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La neutralità svizzera e le armi per l’Ucraina

un Piranha III della Mowag.
Di questi veicoli blindati, la Danimarca ne avrebbe voluto riesportane una ventina in Ucraina. Permesso negato dalla Confederazione. Keystone / Laurent Gillieron

La richiesta di diversi Paesi europei di rivendere le armi di fabbricazione elvetica all’Ucraina ha aperto un dibattito politico e giuridico in Svizzera. Per taluni la riesportazione di materiale bellico violerebbe la neutralità elvetica, per altri questa neutralità non è monolitica e va interpretata. Intanto la politica federale ha fatto un primo passo a favore dell’Ucraina.

La Svizzera – che esporta annualmente armamenti Collegamento esternoper un valore che si aggira attorno agli 800 milioni di franchi – ha finora impedito a tre Paesi europei la riesportazione in Ucraina di materiale bellico di fabbricazione elvetica. In particolare, ha negato alla Danimarca di esportare 22 carri armati Piranha III per il trasporto di truppe, alla Germania diversi tipi di munizione, soprattutto per i cannoni dei semoventi antiaerei Gepard, e infine alla Spagna cannoni antiaerei da 35 mm.

La decisione della Confederazione si basa sull’articolo 18 della legge federale sul materiale bellicoCollegamento esterno del 1996 che permette “l’esportazione di armi a un Governo estero a condizione che il materiale non sarà riesportato”. Inoltre, il Consiglio federale è del parere che la riesportazione possa rappresentare un problema per la neutralità, in particolare per quanto riguarda il principio della parità di trattamento ai sensi della legge in materia.

Altri sviluppi

Questa posizione, ritenuta dai più rigida della Confederazione, ha causato negli scorsi mesi molte incomprensioni nei confronti della politica di neutralità elvetica e diverse critiche. Non da ultimo durante il World Economic Forum di Davos, il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg ha dichiarato che nel caso dell’Ucraina non si tratta di neutralità, bensì di rispettare il diritto alla legittima difesa, di proteggere lo stato di diritto e di difendere la Carta delle Nazioni Unite.

Verso un cambiamento di rotta

La delicata questione è stata oggetto di una mozioneCollegamento esterno e di un’iniziativa parlamentareCollegamento esterno. Martedì 24 gennaio, la Commissione della politica di sicurezza del Consiglio nazionale ha raccomandato (14 voti contro 11) al plenum di autorizzare la riesportazione di armi verso l’Ucraina suggerendo le modifiche necessarie della legge sul materiale bellico (Lex Ukraine). E questo nonostante la ferma opposizione della destra.

Se l’iter parlamentare dovesse procedere senza intoppi, il cambiamento entrerebbe in vigore il primo maggio e avrebbe effetto fino al 31 dicembre 2025.

Problema della neutralità

Il dibattito politico si è spostato sul piano giuridico. La professoressa del Centro di diritto comparato, europeo e internazionale dell’Università di Losanna, Evelyne Schmid, ritiene che l’opzione di permettere la riesportazione di materiale bellico verso un solo belligerante non sia difendibile dal punto di vista del diritto della neutralità.

“Uno Stato neutrale può esportare materiale bellico, ma deve trattare tutti i belligeranti allo stesso modo”.

Evelyne Schmid, professoressa di diritto internazionale

Sul portale della versione francese del BlickCollegamento esterno, Evelyne Schmid afferma che “uno Stato neutrale può esportare materiale bellico, ma deve trattare tutti i belligeranti allo stesso modo, Questo è quanto stabiliscono le Convenzioni dell’Aia. Ciò significa che la Svizzera dovrebbe consentire la consegna di armi anche alla Russia”.

E la questione diventa problematica nel momento in cui “un altro Paese che possiede materiale bellico svizzero voglia passarlo alla Russia. Il Consiglio federale si troverebbe quindi in una posizione scomoda. Dovrà quindi a quel punto approvare riesportazioni altamente indesiderate o sostenere acrobaticamente il suo status di Stato neutrale”.

