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Telelavoro per i frontalieri, l’Italia ufficialmente tentenna

Un PC protatile appoggiato al tavolo di cucina.
Lavorare da casa per un frontaliere ha importanti ripercussioni sul piano fiscale e previdenziale. © Keystone / Christian Beutler

Il telelavoro per le lavoratrici e lavoratori frontalieri sarà fuorilegge a partire dal primo luglio 2023. L’accordo del mese di aprile scorso tra Governo italiano e Confederazione per prolungare il lavoro da remoto in via transitoria fino al 30 giugno di quest'anno, dal primo luglio decade e non è previsto a breve un accordo definitivo. Ma non tutto è perso. Dietro le quinte si starebbe agendo per trovare una soluzione definitiva.

Il Senato italiano – in occasione della discussione sul DDLCollegamento esterno ‘Accordo tra la Repubblica italiana e la Confederazione svizzera relativo all’imposizione dei lavoratori frontalieri’ del 31 maggio 2023 – ha invano tentato di regolamentare in modo definitivo il telelavoro per i frontalieri.

Così a Palazzo Madama, mentre le senatrici e senatori accettavano in maniera definitiva l’accordo sull’imposizione fiscale dei frontalieri (dopo 10 anni di negoziazioni), gli stessi membri della Camera alta – di tutti gli indirizzi politici – hanno invitato il Governo di centrodestra a negoziare rapidamente un accordo definitivo sul telelavoro sulla falsariga di quello firmato tra la Confederazione e la FranciaCollegamento esterno alla fine del 2022. 

È proprio quanto richiesto dal senatore pentastellato Massimo De Rosa, il quale è tornato “a chiedere con forza al Governo Meloni di impegnarsi per risolvere questo problema non con pezze temporanee o nuove proroghe, ma in maniera strutturale e stabile con il rinnovo dell’Accordo”. In breve, ha chiarito ancora De Rosa, “la nostra richiesta è che il Governo concluda subito con la Svizzera un’intesa definitiva analoga a quella siglata mesi fa tra Svizzera e Francia, per cui il lavoro svolto a domicilio fino al 40 per cento del monte ore complessivo, ovvero due giorni a settimana, non metta in discussione lo status di lavoro frontaliero e conseguentemente non comporti penalizzazioni dal punto di vista fiscale e previdenziale”.

Le richieste dei pentastellati, sostenute da tutte le forze politiche, le ha riassunte infine Bruno Marton del Movimento 5 Stelle con il suo ordine del giorno: il senatore ha cercato di obbligare il Governo italiano a “intervenire, nelle sedi opportune, al fine di prolungare l’accordo amichevole per lo svolgimento delle modalità di lavoro da remoto sino alla formalizzazione tra Italia e Svizzera di apposita regolamentazione che disciplini dette modalità di lavoro per i lavoratori frontalieri in modo da renderlo strutturale per il periodo successivo a giugno 2023”.

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Il sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale, Giorgio Silli, presente in Senato, non si è detto di principio contrario alla richiesta di Marton, e più in generale del Senato, di risolvere la questione del telelavoro. Per farlo però ha riformulato il testo: ha semplicemente fatto cancellare l’ultima frase, ovvero “in modo da renderlo strutturale per il periodo successivo a giugno 2023”.

Sibillina la risposta di Bruno Marton: “Se il Governo annacqua gli ordini del giorno, anche quelli della Lega, che fa parte dello stesso Governo, mi sembra più una presa in giro che una reale volontà di risolvere il problema. Detto questo, accetto la riformulazione, ben consapevole del fatto che non affronterete il tema e che lo lascerete cadere fino al prossimo Governo”.

Dunque, nulla di fatto? Non proprio. Secondo Andre Puglia dell’ufficio frontalieri del sindacato OCST di Lugano, “innanzi tutto è già stato positivo aver trovato un accordo amichevole fino alla fine di giugno. Da quello che sappiamo noi, c’è inoltre la volontà politica, sia italiana sia svizzera, di trovare una soluzione e le parti sarebbero già al lavoro”.

Ma cosa succede allora dal primo luglio? “Crediamo che un vuoto normativo non serva a nessuno. Immagino che verrà trovata una soluzione stabile per il telelavoro e che la norma sarà retroattiva. Per questo motivo sono abbastanza fiducioso che si possa trovare una soluzione adeguata entro un tempo accettabile”.

