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‘Hikikomori’ prende piede anche in Svizzera

Una persona seduta nel buio.
Keystone / Roland Schlager

Cresce anche in Svizzera il numero di coloro che decidono di ritirarsi dalla vita sociale per lunghi periodi, tra questi anche persone meno giovani. Il termine 'hikikomori', utilizzato per descrivere un preciso comportamento umano, trova sempre maggiore posto nelle cronache internazionali.

Si tratta di quelle persone, spesso giovani ma non solo, che si chiudono volontariamente nella loro stanza o appartamento e non ne escono mai.  Il fenomeno è originario del Giappone, ma si sta diffondendo sempre di più anche in altri paesi asiatici come la Corea del Sud, ed è arrivato anche in Svizzera.

A confermarlo, anche le parole dalla psicoterapeuta Filomena Sabatella dell’Università di Scienze Applicate Zurigo (ZHAW), coautrice di due ricerche sul tema.

L’hikikomori, dice l’esperta, non è una diagnosi, ma un fenomeno ancora molto difficile da quantificare. Nel nostro paese “non abbiamo dei dati su quanti potrebbero essercene, spiega ancora, ma abbiamo dei dati su dei cosiddetti “Neet”, che sono persone che al momento non sono in un contesto lavorativo, ma nemmeno studiano o fanno altre cose.

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Si parla di circa 30’000 persone e si suppone che una parte di queste sia hikikomori ma fare statistica è tutt’altro che semplice. Non è semplice rispondere circa i soggetti più a rischio, spiega Sabatella, come spesso succede nelle malattie psichiche. Il fattore non è uno, sono molteplici. Il fenomeno coinvolge anche i bambini, spesso “immersi” per troppo tempo dentro il mondo di internet.

Occorre migliorare le terapie, fa notare la psicoterapeuta zurighese. Per questo anche in Svizzera sono necessari ulteriori ricerche per approfondire il fenomeno che, a queste latitudini, è ancora meno diffuso che in Giappone o in Corea del Sud, ma che, stando a Filomena Sabatella, è una grossa sfida anche per il sistema sociale e sanitario elvetico.

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