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Il Parlamento svizzero si mobilita per salvare la fabbrica di armi, di proprietà di Beretta

Munizioni per fucili.
Munizioni della Beretta Defense Technologies. KEYSTONE/DPA/Daniel Vogl

Con un voto quasi unanime, il Consiglio degli Stati ha approvato una mozione per impedire la delocalizzazione della Swiss P Defence, con sede a Thun. L'ex gioiello della tecnologia bellica elvetica, acquisito nel 2022 dall’italiana Beretta Holding, produce munizioni di piccolo calibro per l’esercito svizzero ed è oggi sull’orlo del baratro. 

La mozione, presentata dal consigliere agli Stati bernese Werner Salzmann (UDC, il partito della destra populista) il 18 settembre 2025 e sottoscritta da 12 cofirmatari di diversi schieramenti, chiede al Consiglio federale di avviare una cooperazione strategica con SwissPCollegamento esterno per impedire la chiusura o la delocalizzazione della fabbrica, e garantire la produzione di munizioni in Svizzera. È stata approvata con 35 voti favorevoli e 3 contrari. 

Il voto segna una netta divergenza con il Governo, che nel suo parere dello scorso 19 novembre aveva raccomandato di respingere la mozione, sostenendo la necessità di un’analisi approfondita prima di prendere decisioni. 

Una vendita che oggi fa discutere

La vendita della fabbrica di Thun a Beretta, approvata dal Parlamento nel 2021 e finalizzata nel febbraio 2022, è avvenuta appena due settimane dopo l’inizio della guerra in Ucraina. Con il senno di poi, in un contesto geopolitico sempre più teso, molti la considerano oggi una decisione avventata. 

Nel marzo 2022 il Consiglio federale ha confermato la cessione di RUAG Ammotec al gruppo bresciano Beretta Holding, che aveva prevalso sulle concorrenti norvegesi (Nammo) e ceche (Czechoslovak Group e CZ Group). All’atto della vendita, Beretta si era impegnata a mantenere i 2’700 dipendenti in tutti i siti di produzione e distribuzione del gruppo e, in particolare nella sede di Thun, dove erano impiegate circa 400 persone, per un periodo di cinque anni. 

Pietro Gussalli Beretta, presidente e amministratore delegato del gruppo lombardo, aveva giustificato l’acquisizione sottolineando la complementarità tra le due aziende: “Noi abbiamo le armi, RUAG ha le munizioni, non c’è sovrapposizione di attività”. Grazie a questa operazione, il gruppo bresciano, specializzato nella fabbricazione di armi da fuoco leggere per la caccia, lo sport e la difesa, si è ingrandito sensibilmente, arrivando a superare i 6’000 dipendenti e raggiungendo un fatturato aggregato di circa 1,5 miliardi di euro. 

Pochi mesi dopo, la situazione geopolitica in Europa si è drammaticamente deteriorata, rendendo evidente l’importanza strategica di una produzione nazionale di munizioni. Molti politici svizzeri, in particolare quelli conservatori, sottolineano come la cessione sia stata decisa in un momento di grave incertezza, senza considerare adeguatamente gli scenari di crisi che si sarebbero verificati poco dopo. 

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“La sicurezza del nostro Paese è in gioco”, ha tuonato Salzmann, ricordando come la pandemia di Covid-19 abbia già dimostrato i rischi di una dipendenza dall’estero in situazioni di crisi. Allora erano le mascherine, domani potrebbero essere i proiettili per l’esercito. 

Il Consiglio federale, pur riconoscendo che la vendita fu un passo falso e che la sicurezza degli approvvigionamenti è tornata a essere una priorità, mantiene una posizione prudente. Ha istituito un gruppo di lavoro per analizzare le diverse opzioni e garantire in modo duraturo l’approvvigionamento dell’esercito con munizioni di piccolo calibro. Per questo motivo respinge la mozione, pur assicurando che terrà conto dell’esigenza di preservare, per quanto possibile, la produzione nazionale. 

Licenziamenti e know-how in fuga

Il sito di Thun, che impiega oggi circa 350 persone, è diventato un simbolo della fragilità della sovranità industriale svizzera nel settore della difesa. 

La situazione è rapidamente peggiorata. Da ottobre 2024, quando la direzione ha lanciato il primo allarme sulla possibile chiusura, decine di persone sono state licenziate con effetto immediato. Altre, come rivela il quotidiano Blick, sono state “invitate” a cercarsi un nuovo lavoro, una strategia che secondo fonti interne serve a evitare un licenziamento di massa e il conseguente piano sociale. 

