Il sogno infranto di una Sardegna svizzera a dieci anni dalla nascita

Da provocazione a progetto strutturato, l'idea di annettere la Sardegna alla Confederazione Elvetica compie un decennio. Un viaggio tra la genesi, lo sviluppo e l'eredità di una proposta che ha fatto discutere anche l'Europa, mescolando pragmatismo, identità e un pizzico di utopia.
Sono passati più di dieci anni da quando, quasi come una boutade lanciata durante una discussione tra amici, prese forma un’idea tanto audace quanto affascinante: trasformare la Sardegna nel 27esimo cantone della Svizzera, il “Canton MarittimoCollegamento esterno“. Nata dall’iniziativa dei cagliaritani Andrea Caruso, odontoiatra, ed Enrico Napoleone, imprenditore, la proposta non era solo una provocazione, ma la risposta a un profondo senso di frustrazione verso l’inefficienza statale italiana e, al contempo, un’ammirazione per il modello federale, efficiente e rispettoso delle autonomie locali della Svizzera.
La genesi di un’idea
L’idea del Canton Marittimo non è rimasta confinata a una chiacchierata. Ha trovato subito un terreno fertile sui social media, dove il gruppo Facebook dedicato ha raccolto in pochi giorni migliaia di iscritti, superando in breve tempo i 14’000 membri. Questo entusiasmo digitale si è presto trasformato in un segnale politico concreto: alle elezioni regionali del 2014, circa 1’800 elettori annullarono la propria scheda scrivendo “Canton Marittimo”, un voto di protesta che diede la prima misura tangibile del sentimento popolare.
>>Il nostro primo servizio sul Canton Marittimo:

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La filosofia alla base era chiara: se l’indipendentismo puro sembrava una strada impervia, l’annessione a un modello statale funzionante rappresentava una soluzione pragmatica. I promotori la definirono una forma di “separatismo per annessione”, un’autocritica che ammetteva le difficoltà interne dell’isola e cercava una soluzione “andando con i migliori”, come recitava uno degli slogan. L’interesse fu tale che media internazionaliCollegamento esterno come la BBC, il Wall Street Journal e Der Spiegel dedicarono articoli al fenomeno.
I passi concreti
Quella che molti liquidarono come una goliardata iniziò a strutturarsi. Venne creata l’associazione “Canton Marittimo” e, passo dopo passo, l’iniziativa superò i confini nazionali. I promotori organizzarono un “Tour de Suisse” per presentare il progetto non solo alla popolazione ma anche alle istituzioni elvetiche.

Il momento di svolta arrivò con l’accoglienza ricevuta nel Canton Vaud, dove una delegazione sarda fu ricevuta ufficialmente dal presidente del Gran Consiglio. Questo clima favorevole portò, nel settembre 2015, alla fondazione a Losanna della “Societé Sardaigne Canton Maritime”, un’associazione gemella con l’obiettivo di promuovere scambi economici, scientifici e culturali tra la Sardegna e la Svizzera.
>>Il Canton Marittimo si presenta alle autorità vodesi:

