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Carne coltivata: il divieto italiano fa degli emuli anche in Svizzera

piatto di pezzo di carne con contorni
La carne coltivata potrebbe non arrivare mai sulle tavole svizzere. Keystone / Queensland Tourism / Handout

Quella che alcune e alcuni chiamano "carne Frankenstein" non sembra riuscire a trovare il successo. Dopo l'Italia, infatti, ci si sta mobilitando anche in Svizzera per vietarla.  

Di cosa si tratta? Di carne coltivata in laboratorio. Ossia di carne che ha tutte le caratteristiche del prodotto che tutte e tutti conosciamo, ma che non ha necessitato l’uccisione di nessun essere vivente. Viene infatti creata in laboratorio a partire da cellule staminali estratte da tessuti animali.  

Come detto, l’Italia l’ha già vietata (con un voto parlamentare a larga maggioranzaCollegamento esterno), nonostante l’Unione Europea non l’abbia ancora nemmeno autorizzata. Anche in Svizzera c’è chi vorrebbe fare lo stesso. L’opposizione proviene soprattutto dal mondo agricolo e dall’Unione democratica di centro (UDC, destra conservatrice).  

Nel Parlamento svizzero il ramo agricolo ha un peso importante: Il settore primario rappresentava nel 2022 il 2,3% della popolazione attiva, ma in Consiglio nazionale dopo le ultime elezioni federali di ottobre gli agricoltori e le agricoltrici occupano il 10% dei seggi. 

Una forza politica non indifferente e che è in grado di influenzare i risultati di molte consultazioni. E quindi il fatto che siano proprio loro a opporsi a qualcosa che nella Confederazione non è ancora nemmeno arrivato non è un segnale incoraggiante per chi considera questa carne come un’evoluzione futura dell’alimentazione. Finora una sola azienda ha richiesto l’autorizzazione per commercializzare la carne coltivata nella Confederazione: la start-up israeliana Aleph FarmsCollegamento esterno. Una start-up che ha un forte alleato: dal 2019, infatti, tra i suoi investitori conta anche uno dei leader elvetici della grande distribuzione – Migros. Che questa alleanza possa aiutare a portare la carne da laboratorio sulle tavole elvetiche? Staremo a vedere, anche perché, nel caso di un via libera, i primi prodotti non saranno disponibili prima del 2030.  

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Intanto, però, l’opposizione si è già fatta sentire. Nel corso della sessione estiva del Parlamento, il consigliere nazionale UDC Pierre-André Page ha depositato una mozioneCollegamento esterno nella quale chiedeva non solo di vietare la produzione di carne da laboratorio in Svizzera, ma anche di importarla dall’estero. Il Consiglio federale ha proposto di respingerla: “L’Ufficio federale della sicurezza alimentare e di veterinaria non approva nessun Novel Food [nuovi tipi di derrate alimentari] la cui sicurezza non sia stata dimostrata”, ha argomentato il Governo.  Una delle preoccupazioni dei firmatari della mozione è proprio la sicurezza di questi nuovi prodotti. Inoltre, ha ricordato l’Esecutivo, “un divieto preventivo di questa tecnologia non è oggi né necessario né proporzionato in considerazione della sicurezza dei consumatori e della Svizzera come sede di ricerca. Inoltre, l’economia svizzera risulterebbe svantaggiata se tali prodotti non potessero essere fabbricati nel Paese, ma potessero essere importati e immessi sul mercato da aziende straniere”. 

“Una perdita delle tradizioni” 

La preoccupazione è diffusa: non è solo la questione della salute che inquieta, ma anche una perdita delle tradizioni e, in un certo modo, dell’umanità. La pensa così Sem Genini, segretario dell’Unione contadini ticinesi (UCT), da noi contattato. “Il settore primario certamente non vede [la carne coltivata] di buon occhio, anzi. (…) Stiamo vivendo un’epoca che si stacca sempre di più dalle proprie radici e dalla terra, e nello specifico dall’agricoltura. Promuovere la carne prodotta in laboratorio sarebbe un ulteriore passo verso il distacco totale dalla nostra vera natura”, scrive il politico ticinese (Lega). 

La carne da laboratorio “è quindi in chiara antitesi con la nostra tradizione e cultura alimentare”. La carne, aggiunge, fa parte della cultura elvetica: “Il bestiame è multifunzionale e imprescindibile soprattutto nel nostro Paese, dove valorizza scarti alimentari e zone altrimenti non produttive, produce fertilizzante e contribuisce alla cura del paesaggio a favore di tutti noi”. 

Per questo, prosegue, la decisione italiana è vista con favore: “Dimostra che le incognite, le incertezze, i dubbi e i rischi per la salute umana sono maggiori delle certezze e delle conoscenze attuali”. Cita poi il primo Rapporto FAO-OMS sul cibo a base cellulareCollegamento esterno dello scorso 5 aprile. In questo documento il Fondo alimentare dell’ONU e l’Organizzazione mondiale della salute hanno esaminato le tecnologie utilizzate per la produzione degli alimenti a base cellulare, identifica i potenziali rischi (52) e analizza il quadro giuridico di diversi Paesi in ambito alimentare. Riporta inoltre gli esempi di Israele, Qatar e Singapore, dove questi prodotti sono già disponibili.  

