Corruzione, risarcimenti milionari a carico di Glencore
La sede di Glencore a Baar (Zugo).
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Per la procura federale il colosso minerario elvetico non ha adottato le misure necessarie per prevenire un caso di corruzione in cui era coinvolto un funzionario della Repubblica democratica del Congo.
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Keystone-ATS
Si è conclusa con un decreto d’accusa l’inchiesta penale nei confronti del gigante minerario Glencore che è durata quattro anni.
Il Ministero pubblico della Confederazione (MPC) ha emesso il decreto d’accusa per responsabilità d’impresa e un decreto d’abbandono relativo alle altre fattispecie parziali su cui era incentrata l’inchiesta.
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L’azienda dovrà ora pagare una multa di 2 milioni di franchi e un risarcimento pari a 150 milioni di dollari, ha reso noto il MPC in un comunicato odierno.
Attraverso il primo dei due provvedimenti odierni Glencore è stata condannata per non aver adottato “tutte le misure organizzative ragionevoli e indispensabili per impedire la corruzione di un pubblico funzionario congolese da parte di un suo partner commerciale”, si legge nella nota.
La società mineraria aveva “trascurato la predisposizione di un adeguato sistema di gestione dei rischi” in seguito all’acquisto di partecipazioni minerarie sottocosto di Glencore da parte dell’altra azienda nel 2011, manovra in cui sono stati tutelati anche gli interessi della stessa Glencore e in cui si è verificata la corruzione.
Il MPC ha inoltre abbandonato il procedimento nei confronti dell’azienda in relazione alla sua attività nella Repubblica democratica del Congo (RDC) tra il 2007 e il 2017 nel contesto delle miniere da essa gestite.
Nello specifico, è stato abbandonato anche il procedimento relativo alle rinegoziazioni condotte tra il 2008 e il 2009 per una joint venture con la società mineraria statale congolese.
A Glencore, che ha dichiarato di rinunciare a impugnare i due decreti, è stata riconosciuta un’attenuate per aver cooperato con le autorità di perseguimento penale durante tutto il periodo dell’inchiesta.
L’istruzione penale avviata nel 2020 riguardava la mancata adozione da parte del colosso minerario, che ha sede a Baar, nel canton Zugo, di misure organizzative volte a prevenire i sospetti di corruzione nel Paese africano.
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