Quando Matteo Messina Denaro stava per essere arrestato in Svizzera
Un ex poliziotto racconta alla Radiotelevisione svizzera i dettagli di un’operazione del 1996 per acciuffare il boss di Cosa nostra. A partecipare fu anche l’attuale comandante della Guardia di Finanza, Andrea De Gennaro.
“Era il dicembre del 1996 quando sono stato chiamato dalla polizia ticinese. Mi dissero che c’erano due ufficiali della guardia di finanza e un informatore, che sapeva dove trovare Matteo Messina Denaro. Così presi in carico i due ufficiali per un’operazione importante e urgente. Si trattava di arrestare in Svizzera un mafioso di primo rango”.
A parlare, coperto da anonimato, è un ex poliziotto di Zurigo, che in un’eccezionale testimonianza rilasciata a Falò per un’inchiesta di Maria Roselli e Gaetano Agueci racconta che quasi trent’anni fa partecipò a un’ambiziosissima operazione di polizia, con lo scopo di mettere le mani nientemeno che sul boss, già latitante a quei tempi.
Pochi anni dopo le stragi di Capaci e Via D’Amelio, dove morirono i giudici Falcone e Borsellino, il padrino si sarebbe quindi trovato in Svizzera, dove ora si cerca il suo tesoro.
L’area di ricerca iniziale, continua l’ex poliziotto, “si era concentrata tra Waldshut e Costanza perché vi erano stati vari passaggi con la frontiera tedesca”. Tuttavia, dopo alcuni giorni, “l’informatore che guidava il gruppo ha avuto paura e improvvisamente cominciò a essere meno collaborativo”. L’ultimo luogo in cui era stato segnalato Messina Denaro fu a Wettingen in Argovia, “ma ad un passo dalla cattura l’operazione fallì”.
L’ex poliziotto, ai tempi alla testa del nucleo per il contrasto della criminalità organizzata, spiega di ricordarsi tutto nitidamente: “Mi ero detto, sarebbe proprio un bel regalo concludere l’anno con un arresto così eccellente”.
Allora, ha inoltre appreso Falò, ad accompagnare in Svizzera l’informatore per tentare di acciuffare Matteo Messina Denaro è stato nientemeno che Andrea De Gennaro, ai tempi capo del reparto comunicazioni e relazioni esterne della Guardia di Finanza e oggi comandante generale delle Fiamme Gialle. Un alto funzionario, quindi, salito nel frattempo ai vertici di questa forza di polizia, segno che la pista era concreta e che mancava poco a far scattare le manette ai polsi del padrino.
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Matteo Messina Denaro, detto Diabolik, è balzato all’onore delle cronache per essere stato uno degli esecutori materiali delle stragi che tra il 92 e 93 sconvolsero la Sicilia e l’Italia intera: le bombe a Capaci e Via d’Amelio che portarono alla morte dei giudici Falcone e Borsellino, Via dei Georgofili a Firenze, le bombe a Roma, l’assassinio del piccolo Giuseppe Di Matteo. Un tragico elenco di crimini feroci – a suggellare il capitolo più buio della recente storia della penisola.
È rimasto latitante per trent’anni, fino al suo arresto avvenuto un anno fa a Palermo, vicino alla clinica privata dove gli venivano praticate cure contro la grave forma di tumore al colon di cui soffriva. È morto lo scorso 25 settembre, dopo alcuni giorni di agonia all’ospedale dell’Aquila dove era ricoverato, portandosi nella tomba segreti che se rivelati potrebbero investire anche le più alte sfere della Repubblica.
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