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La Missione cattolica di lingua italiana di Berna tra un glorioso passato e un futuro da scrivere

persone all interno di una chiesa
Da 60 anni, la Missione cattolica di lingua italiana di Berna celebra messa in questa chiesa. Missione cattolica di lingua italiana

La Missione Cattolica di lingua italiana di Berna festeggia quest'anno il 60esimo anniversario della sua chiesa intitolata alla Madonna degli emigrati. Attiva dalla fine del XIX secolo, questa storica istituzione nata come comunità di ritrovo della migrazione italiana è confrontata con profondi cambiamenti.

Chi molti anni fa frequentava il ristorante della Missione Cattolica italiana di Berna, oggi si troverebbe probabilmente un po’ spaesato. In quella grande sala che il fine settimana accoglieva a volte oltre 300 persone, regna il silenzio. Il ristorante è stato chiuso definitivamente nel 2021, in seguito anche alla crisi pandemica.

Nel corso degli anni, questo luogo nato prima di tutto come punto di aggregazione per la comunità italiana nella capitale svizzera, dove si poteva consumare un pasto caldo senza spendere troppo, ha progressivamente cambiato clientela, aprendosi a “persone di diversa nazionalità che desideravano respirare aria italiana attraverso la cucina”, ricorda il libro La Missione Cattolica italiana di Berna – I suoi inizi, la sua storia, il suo presenteCollegamento esterno, pubblicato quest’anno in occasione del 60.esimo anniversario dell’inaugurazione della chiesa della Missione dedicata alla Madonna degli emigrati.

Non solo un libro

Il 60esimo anniversario dell’inaugurazione della Chiesa della Madonna degli emigrati è ricordato con diversi avvenimenti.

Oltre alla pubblicazione di un libro, è stata allestita una commedia intitolata “Una casa lontano da casa” e che sarà presentata domenica 17 settembre nella Sala teatro della Missione Cattolica di lingua italiana di Berna.

I cambiamenti vissuti dal ristorante sono in un certo senso emblematici di quelli con cui è confrontata la Missione Cattolica. La comunità italiana non ha più nulla a che vedere con quella del Dopoguerra. I figli o i nipoti di coloro che erano emigrati diversi decenni fa sono perfettamente integrati e le persone che oggi dall’Italia arrivano in Svizzera hanno spesso competenze ben maggiori rispetto a chi li ha preceduti. Non da ultimo, la religione ha assunto, almeno per molte persone, un aspetto secondario, quando non è sparito del tutto.

Quel ruolo di casa e di punto di riferimento rivestito per anni dalla Missione Cattolica si è progressivamente modificato.

Un ristorante, appunto, una chiesa, naturalmente, ma anche un asilo, una scuola, dei corsi di riqualificazione professionale, delle attività ricreative, ad esempio la proiezione di film: per decenni la Missione Cattolica è stata tutto questo.

donne cuciscono dei vestiti
Corsi di cucito sotto lo sguardo attento delle suore. Missione cattolica di lingua italiana

“Ci sono dei cinquantenni che si ricordano di essere cresciuti qua dentro, nel senso che i genitori li portavano al mattino presto e li venivano a riprendere la sera quando finivano di lavorare”, ci spiega Padre Antonio Grasso, missionario scalabriniano che dal 2015 dirige questa storica istituzione. “C’erano le suore con i volontari, la mensa, i bambini che mangiavano e poi dormivano nelle brandine. La Missione Cattolica rispondeva ai bisogni di quell’ondata migratoria, di quel periodo storico”.

Tutto ciò fa parte del passato. Anche la scuola e l’asilo non ci sono più (sono stati chiusi rispettivamente nel 1981 e nel 1996) e le attività ricreative sono drasticamente diminuite.

Bambini seduti per terra
La scuola materna è stata in funzione dal 1960 al 1996. Missione cattolica di lingua italiana

“Non siamo una Chiesa nazionale”

Padre Antonio non è però persona da lasciarsi sopraffare dal peso della storia e gettare la spugna. Da quando ha assunto le redini della Missione Cattolica, sta cercando di imprimere una svolta all’istituzione. “Vedere i locali di quello che era il ristorante vuoti? Non mi rende per nulla nostalgico e triste – sottolinea. Il ristorante della Missione ha compiuto il suo percorso. Quando era destinato alla popolazione migrante aveva un senso, oggi utilizzarlo per la gente ‘comune’ non lo avrebbe più. Era giunto il momento di dare una nuova identità a questi locali”. Oggi, oltre a ospitare diverse attività interne, in particolare quelle di catechesi, questo luogo un tempo così affollato è affittato a terzi per workshop o incontri.

Questa mutazione riguarda l’istituzione nel suo insieme. A partire dal nome. La Missione Cattolica italiana è infatti diventata la Missione Cattolica di lingua italiana. Un cambiamento a prima vista formale, ma che racchiude una riflessione profonda.

Col passare degli anni, quello che era un luogo frequentato prima di tutto da immigrati e immigrate provenienti dalla Penisola si è aperto. “Oggi qui non ci sono solo parrocchiani di origine italiana, ma anche svizzeri tedeschi, francesi, portoghesi, latino americani… Sanno l’italiano e vengono a messa qui per questo”, sottolinea Padre Antonio. “Tecnicamente siamo una comunità di lingua italiana, ma io credo che oggi le comunità di fede si distinguano anche per il linguaggio, che è un concetto più ampio rispetto a quello della sola lingua. Ad esempio, se entro in una chiesa di lingua tedesca e vedo la statua di San Nicolao della Flüe, a uno come me che viene dal sud non evoca molte cose. Per contro, se vedo la statua di Sant’Antonio…”.

