Un ritratto dell’immigrazione dal 1966 per guardare al futuro
Il 40% della popolazione svizzera è di origine straniera.
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Uno studio mostra che il 60% dell persone immigrate con permesso B o C in Svizzera ha una formazione universitaria. Il profilo tipico è giovane, qualificato e resta solo pochi anni: la sfida è trattenerli.
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Il 60% circa delle persone che entrano in Svizzera con un permesso B o C ha una formazione universitaria. È quanto emerge da uno studio dell’EPFL e dall’Università di Ginevra, che traccia un ritratto dell’immigrazione internazionale dal 1966 al 2019.
La ricerca, pubblicata sulla rivista International Migration, ha raccolto milioni di dati provenienti dai censimenti, dal registro della popolazione e dal sistema informativo centrale sulla migrazione, scrive il Politecnico federale di Losanna (EPFL) in una nota diffusa giovedì.
I risultati mostrano che il 60% delle immigrate e degli immigrati con un permesso B (dimora) o C (domicilio) ha una formazione universitaria. Gli altri hanno qualifiche medio-basse e sono impiegati in professioni di servizio (sanità, assistenza sociale, ristorazione, edilizia, ecc.). Inoltre, il 5% di queste persone è riconosciuto come rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra.
Il 40% della popolazione svizzera è di origine straniera
Le e i richiedenti l’asilo rappresentano in media il 10% degli afflussi totali, sebbene vi siano significative fluttuazioni annuali. Ad alcuni di loro viene concesso lo status di rifugiato/a. Altro dato significativo: il 40% della popolazione residente in Svizzera è di origine straniera.
Il profilo socio-economico tipico delle persone immigrate è quello di un uomo di 33 anni senza figli, altamente qualificato, proveniente da un Paese vicino e che rimane in Svizzera solo per pochi anni, sottolineano gli autori.
“Il nostro studio dimostra che dobbiamo adattare le nostre rappresentazioni alla realtà. Non è opportuno rimanere nel mondo immaginario degli anni Novanta. Anni caratterizzati da arrivi da tutto il mondo, tra cui grandi flussi di richiedenti asilo dai Balcani, la maggior parte dei quali musulmani, e da molti ricongiungimenti familiari, con l’intenzione di stabilirsi in modo permanente in Svizzera”, commenta Mathias Lerch, direttore del Laboratorio di demografia urbana dell’EPFL.
Prevedere meglio il futuro
“Mentre la maggior parte dei migranti arriva in Svizzera per una formazione o per intraprendere una sfida professionale, la metà se ne va dopo 5-10 anni, spesso con una giovane famiglia”, aggiunge il ricercatore.
A suo avviso, questo lavoro potrebbe aiutarci ad anticipare meglio il futuro. La concorrenza per questi profili altamente qualificati è forte in Europa, dove il loro numero è limitato. La sfida non è solo quella di continuare ad attirarli in Svizzera, per soddisfare il fabbisogno di manodopera e rallentare l’invecchiamento della popolazione, ma soprattutto quella di trattenerli.
Lo studio mostra che quanto più sviluppato è il Paese di origine, tanto più alto è il tasso di ritorno. Un altro aspetto è che i Paesi di origine di questi lavoratori, come Portogallo, Spagna e Lituania, stanno mettendo in atto incentivi per incoraggiarne il ritorno, con sgravi fiscali e sostegno alla creazione di imprese.
Nuovi bacini di reclutamento
Per Mathias Lerch, “se la Svizzera vuole ottenere una crescita economica stabile, dovrà presto cercare profili altamente qualificati in nuovi bacini di reclutamento. Ad esempio, nei continenti asiatico e africano, dove le economie sono meno sviluppate ma i livelli di istruzione aumentano rapidamente ogni anno”.
Allo stesso tempo, è necessario aprire canali di immigrazione legale per il personale necessario nel settore dei servizi poco qualificati, conclude lo specialista.
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