Stop del petrolio russo, impatto limitato anche in Svizzera
Vladimir Putin martedì ha annunciato che da febbraio la Russia non venderà più greggio e prodotti petroliferi ai paesi che si allienano al tetto di 60 dollari al barile, decretato tre settimane fa dal G7 e dall'Unione europea. Per il Cremlino, la misura è volta a salvaguardare gli interessi nazionali. Secondo il presidente degli importatori svizzeri, gli effetti dovrebbero però essere più contenuti rispetto a quanto successo con il gas all'inizio dell'invasione nell'Ucraina.
Il corso del Brent, dopo una breve impennata, ha chiuso al rialzo solo dello 0,48% a 84,33 dollari al barile mercoledì. Una reazione moderata all'annuncio del Cremlino, che dal primo febbraio vieterà per cinque mesi l'esportazione di petrolio ai Paesi (UE, G7 e Australia, ma anche Svizzera) che hanno adottato il "price cap", la misura che impedisce l'acquisto di greggio russo a un prezzo superiore ai 60 dollari, in aggiunta all'embargo alle operazioni via mare.
Vladimir Putin si è garantito il diritto di decidere eccezioni a questo provvedimento e di introdurne uno analogo per i prodotti già raffinati, in una data ancora da stabilire.
Secondo gli analisti, i mercati si aspettavano la mossa di Mosca, ampiamente preannunciata, e per questo hanno reagito senza frenesia, in un contesto che vedeva comunque i prezzi già ai livelli più alti delle ultime settimane.
Sia il "price cap" sia la contromisura russa per gli esperti non dovrebbero stravolgere il mercato, anche se la Russia è il secondo esportatore mondiale dopo l'Arabia Saudita.
Dall'inizio del conflitto l'Europa ha deciso di rivolgersi sempre più ad altre fonti di approvvigionamento, come per il gas, mentre Mosca ha cercato sbocchi per i suoi prodotti in Asia e vende attualmente soprattutto a Cina e India, a prezzi inferiori a quelli del "price cap".
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