Dello stesso parere anche il professore di diritto internazionale e specialista di diritto europeo Oliver Diggelmann dell’Università di Zurigo. Sul foglio zurighese Tages Anzeiger,Collegamento esterno Diggermann scrive che “il trasferimento di materiale bellico di fabbricazione svizzera all’Ucraina da parte di un Paese terzo viola lo status di neutralità previsto dal diritto internazionale”.

“Violare deliberatamente la legge sulla neutralità non sarebbe una novità per la Svizzera”.

Oliver Diggermann, professore di diritto internazionale

Anche lui, come Evelyne Schmid, precisa che le norme della neutralità esigono un trattamento equo delle parti in conflitto: “Non forniamo armi alla Russia, quindi dobbiamo trattare l’Ucraina allo stesso modo. Se non si vuole sottostare a questi obblighi, bisogna allora pensare a un abbandono della neutralità permanente”.

Oliver Diggelmann, aggiunge però anche che “violare deliberatamente la legge sulla neutralità non sarebbe una novità per la Svizzera: ciò è avvenuto sia a favore della Germania e degli Alleati durante la Seconda Guerra Mondiale, sia a favore degli americani durante la Guerra Fredda”.

La visione storica del concetto di neutralità

La discussione si sposta anche su un piano più storico. E proprio il professore di storia all’Università di Berna, Sacha Zala, nonché direttore del centro di ricerca Dodis (Documenti diplomatici svizzeri), sulla pagine del Corriere del TicinoCollegamento esterno, ricorda come “nel diritto internazionale la neutralità è codificata nella Convenzione dell’Aia del 1907. Il concetto di non-riesportazione del materiale bellico non è codificato nel diritto internazionale dalla Convezione dell’Aia, pertanto, non c’è nessuna violazione del concetto della neutralità. Il concetto di neutralità che vieta la riesportazione è una costruzione svizzera. Ce lo siamo inventati noi”.

“Per la Svizzera è sempre stato un grande vantaggio non definire rigidamente cosa fosse la sua neutralità”.

Sacha Zala, storico

Sempre Sacha Zala sottolinea come “non esista una neutralità scolpita nella pietra”. Meglio dunque avere un concetto flessibile e intervenire puntualmente come propone in questo caso la Commissione della politica di sicurezza del Consiglio nazionale: “La neutralità è stata dal punto di vista giuridico un involucro rigido ben definito, all’interno del quale il Governo elvetico ha inserito flessibilmente la politica di neutralità che più gli conveniva in quel momento. Per la Svizzera è sempre stato un grande vantaggio non definire rigidamente cosa fosse la sua neutralità”.

Neutralità, una nozione a geometria variabile

Che la neutralità possa essere interpretata a seconda della situazione, lo sottolinea anche un altro storico, Christophe Farquet in un’opinione scritta per SWI swissinfo.ch. Secondo Farquet, “bisogna superare le semplificazioni politiche che oscillano tra una visione monolitica della neutralità e un’idea in cui a prevalere sono la malleabilità e l’opportunismo. Nessuna delle due percezioni è corretta”.

Lo storico ritiene che “la neutralità svizzera ha riscoperto tre dimensioni differenti in epoca contemporanea e distinguerle è imperativo per capire la cesura provocata dalla guerra in Ucraina”.

“Gli esempi di cambiamenti di rotta della politica estera svizzera sono parecchi”. 

Christophe Farquet, storico

Essere neutrale, prima di tutto, significa restare al di fuori delle alleanze militari e non fare la guerra. Essere neutrale, poi, significa rispettare i doveri legati alla neutralità che derivano dal diritto internazionale. Essere neutrale, infine, significa avere un comportamento neutrale nelle relazioni internazionali.

E qui torniamo a quanto detto da Diggermann: anche lo storico Farquet scrive che “dall’orientamento pro-Triplice alleanza precedente alla Prima guerra mondiale all’allineamento nel campo occidentale nella Guerra fredda passando per una politica più equilibrata tra le due guerre mondiali, gli esempi di cambiamenti di rotta della politica estera svizzera sono parecchi”. 

Nella maggior parte dei casi, conclude Farquet, “i dirigenti elvetici si sono decisi, anche se con riluttanza, a trasgredire, giustificandosi con il fatto che la situazione internazionale dava poco margine di manovra”.


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