Il restauro di una villa cinquecentesca di Pesaro in mano a universitari svizzeri

Uno dei luoghi più sorprendenti del Rinascimento italiano viene ristrutturato da un gruppo di studenti e studentesse del Master in conservazione e restauro della SUPSI supportati da esperte ed esperti scientifici.
A Pesaro, immersa nel verde dei colli che circondano la cittadina, sorge Villa Imperiale che dalla fine del 1400 è stata la residenza della famiglia degli Sforza. Nel Cinquecento e nel Seicento è stata la residenza dei nobili liguri Della Rovere, duchi di Pesaro e Urbino, ai quali si deve buona parte degli affreschi che ne decorano le stanze.
La storia turbolenta che la villa Imperiale ha vissuto ha portato a renderne necessari, nel corso dei secoli, diversi restauri. La campagna più recente è eseguita per mano di un’équipe diretta dalla Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana (SUPSI), con il coinvolgimento delle studentesse e degli studenti del corso Master in conservazione e restauro.
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Il cantiere, in collaborazione tra la SUPSI e il Courtauld Institute of Arts dell’Università di Londra, viene svolto in seno al programma dedicato alla conservazione delle pitture murali. Gli studenti del primo e del secondo anno di master hanno studiato e messo in sicurezza le preziose decorazioni presenti in diverse stanze della villa.
“Si tratta di dipinti particolarmente preziosi e raffinati, eseguiti sotto la direzione dell’architetto, pittore e scenografo Girolamo Genga, che ha chiamato a lavorare per i duchi di Pesaro e Urbino artisti che si erano formati a Roma nella cerchia di Raffaello”, spiega l’architetta Giacinta Jean, professoressa responsabile del corso di laurea della SUPSI.
“Nonostante i fenomeni di degrado presenti, il ciclo pittorico che decora le otto sale del piano nobile è ancora ben conservato”.
La nascita della Villa Imperiale
L’edificio deve il suo nome ad un avvenimento che risale all’inizio dei lavori nel 1452: nel mese di gennaio di quell’anno, l’imperatore Federico III d’Asburgo fece tappa a Pesaro. Alessandro Sforza, committente dell’edificio, lo invitò a vedere il luogo su cui intendeva erigere la residenza. L’imperatore pose la prima pietra e da allora la villa è nota come Villa Imperiale.
A partire dal 1528, un ingrandimento della villa – che allora era diventata di proprietà dei duchi di Urbino Francesco Maria Della Rovere e Leonora Gonzaga – fu affidato al già menzionato Girolamo Genga. Questi fece decorare le sale dell’edificio sforzesco da famosi artisti dell’epoca quali Francesco Menzocchi, Raffaellino del Colle, Camillo Mantovano e i fratelli Dossi, e progettò una imponente estensione inserita nella collina.

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Gli anni dell’abbandono
Nel corso del Seicento i beni dei Della Rovere, tra cui la Villa Imperiale, passarono ai Medici. Dopo anni di abbandono, nel 1763, la villa venne abitata da gesuiti spagnoli e portoghesi che, costretti all’esilio, vi trovarono rifugio.
La vita e le esigenze dei religiosi poco si sposavano però con quelle di una struttura di tale pregio e valore artistico. Parte della residenza venne quindi rovinata: scompaiono molte decorazioni; sale e logge sono trasformare in celle e oratori; le altane vengono murate e viene anche costruito un nuovo piano sopra le terrazze.
La rinascita e i giorni nostri
Dopo questo periodo, è la famiglia Castelbarco Albani a diventare proprietaria della villa. Tra la seconda metà dell’Ottocento e i primi del Novecento, i nobili hanno commissionato a più riprese lavori di recupero e restauro mirati a riportare alla luce le strutture originarie della residenza e ripristinare le parti andate in rovina. Interventi di conservazione sono stati fatti in diverse tornate anche nei decenni seguenti fino ad arrivare ai giorni nostri.

La possibilità per gli studenti e delle studentesse del Master in conservazione e restauro della SUPSI di prendere parte a un progetto di questa portata, spiega Giacinta Jean, nasce dalla collaborazione che l’istituto intrattiene da anni con l’Università di Londra. Le due scuole, attraverso contatti intrecciati negli anni da diversi docenti, sono entrate in contatto con la famiglia Castelbarco Albani, proprietaria della residenza.
Quest’ultima ha accolto la proposta di collaborare per lo studio e la conservazione dei dipinti in un progetto che, oltre alla competenza tecnica e scientifica, abbia anche fini didattici e di ricerca.
L’inizio dei lavori
Una volta convenuti gli intenti, il sostegno finanziario dalla Fondazione Isabel e Balz Baechi per la protezione di pitture murali ha siglato la riuscita di questa collaborazione e, tra il 2022 e il 2023, sono stati mossi i primi passi preparatori con il supporto di professioniste e professionisti esperti.
Sono stati svolti studi preliminari e analisi dello stato di conservazione delle otto sale del piano nobile di Villa Imperiale, ottenuti i permessi e studiato un piano di lavoro compatibile con le risorse e i tempi a disposizione.

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“I lavori di messa in sicurezza, stabilizzazione e studio delle pitture sono iniziati già nel 2023 e sono continuati tra i mesi di settembre e novembre del 2024”, spiega l’architetta. “I fenomeni di degrado erano dovuti a una serie di cause concomitanti: da un lato la tecnica originale, dall’altro i trattamenti usati nei precedenti interventi di restauro eseguiti tra la seconda metà dell’Ottocento e la metà del Novecento, nonché dalle variazioni climatiche interne”.
Nel concreto, l’intervento delle e degli iscritti al master SUPSI ha permesso di affrontare il tema del sollevamento di scaglie dipinte. “Sono stati fatti interventi sulla pellicola pittorica, con lavori puntuali nella Sala del Giuramento e nella Sala della Calunnia. Terminati questi si è proceduto a iniziare quelli nella maestosa Sala delle Cariatidi”, racconta la professoressa.
“Non parliamo però unicamente di interventi manuali – continua –, si tratta anche di capire quali materiali usare considerando le caratteristiche di quelli originali. L’équipe deve valutare ‘cosa rimuovere’ e cosa conservare degli interventi precedenti e decidere in che direzione procedere”.

Tutto questo è facilitato dalla durata del cantiere. Per motivi organizzativi infatti i lavori vengono svolti per tre mesi l’anno: da settembre a fine novembre. “Questo ci permette di prepararci meticolosamente nel restante periodo, di osservare i cambiamenti e l’effetto dei nostri trattamenti e di pianificare i prossimi lavori”.
La squadra spera di continuare il progetto anche nel 2025 e di poterlo proseguire con regolarità nel tempo “per arrivare a una conservazione minima, mirata alle strette necessità, che possa garantire la salvaguardia di queste preziose opere”, asserisce Jean. Il futuro dipenderà dal sostegno finanziario e dalla ricerca di nuovi partner che appoggino l’iniziativa.
L’efficacia degli interventi sarà valutata nel tempo attraverso un programma regolare di monitoraggio delle superfici documentandone lo stato di conservazione, per verificare la durabilità delle soluzioni adottate e prevenire ulteriori problemi conservativi.

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