“Non è tutto oro quel che luccica” 

Eppure, i sostenitori di questa nuova tecnologia insistono sul fatto che andrà a ridurre – una volta che la produzione raggiungerà costi accessibili alla grande distribuzione – l’impatto climatico del consumo di carne, che oggi sappiamo essere uno dei principali responsabili della produzione globale di gas a effetto serra. “Non è tutto oro quello che luccica”, ricorda Genini. “Una recente ricercaCollegamento esterno dell’Università della California mostra che l’inquinamento derivante dalla produzione di carne sintetica in laboratorio, definito in equivalenti di anidride carbonica emessi per chilogrammo prodotto, è da 4 a 25 volte superiore a quello della carne bovina tradizionale, basandosi sull’intero ciclo produttivo della carne coltivata. In particolare è stata focalizzata l’attenzione sulle sostanze nelle quali vengono fatte crescere in laboratorio le cellule staminali, che hanno un forte impatto sull’ambiente”. 

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Un piatto servito in un ristorante con della carne.

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Le novità: top o flop? 

Insomma, gli ostacoli e le incognite ci sono, e non sono pochi. Ma, ricordiamo, è stato così anche per le alternative vegane ai prodotti tradizionali: all’inizio c’era solo il latte di soia, che veniva guardato con sospetto. Oggi c’è solo l’imbarazzo della scelta (soia, avena, nocciole, noci, quinoa, riso, mandorle, …). Lo stesso vale per Beyond Meat, per esempio: erano poche e pochi a fidarsi inizialmente di quella che è stata la prima alternativa vegana alla carne a base di proteine di piselli che ne imitasse consistenza e sapore. E il suo prezzo iniziale era proibitivo. Oggi, invece, si trova in quasi tutti i supermercati ed è già stata imitata da altri marchi e creata in versione low-cost. Le sezioni con alternative vegane a prodotti di origine animale nei supermercati (come pure nei piccoli negozi di paese, a dire il vero) si sono estese sempre di più e oggi vengono frequentate anche da chi segue un’alimentazione onnivora.  

La novità non è ovviamente una garanzia di successo. Se a Beyond Meat e ai suoi simili è andata bene, non si può dire lo stesso degli alimenti a base di insetti, presentati al momento del loro lancio come “cibo del futuro”. In Svizzera il futuro è durato pochi anni e non è mai riuscito a decollare: l’iniziale entusiasmo per la novità è scemato ben presto. Tanto che Migros li ha tolti dai propri scaffali tre anni dopo averli introdotti a causa dello scarso interesse.  

+ Serie “Cibo del futuro”

La stessa Migros che dimostra entusiasmo per quanto riguarda la carne coltivata. Come detto, finanzia la start-up israeliana Aleph Farms. Una fiducia basata anche sui risultati di un sondaggio condotto insieme ad Aleph Farms e dal quale è emerso che il 74% dei consumatori e delle consumatrici svizzeri è aperto all’idea di provare la carne coltivata. L’argomento faro a favore di questa nuova tecnologia è che la sofferenza animale sarà azzerata: “Il prelievo delle cellule avviene senza rischi per l’animale. Generalmente basta un singolo intervento per creare una cosiddetta linea cellulare immortale”, scrive il “gigante arancione” sul suo sito. E se “per la soluzione nutritiva durante la fase di sviluppo si utilizza ancora sovente un siero ricavato da feti animali, esistono (…) già aziende che sostituiscono completamente questi ormoni della crescita con prodotti a base vegetale. Migros ha investito in due aziende che praticano già questo metodo ed esclude l’eventualità di vendere carne coltivata ottenuta con siero animale”. 

Rimane ora da capire se gli studi dimostreranno che si tratta di prodotti il cui consumo non sarà problematico, se l’alto interesse durerà nel tempo, ma soprattutto se mai arriveranno sul mercato elvetico.  

L’opposizione continua intanto ad affilare le sue armi: anche il consigliere nazionale UDC di Neuchâtel (eletto poche settimane fa) Dider Calame intende “prendere le cose in mano” e fare di tutto per impedirne l’autorizzazione nella Confederazione, come ha rivelato pochi giorni fa al quotidiano Blick.  E in Ticino? ” Al momento è un pochino presto per dirle [se sosterremo o lanceremo iniziative volte a proibire la carne da laboratorio] poiché dobbiamo ancora discuterne i dettagli all’interno dei nostri vari gremi anche a livello nazionale. Tuttavia, personalmente ritengo che potrebbe essere un’opzione da seguire su basi sicuramente solide come quelle usate al momento in Italia”, scrive dal canto suo Genini. 

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