Avviati i negoziati per il rinnovo dell’accordo di libero scambio con la Cina
Migliori condizioni quadro per le imprese elvetiche e un rafforzamento delle disposizioni esistenti in materia di standard ambientali e di lavoro. È quanto vuole ottenere la Svizzera con l'estensione dell'accordo di libero scambio (ALS) con la Cina.
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Keystone-ATS
I negoziati in tal senso sono stati appena avviati. “Oggi [lunedì 23 settembre, ndr.], con il ministro del Commercio Wang Wentao, ho virtualmente avviato i negoziati per ottimizzare l’ALS che abbiamo con la Cina. In questi negoziati, la Svizzera punterà a migliorare ulteriormente le condizioni quadro per le nostre imprese sul mercato cinese”, ha scritto oggi il consigliere federale Guy Parmelin su X (già Twitter). Questo soprattutto per quanto riguarda il diritto doganale e quindi i dazi.
Nello specifico le priorità della Svizzera negli accordi bilaterali con il Dragone includono “la revisione o l’estensione delle concessioni tariffarie per i prodotti industriali” con un focus su quelli “svizzeri che non beneficiano ancora di un trattamento preferenziale nell’ambito dell’attuale accordo di libero scambio, ossia circa il 4% del commercio effettivo tra Svizzera e Cina”, ha indicato il Dipartimento federale dell’economia, della formazione e della ricerca (DEFR), che fa capo a Parmelin, a Keystone-ATS.
Tali prodotti sono, citando come esempio il settore industriale, quelli farmaceutici, le materie plastiche, le apparecchiature ottiche, i macchinari, i prodotti chimici e gli orologi.
Nel caso di questi ultimi, quasi tutte le esportazioni verso la Cina hanno beneficiato di concessioni parziali, ma vengono ancora applicati dazi doganali tra il 4,4% e il 9,2% che ammontano a diversi milioni di franchi, ha proseguito il DEFR. La Svizzera punta a migliorare l’accesso al mercato cinese anche nel settore agricolo, ad esempio per i prodotti a base di caffè, i preparati alimentari, il formaggio e le sigarette.
Lavoro e diritti umani
La questione del rispetto dei diritti umani da parte della Cina è tornata al tavolo dei negoziati, dopo che aveva già sollevato polemiche nel 2014, quando la Svizzera era stato il primo Paese a siglare un accordo bilaterale con la Cina. Uno degli obiettivi era quello di ridurre le tasse, all’epoca elevate, sui prodotti costosi.
Stando al DEFR, i negoziati dovrebbero consentire, tra le altre cose, di “rafforzare le disposizioni esistenti in materia di standard ambientali e di lavoro”.
La scorsa settimana, sette organizzazioni non governative – ONG, ndr – hanno presentato una petizione presso la Cancelleria federale contro un’espansione dell’accordo di libero scambio che non tenga conto dei diritti umani e accusato la Svizzera di dare priorità, piuttosto che a essi, a quelli commerciali. I partner commerciali dell’UE e gli Stati Uniti hanno già imposto sanzioni severe contro la Cina a causa delle violazioni dei diritti umani, si legge nella petizione.
Lo scorso agosto, la Commissione della politica estera del Consiglio nazionale aveva respinto l’inclusione di norme vincolanti sulla protezione dei diritti umani e dell’ambiente nei nuovi negoziati. Il PS e i Verdi hanno criticato la sua decisione e minacciato di lanciare un referendum.
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