncia indipendenti e ne verrà avviata l’attuazione”.

Verranno inoltre introdotti controlli più severi nella selezione dei futuri dipendenti della Chiesa. In tutta la Confederazione verrà introdotto un esame psicologico standardizzato cui dovranno sottoporsi tutti coloro che sono interessati a una formazione nel ministero ecclesiastico. “Lo stesso vale per le persone che si sentono chiamate alla vita religiosa”, scrive il vescovo Bonnemain in un comunicato.

“La gestione delle risorse umane”, si legge nella nota, “sarà professionalizzata e saranno introdotti standard minimi in conformità con le leggi vigenti sulla protezione dei dati per la tenuta dei fascicoli del personale e la divulgazione di informazioni rilevanti sui dipendenti della Chiesa”. 

Infine, in un autoimpegno scritto, “tutti i leader della Chiesa ai vertici delle diocesi, delle chiese regionali e delle congregazioni religiose dichiarano che non distruggeranno alcun fascicolo relativo a casi di abuso o che documenta come li hanno affrontati”. Questo significa che il Diritto canonico non verrà applicato a questo tipo di documenti. 

Lugano

Disponibilità ad andare a fondo della questione è stata espressa anche dall’amministratore apostolico della Diocesi di Lugano Monsignor Alain De Remy. Diocesi che, è emerso dallo studio, si è resa colpevole della distruzione degli archivi, fondamentali per poter ricostruire con precisione tutti gli episodi. Ma la colpa, secondo il vicario generale di Lugano Don Nicola Zanini, è della gerarchia: “Non penso vi sia stata volontà di insabbiamento”, ha dichiarato ai microfoni della Radiotelevisione svizzera di lingua italiana RSI. Chi ha agito in questo modo “ha messo in pratica quello che prevedeva il Codice di diritto canonico, con l’errore – questo sì – di non averne lasciato traccia”.

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+ Abusi sessuali nella Chiesa cattolica, il ruolo della diocesi di Lugano

Sion 

Accusato di occultamento anche il vescovo di Sion Jean-Marie Lovey, che ha fatto sapere di non aver personalmente distrutto nessun documento, ma ha confermato che il suo predecessore lo ha fatto: “Il vescovo Norbert Brunner mi ha dato la chiave degli archivi segreti e un documento che mostrava cosa aveva distrutto e cosa era rimasto”, ha spiegato. Lovey è oggetto di un’indagine interna da parte della Conferenza episcopale svizzera e se sarà dimostrato che ha deliberatamente dissimulato casi di abuso, il vescovo di Sion ha annunciato che è pronto a dimettersi.  

Abbazia di St. Maurice

L’abate di Saint Maurice (canton Vallese) Jean Scarcella è invece sotto indagine perché accusato di essere l’autore di alcune molestie. Scarcella sii è autosospeso fino alla fine dell’inchiesta “per garantirne l’indipendenza”, promettendo la sua piena cooperazione.  

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Ora che il vaso di Pandora è stato aperto, le indagini interne si moltiplicheranno ed è molto probabile che emergeranno altri casi, altre vittime e altri colpevoli di cui si dovrà occupare la Giustizia.  

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