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L’impatto e l’eredità a dieci anni di distanza
Sebbene la strada per un’annessione reale fosse legalmente e politicamente quasi impossibile – scontrandosi con principi costituzionali come l’indivisibilità della Repubblica Italiana – l’impatto dell’idea è stato innegabile. Il progetto ha acceso un dibattito sulla gestione dell’autonomia, sull’efficienza della pubblica amministrazione e sul rapporto tra centro e periferie.
Oggi, a un decennio di distanza, l’eco del Canton Marittimo non si è spenta. L’idea riemerge ciclicamente, soprattutto sui social media, dove meme e discussioni la mantengono viva, testimoniando come quel sogno di efficienza e autonomia continui a solleticare l’immaginario collettivo. Anche se la Sardegna non è diventata un Cantone svizzero, l’iniziativa ha dimostrato la volontà di una parte della sua popolazione di cercare modelli alternativi e ha creato un ponte culturale ed economico con la Svizzera che persiste ancora oggi.
Intervista a Enrico Napoleone
TVS: Enrico Napoleone, l’idea del “Cantone Marittimo” nacque dieci anni fa. Quali furono le motivazioni profonde che vi spinsero a concepire una proposta così singolare per la Sardegna?
Enrico Napoleone: L’idea nacque da una profonda riflessione sulla situazione in cui versava la Sardegna dieci anni fa, una condizione che, purtroppo, non è migliorata, anzi, sotto certi aspetti è peggiorata. Ritenemmo che fosse necessaria una rottura con il passato, avviare un vero e proprio cambio di paradigma. Volevamo valorizzare il nostro enorme potenziale, ma sentivamo il bisogno di chi potesse insegnarci come farlo. In questo contesto, abbiamo individuato negli svizzeri un modello di riferimento. Soprattutto quella Svizzera così attenta alle autonomie regionali.
Inizialmente, l’iniziativa fu definita una “provocazione”. Qual era l’obiettivo di questa provocazione e come si è evoluta nel tempo?
Sì, inizialmente era una provocazione mirata a smuovere l’animo dei sardi. Le posizioni indipendentiste sarde sono sempre state forti e radicate, ma noi volevamo proporre uno spunto diverso, quasi paradossale, che andasse oltre la semplice indipendenza. L’obiettivo era quello di mirare a un’integrazione nella Confederazione svizzera. Quella che era nata come una provocazione, grazie all’accoglienza e all’interesse riscontrato in Svizzera, è diventata qualcosa di più concreto e ha acquisito una sua dignità progettuale.
Quali benefici concreti avrebbe potuto portare, e potrebbe ancora portare, un sodalizio tra la Sardegna e la Svizzera?
I benefici che abbiamo individuato dieci anni fa sono ancora validi oggi. La Sardegna offre alla Svizzera una posizione strategica al centro del Mediterraneo, un luogo apprezzato per il turismo, ma soprattutto una potenziale base per lo sviluppo di attività imprenditoriali e commerciali. Con una superficie di poco più della metà della Svizzera e una bassa densità demografica, l’isola presenta spazi enormi che possono essere sfruttati in modo sostenibile. Inoltre, il clima è decisamente più mite e favorevole rispetto a quello svizzero. Per la Sardegna, l’adesione avrebbe significato l’adozione di un modello di governance basato sul massimo rispetto delle autonomie locali, tipico del sistema cantonale svizzero, garantendo stabilità economica e opportunità di sviluppo.
Come fu accolta l’iniziativa in Svizzera?
Con molto interesse ed entusiasmo, il che fu una grande sorpresa per noi. Non avevamo fatto nulla di specifico per far sì che la nostra proposta arrivasse in Svizzera, eppure ottenne una risonanza notevole. Oltre a un interesse generale, ricevemmo l’attenzione di politici e imprenditori che avevano colto il potenziale dell’idea. Al di là dell’aspetto utopistico, vedevano la possibilità di un sodalizio concreto tra Svizzera e Sardegna in ambito imprenditoriale. Abbiamo avuto incontri con organizzazioni imprenditoriali e figure politiche di spicco. Sebbene non si sia concretizzato nulla di formale, i contatti furono significativi.
Il vostro “sogno” si è arenato. Quali sono state le ragioni principali di questo rallentamento o della sua interruzione?
Purtroppo, sì. Io e Andrea ci siamo stancati e abbiamo perso un po’ di entusiasmo perché non abbiamo avuto un riscontro locale adeguato rispetto a quanto avevamo seminato. Non c’è stato alcun supporto significativo dalla politica sarda. I due governi regionali che si sono succeduti in questi anni (prima di centrosinistra, poi di centrodestra) non hanno mostrato un interesse concreto. Di conseguenza, i nostri interlocutori svizzeri, constatando la mancanza di risposte da parte sarda, da pragmatici si sono progressivamente ritirati.
Cosa rimane oggi di quell’esperienza, sia a livello personale che per la Sardegna in generale?
L’interesse per l’idea continua a esserci. A differenza di quando partimmo, quando ricevemmo una marea di critiche, nel corso del tempo siamo riusciti a convincere molti detrattori che l’idea era valida. Oggi, a distanza di dieci anni, i detrattori sono quasi scomparsi, e rimangono soprattutto gli entusiasti. Nel frattempo, la Sardegna non è migliorata, anzi. La popolazione è diminuita e la situazione economica è tutt’altro che rosea.
Per fare un esempio. Negli ultimi 3-4 anni, le richieste di installazione di impianti rinnovabili, eolici e fotovoltaici, hanno raggiunto numeri stratosferici, trasformando l’isola in una “terra di conquista” per investitori globali. Il problema è che da tutto questo fermento, i sardi e la Sardegna non hanno tratto alcun beneficio economico.

Continuiamo a pagare l’energia più degli altri. In Sardegna, di fatto, non resta nulla di questo sfruttamento, e subiamo la volontà statale italiana, a differenza di quanto accadrebbe in Svizzera, dove i Cantoni hanno ampie autonomie decisionali. Siamo alla mercé dei “conquistatori” del nostro sole e del nostro vento, senza alcun vantaggio. In Svizzera questo non sarebbe mai successo. A livello personale, l’esperienza è stata bella e istruttiva, e ha lasciato in eredità rapporti umani duraturi.
Considerando l’evoluzione del mondo negli ultimi dieci anni, in particolare con fenomeni come il nomadismo digitale, l’idea del “Cantone Marittimo” avrebbe oggi basi ancora più solide?
Assolutamente sì. Dieci anni fa, fenomeni come il nomadismo digitale non erano così sviluppati o diffusi. Oggi, la possibilità di vivere e lavorare in Sardegna, godendo del suo clima e dei suoi spazi, pur mantenendo connessioni professionali globali, è una realtà concreta. Questo rende l’idea del “Cantone Marittimo” ancora più attuale e con basi ancora più forti. La Sardegna potrebbe attrarre talenti e investimenti, offrendo un modello di vita e di lavoro che combina qualità della vita e opportunità economiche, in un contesto di autonomia e governance efficiente come quello svizzero.

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