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I Grigioni temono l’accordo sui frontalieri italiani

Il valico doganale di Campocologno in Valposchiavo.
Il valico doganale di Campocologno in Valposchiavo: uno dei passaggi per andare in Engadina dove sono attivi molti frontalieri italiani, soprattutto nella ristorazione. © Keystone / Peter Klaunzer

Le conseguenze dell'entrata in vigore dell'accordo fiscale tra Svizzera e Italia prevista per i prossimi mesi, mettono in agitazione il mercato del lavoro grigionese e fanno discutere politica e economia. L'accordo prevede un carico fiscale maggiore per i lavoratori frontalieri per i quali lavorare in Svizzera potrebbe essere meno attrattivo.

Sono circa 9’000 i frontalieri italiani che si recano giornalmente a lavorare in Bregaglia, in Valposchiavo, in Engadina e nel Moesano. Negli ultimi dieci anni sono aumentati del 70%. Ma il trend potrebbe cambiare. Con l’accordo fiscale l’impiego in Svizzera rischierà di diventare meno attrattivo perché i nuovi assunti dovranno pagare in Italia una parte dell’Irpef, l’imposta sul reddito. Non a caso il Canton Grigioni ha rilasciato solo nel 2022 oltre 1’700 nuovi permessi di lavoro “G”.

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Ma in futuro le richieste potrebbero diminuire perché fiscalmente fare il frontaliere non porta più i vantaggi di prima. La conseguente diminuzione di manodopera frontaliera potrebbe creare delle difficoltà alle imprese elvetiche. D’altra parte, è un problema che le imprese lombarde devono affrontare già da tempo. Per risolverlo l’esecutivo italiano – su suggerimento della Lega – vuole introdurre un bonus mensile di 200 euro per i lavoratori e frenare la fuga nei Grigioni.

E i Grigioni rispondono: il mercato del lavoro retico resterà in ogni caso attrattivo perché, tra l’altro, si valutano misure efficaci per attirare i lavoratori italiano, come la richiesta del Parlamento grigionese di prevedere sgravi fiscali per la manodopera specializzata. Insomma, i Grigioni vogliono fare tutto il possibile perché il loro mercato del lavoro retico rimanga attrattivo per i frontalieri.

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