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Un’impresa svizzera su tre ammette bustarelle all’estero

In media, le aziende che corrompono consacrano alle bustarelle il 5,6% del giro d'affari realizzato nel Paese interessato.
In media, le aziende che corrompono consacrano alle bustarelle il 5,6% del giro d'affari realizzato nel Paese interessato. KEYSTONE

Un'indagine effettuata online fra 539 società elvetiche attive all'estero mostra che il 52% è confrontato direttamente con mazzette.

Un’impresa svizzera su tre, tra quelle che fanno affari a livello internazionale, ammette di aver versato bustarelle in altri Paesi. Lo rivela un’inchiesta pubblicata oggi, mercoledì.

Malgrado il rafforzamento delle misure anticorruzioneCollegamento esterno, la pratica illecita dei versamenti informali, o “regali”, è ancora corrente nelle attività all’estero, si legge nello studio realizzato da Transparency International SvizzeraCollegamento esterno e dalla Scuola universitaria professionale dei Grigioni (FHGR). L’abitudine delle bustarelle è addirittura in crescita.

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L’indagine effettuata online fra 539 società elvetiche di svariati settori attive all’estero mostra che il 52% è confrontato direttamente con pagamenti informali. Fra queste, il 63% ha ammesso tali versamenti. Fra le imprese che lavorano con parti terze incaricate, i pagamenti sottobanco arrivano all’85%.

In media, le aziende consacrano alle bustarelle il 5,6% del giro d’affari realizzato nel Paese interessato. Le PMI sono coinvolte quanto le multinazionali.

Pubblico e privato

Il malcostume interessa sia il settore pubblico che quello privato. Oltre il 70% delle aziende implicate indica che le gratificazioni sono versate al momento dell’attribuzione di mandati di altre imprese, mentre nel 60% dei casi si cita anche il ramo pubblico. Richieste simili arrivano pure dalla polizia o dai funzionari doganali.

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Un quarto dei partecipanti ha affermato di aver perso negli ultimi due anni mandati pubblici o privati a favore di un concorrente giudicato corrotto. Tali fatti sono accaduti ad esempio in Paesi come l’Italia, la Cina, la Russia e la Germania, secondo le persone intervistate.

Circa un’azienda su sette ha poi rinunciato ad accedere a un mercato proprio a causa del rischio di corruzione. Episodi di questo genere si sono verificati in Russia, Iran, Bielorussia e Ucraina. Per lo stesso motivo, il 12% ha lasciato un mercato in cui si trovava. È il caso di Russia, Iran, Azerbaijan, Angola e Cina.

Nessun miglioramento

Fino agli anni 2000, pratiche legate alla corruzione avevano poche conseguenze in Svizzera, ed erano addirittura giudicate necessarie per certi mercati. Il paradigma e il quadro legale sono però nettamente cambiati negli ultimi 20 anni.

Strategie di prevenzione sono quindi state messe in atto, come la documentazione per iscritto di tutte le transazioni commerciali. Nonostante questo, l’indagine mostra un aumento della corruzione. Questo è in parte dovuto a una nuova metodologia utilizzata per la ricerca, ma sicuramente non si vedono miglioramenti.

La prevenzione resta in effetti lacunosa: un’impresa su quattro non conta nemmeno le misure più elementari. La metà non dispone né di formazione per il personale né di un organismo indipendente. Vi è poi da dire che le conseguenze penali sono rare: in 20 anni solo 11 imprese elvetiche sono state condannate in via definitiva per non aver saputo evitare gravi infrazioni.

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