Visto lo sviluppo del telelavoro durante la crisi sanitaria e le misure eccezionali introdotte per contrastare l’emergenza sanitaria da Covid-19, la Repubblica Italiana e la Confederazione Svizzera in data 18-19 giugno 2020, hanno stipulato un accordo amichevole. Sono così state definite le disposizioni per lo svolgimento delle modalità di lavoro da remoto per le lavoratrici e i lavoratori transfrontalieri, con un tacito rinnovo a cadenza mensile.

Il 21 dicembre 2022 la Segreteria di Stato svizzera per le questioni finanziarie internazionali (SFICollegamento esterno) ha comunicato che l’accordo amichevole inerente il telelavoro sarebbe cessato il 31 gennaio 2023. Alla fine del mese di aprile 2023, i due Paesi hanno infine trovato un accordo per prolungare il telelavoro, in via transitoria, fino al 30 giugno di quest’anno.

C’era dunque chi sperava che il 31 maggio scorso a Palazzo Madama il Governo italiano si impegnasse a trovare un accordo strutturale per il periodo successivo a giugno 2023. Cosa che non è successa.

Ma di cosa si parla veramente quando si cita il telelavoro?  Qual è la posta in gioco? Perché il telelavoro deve essere chiarito a livello giuridico con un accordo tra Italia e Svizzera? Occorre fare un attimo di chiarezza.

Assicurazioni sociali e fisco

“Si deve aver ben in chiaro che l’inquadramento giuridico del telelavoro dei lavoratori frontalieri ha due livelli di impatto, uno previdenziale, ovvero che riguarda i contributi pensionistici e uno fiscale, ovvero che concerne la tassazione del reddito da lavoro” chiarisce il sindacalista Andrea Puglia.

Certo il telelavoro ha avuto anche un impatto ambientale, togliendo migliaia di automobili dalle strade e ha favorito anche una miglior conciliazione tra lavoro e vita privata. Ma se parliamo di telelavoro e accordi internazionali, è perché lavorare da casa per una o un frontaliere ha una forte implicazione giuridica.

Dal punto di vista previdenziale, in base al diritto europeo (art. 14 del Reg. CE n. 987/09Collegamento esterno), una persona residente in Italia che lavora in Svizzera può lavorare da casa al massimo per il 24,99% del tempo di lavoro previsto dal contratto. “In caso di superamento di questa soglia – puntualizza Puglia – l’autorità previdenziale italiana (cioè l’INPS, ndr.) acquisisce la facoltà di richiedere all’azienda svizzera l’incasso del relativo contributo in Italia”. A causa della pandemia, l’Unione Europea ha deciso di sospendere questo limite fino al 30 giugno 2023.

C’è poi l’aspetto più noto, quello fiscale. In base all’ormai vecchio Accordo tra Italia e Svizzera sulla tassazione dei frontalieri, “il lavoratore italiano residente nei Comuni di frontiera – aggiunge Puglia – se svolge delle intere giornate di lavoro su suolo italiano è tenuto a dichiarare in Italia l’intero reddito da lavoro” con relativo incremento della tassazione. Anche in questo caso durante la pandemia è stata sospesa questa misura grazie a all’accordo amichevole transitorio più volte citato: è stato concesso alle persone frontaliere la possibilità di lavorare da casa per il 40% del tempo di lavoro senza avere impatti tributari. Anche in questo caso la norma resterà valida solo fino al 30 giugno 2023.

Cosa accade dal primo luglio 2023?

Come ha già sottolineato Andrea Puglia, “un accordo per il telelavoro da un punto di vista fiscale verrà sicuramente trovato. Anche se non entro la fine del mese di giugno. Comunque l’ipotesi più accreditata è che i Governi di Italia e Svizzera andranno a negoziare un accordo che permetterà di lavorare da casa fino al 40% del proprio tempo lavorativo. A quel punto – conclude Puglia – questo 40% sarà valido sia per il piano fiscale che per quello previdenziale”. 

D’altra parte, l’UE ha proclamato che a partire dal primo luglio 2023 i singoli Stati avranno la libera facoltà di concedere alle persone frontaliere di lavorare da casa fino al 49,9% del tempo di lavoro senza avere impatti di natura previdenziale.


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