Un importante ruolo di assistenza sociale

Anche il tradizionale ruolo di fornire assistenza alle persone immigrate è cambiato. Mentre negli anni Sessanta e Settanta i servizi in lingua italiana scarseggiavano e la Missione ha dovuto supplire a queste carenze, oggi si lavora in collaborazione con le strutture cantonali. “Abbiamo assunto un’assistente sociale, che attraverso il progetto WelcHome fornisce diversi tipi di consulenza, orientando la persona verso le offerte che già esistono”, spiega padre Antonio.

Un ruolo che, purtroppo, è sempre d’attualità e che si è acuito durante la pandemia. “Vediamo continuamente l’arrivo di persone disorientate, che hanno paura a chiedere aiuto. Cerchiamo prima di tutto di istillare la fiducia nelle istituzioni, prosegue il missionario scalabriniano. Ossia, spiegare loro che se vai a chiedere aiuto allo Stato e ne hai diritto, lo Stato ti aiuta. Alcune persone, ad esempio, non sanno che ci sono corsi di tedesco gratis o a basso costo”.

Un’altra categoria di persone con cui la Missione Cattolica fa più fatica a entrare in contatto sono quegli italiani e italiane che arrivano in Svizzera senza un contratto di lavoro e quindi senza permesso di soggiorno. “Spesso si dicono ‘ma sì, proviamoci, che qualcosa in Svizzera si trova’. Non è però così semplice. Se non hai un contratto di lavoro non puoi avere il permesso di soggiorno. E senza permesso di soggiorno nessuno ti assume. È come un cane che si morde la coda”, riassume padre Antonio.

Inoltre, anche se negli ultimi anni il volto dell’emigrazione italiana è ben diverso rispetto a quello del Dopoguerra, non tutte le persone che giungono nella Confederazione hanno in tasca un diploma universitario e magari possiedono già un’esperienza internazionale. “Arrivano a volte con qualifiche non riconosciute. Hai fatto per vent’anni l’elettricista in Italia? Bene, ma qui gli impianti sono diversi e allora ti dicono di no. Stiamo cercando, anche se facciamo fatica, di mettere in piedi un progetto che unisca corsi di lingua e di formazione, che permettano da un lato di dare una base di tedesco specifica al mestiere che si fa, dall’altro di far riconoscere l’esperienza professionale”.

L’intervista a padre Antonio Grasso del settimanale di informazione sulla realtà della Chiesa Cattolica della Radiotelevisione Svizzera Strada Regina:

Contenuto esterno

Se nei primi anni dopo il suo insediamento alla Bovetstrasse 1 la Missione Cattolica ha dovuto affrontare diverse opposizioni, oggi è una realtà pienamente riconosciuta e integrata nella Chiesa bernese.

Lo spettro dell’indifferenza

A preoccupare padre Antonio Grasso non è più quel sentimento anti-italiano che si respirava negli anni Sessanta e Settanta, bensì l’indifferenza: “Perché molte persone non sentono più la presenza di Dio nella loro vita? È qualcosa su cui sto riflettendo molto, perché non si può indurre il bisogno di Dio dall’esterno. C’è una parte di comunità che non ci frequenta, ma che ci osserva e con questa parte di comunità possiamo entrare in contatto. Con le persone atee possiamo anche dialogare e magari scontraci, mentre con le persone indifferenti è molto più difficile per non dire impossibile comunicare”.

Di fronte a questa crisi di fede che attanaglia la Chiesa nel suo insieme non vi sono ricette pronte all’uso. Ma se vi è una parola che esce spesso dalle labbra di padre Antonio questa è “dialogo”. Un dialogo senza preconcetti, con tutti, anche su temi scomodi.

“In questi ultimi anni abbiamo ad esempio organizzato degli scambi su temi come la Chiesa e l’omosessualità, invitando un’associazione italiana di cattolici LGBT+, che porta avanti un progetto di inclusione. O ancora sull’eutanasia e sulla questione dell’ammissione ai sacramenti per le persone divorziate”.

E se si proietta tra una decina d’anni, quale pensa che sarà il futuro della Missione Cattolica di Berna? “È una domanda complessa, perché c’è un’evoluzione della Chiesa attorno a noi. Si parla ad esempio di uscire dalle strutture e di andare incontro alla gente. Saremo chiamati anche a una maggiore sinergia con le altre comunità e quindi immagino che stiamo andando nella direzione che non vi sarà più un personale al servizio solo della Missione di lingua italiana, bensì della chiesa di Berna, osserva padre Antonio. Però, finché vi sarà un flusso migratorio, la nostra comunità sarà sempre animata e ripopolata; quindi, non penso che in città questa presenza verrà meno”.

Tra quarant’anni si festeggerà allora il centenario della chiesa della Bovetstrasse? “Non è importante, poiché non è la chiesa a definirci, conclude il missionario scalabriniano. Oggi non stiamo celebrando una struttura, bensì una comunità che qui ha trovato una casa”.


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