“No significa no”, in vigore la nuova definizione di stupro

È entrata in vigore la nuova legge sui reati sessuali, che prevede una definizione più ampia della nozione di stupro.
Il cuore della riforma approvata dal Parlamento l’estate scorsa è l’estensione dei reati di stupro e di coercizione sessuale. Finora lo stupro era definito in modo restrittivo. Solo la penetrazione vaginale non consensuale di una donna da parte di un uomo era considerata stupro. E la vittima doveva opporre una certa resistenza.
Questa condizione non sarà più necessaria. D’ora in poi, qualsiasi penetrazione non consensuale, orale, vaginale o anale, di un uomo o di una donna sarà considerata stupro. Quest’ultimo, quindi, non sarà più limitato all’atto sessuale, ma includerà qualsiasi atto simile che comporti la penetrazione del corpo.
“No significa no”
Le due Camere hanno discusso a lungo sulla definizione. Il Consiglio degli Stati voleva basarsi sull’espressione rigorosa del rifiuto; il Consiglio nazionale sul consenso (“solo un sì è un sì”).
Alla fine ha prevalso la prima soluzione, ma tenendo conto dello stato di shock della vittima. Se quest’ultima è pietrificata dalla paura e non è in grado di esprimere il suo rifiuto o di difendersi, l’autore del reato dovrà rispondere dei suoi atti.
Questa decisione è stata definita necessaria e storica dalle organizzazioni di sinistra e femministe, anche se queste ultime erano favorevoli alla soluzione del consenso stretto. Nel suo rapporto annuale pubblicato ad aprile, anche Amnesty International ha accolto con favore l’emendamento, che segna la fine di una definizione obsoleta di stupro.

Altri sviluppi
“Stealthing”, una condanna a Zurigo, ma…
La nuova legge penale punirà anche lo “stealthing”, il reato che consiste nel rimuovere discretamente il preservativo durante un rapporto sessuale consensuale, o nel non usarlo, all’insaputa del o della partner. Anche il “revenge porn”, o pornodivulgazione, cioè la divulgazione di contenuti sessuali non pubblici, sarà punibile.
Non saranno invece puniti le persone minorenni che realizzano, possiedono o consumano immagini o filmati che coinvolgono se stessi o li rendono accessibili a un’altra persona con il loro consenso. La disposizione è rivolta in particolare ai selfie pornografici, sempre più diffusi tra i giovani.
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