Nella notte è stato perquisito anche il covo del boss mafioso.
Keystone / Max Firreri
I legami del boss di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro, arrestato lunedì, con la Confederazione erano di origine sopratutto finanziaria: diverse operazioni nella Confederazione gli sono servite per poter finanziare la latitanza durata 30 anni.
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tvsvizzera.it/mrj con Keystone-ATS
L’arresto del boss di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro avvenuto lunedì mattina in una clinica di Palermo ha messo fine a 30 anni di latitanza. Fedelissimo di Totò Riina, Messina è uno dei principali responsabili della cosiddetta “stagione delle stragi in Sicilia” (costata la vita ai giudici Falcone e Borsellino) e di altri omicidi, come quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito Santino Di Matteo.
Il boss mafioso aveva legami con la Svizzera, come spiega ai microfoni della Radiotelevisione della Svizzera italiana il collega Francesco Lepori, responsabile operativo dell’Osservatorio ticinese sulla criminalità organizzata dell’Università della Svizzera Italiana. A Basilea, per esempio, dove “già a partire dagli anni ’70 il mercante d’arte Gianfranco Becchina, originario di Castelvetrano, come Messina Denaro, è stato più volte sotto inchiesta per traffico internazionale di reperti archeologici”. Beni che, spiega Lepori, venivano trafugati in Sicilia attraverso una rete gestita prima dal padre del super latitante, e poi dallo stesso Matteo Messina Denaro”. Il legame tra i due è stato confermato da diversi pentiti come pure da alcuni riscontri telefonici.
Poi c’è anche il Ticino, e Locarno in particolare, dove “è nato e cresciuto Giovanni Domenico Scimonelli, condannato in Italia nel 2016 per le attività compiute a favore di Messina Denaro, di cui era diventato uno dei fedelissimi, e nel 2018 all’ergastolo, come mandante di un omicidio”. Scimonelli ha svolto più compiti per lui: gli recapitava messaggi (i “pizzini”) con cui il boss impartiva ordini. Scimonelli provvedeva anche alla sua famiglia. Il 55enne si occupava inoltre di altre questioni strettamente economiche: “faceva da corriere per il denaro, tra la Sicilia e il Ticino, dove erano stati aperti dei conti”, aggiunge Lepori. Dalle indagini è inoltre emerso che è stato Scimonelli a creare schermature societarie finalizzate all’ottenimento e all’uso di carte di credito.
Attività che sono servite a finanziare la latitanza del boss: “Una latitanza di questo calibro comporta sempre costi enormi. Tanto per la sua durata, quanto per il numero di persone che è necessario coinvolgere. Messina Denaro l’ha finanziata anche attraverso attività a cavallo tra la Svizzera e l’Italia. Per noi è l’ennesima conferma della presenza, quella mafiosa, quasi sempre silente, ma non certo meno pericolosa. Da noi non si spara, certo, ma perché il ricorso alla violenza creerebbe un allarme sociale che sarebbe da ostacolo alla cura degli interessi economici”.
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Perquisito il covo del boss
I carabinieri del Raggruppamento operativo speciale (ROS) e la procura di Palermo hanno fatto sapere di aver individuato e perquisito il covo del boss mafioso. La perquisizione è durata tutta la notte e vi ha partecipato anche il procuratore aggiunto Paolo Guido che da anni indaga sull’ex latitante di Cosa Nostra. Non è per ora noto cosa sia stato trovato all’interno dell’edificio, che si troverebbe nel centro abitato di Campobello, paese di 11’000 abitanti in provincia di Trapani, che si trova a soli 8 chilometri da Castelvetrano, paese di origine di Messina Denaro e della sua famiglia.
Diversi pentiti hanno raccontato che il padrino trapanese era custode del tesoro di Totò Riina, documenti top secret che il boss corleonese teneva nel suo nascondiglio prima dell’arresto, fatti sparire perché la sua casa non venne perquisita.
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