I tagli hanno colpito settori chiave: marketing, produzione di bossoli, controllo qualità, e logistica. Il laboratorio ha perso gran parte del suo personale. Il prezioso know-how è stato trasferito a Fürth, in Germania, dove il gruppo Beretta possiede un altro stabilimento. 

La sede di Thun
La sede di Thun della Swiss P Defence Keystone / Anthony Anex

La crisi è anche finanziaria. La direzione di Swiss P Defence ha giustificato i licenziamenti e il trasferimento del know-how con “ragioni economiche” legate alle restrizioni sulle esportazioni svizzere di materiale bellico, che vietano le vendite a Paesi in conflitto. A causa di queste misure, i magazzini sarebbero pieni di merce invenduta. 

La svolta sulle esportazioni

Sebbene i dossier non siano collegati, martedì il Consiglio nazionale è intervenuto approvando importanti allentamenti della Legge sul materiale bellico. Con 120 voti favorevoli, 63 contrari e 12 astensioni, la Camera del popolo ha autorizzato le aziende svizzere a esportare materiale bellico verso Paesi impegnati in un conflitto armato, purché non violino gravemente i diritti umani. 

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Un gruppo di 25 Paesi occidentali potrà acquistare armamenti svizzeri con maggiore libertà rispetto a oggi. Il Consiglio federale avrebbe diritto di veto, laddove ritenesse che tali esportazioni possano mettere in pericolo la neutralità o gli interessi di politica estera e di sicurezza della Svizzera. Il progetto torna ora al Consiglio degli Stati per l’esame delle divergenze (in Svizzera vige il bicameralismo perfetto). 

Il proprietario miliardario

Mentre la politica cerca soluzioni normative, l’attenzione si concentra anche sul ruolo del gruppo Beretta e del suo proprietario. La Fabbrica d’Armi Pietro BerettaCollegamento esterno, fondata nel 1526 a Gardone Val Trompia in Lombardia, è una delle istituzioni più antiche nel settore delle armi e munizioni. Nel corso dei secoli, i Beretta hanno costruito una reputazione di eccellenza. 

Pietro Gussalli Beretta, 63 anni, rappresenta la quindicesima generazione della famiglia. Quando ha acquisito RUAG Ammotec, nel febbraio 2022, molti hanno visto l’operazione come un’opportunità per integrare le competenze svizzere con la tradizione italiana. All’atto dell’acquisizione, Beretta si era impegnata a mantenere il sito di Thun per cinque anni.  

Nel frattempo, il patron consolida la sua posizione nell’olimpo dei super-ricchi: è recentemente apparso nella classifica dei 300 uomini più ricchi della Svizzera stilata dalla rivista Bilanz, con un patrimonio stimato in 2,8 miliardi di franchi e residenza fiscale nel canton Vallese, un dettaglio che alimenta il dibattito sulla capacità e volontà del gruppo di investire per salvare la produzione in Svizzera. 

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Uno spiraglio di speranza: la partnership con Eurenco

In mezzo a questo scenario desolante è arrivata una notizia incoraggiante: Swiss P Defence ha annunciato un partenariato strategico con Eurenco, azienda francese specializzata nella produzione di propellenti e componenti per munizioni.  

L’accordo garantisce forniture stabili di propellenti per sette anni, elemento essenziale per la produzione di munizioni. Questa intesa potrebbe assicurare la stabilità a lungo termine della fabbrica di Thun, permettendo all’azienda di pianificare la produzione senza incertezze sui materiali, ridurre il rischio di fermo degli impianti e mantenere rapporti solidi con i propri clienti militari e civili. 

I prossimi passi

Il voto del Consiglio degli Stati rappresenta un mandato chiaro al Consiglio federale: affrontare la questione della sovranità industriale nel settore della difesa in modo strutturale.  

L’allentamento della legge sulle esportazioni approvato dal Consiglio nazionale è un passaggio cruciale. Se il Consiglio degli Stati confermerà le modifiche, Swiss P Defence potrà accedere a mercati più ampi e raggiungere i volumi di produzione necessari per tornare a essere redditizia. Il tempo stringe: l’impegno di Beretta scade nel 2027. Senza interventi rapidi e decisi, la capacità della Svizzera di produrre in autonomia munizioni, rischia di scomparire definitivamente. 

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