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Cleveland, sfide e indotto di una Convention

L'evento, che ha eletto Trump candidato repubblicano alla presidenza USA, ha stravolto la Città, ma c'è tornaconto

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Con l’atteso discorso di accettazione di Donald Trump, si chiude giovedì sera la convention repubblicana a Cleveland. Uno dei grandi show della politica a stelle e strisce. Un evento che, tra misure di sicurezza e l’invasione della stampa, ha stravolto l’aspetto e le abitudini della città.

Una città invasa da un’armata di 50 mila delegati, giornalisti e addetti ai lavori. Un enorme lavoro di pianificazione, iniziato due anni fa.

“Organizzare una convention è una sfida gigantesca”, spiega Emily Lauer, del Cleveland Planning Committee. “L’ospitalità, i pernottamenti, la comunicazione, i trasporti. Tutto deve andare liscio. E tutto questo va fatto in stretto coordinamento con il Partito repubblicano”.

Convention vuol dire anche business. Vuol dire promozione turistica della città. Negli hotel non si trova una camera libera da mesi. Per un tre stelle si pagano 500 dollari a notte. Senza colazione.

“Abbiamo stimato che l’indotto generato da questi 5 giorni di kermesse si aggira sui 200, 250 milioni di dollari”, dice Lauer. “E poi speriamo che questo evento – con tutti i media presenti – contribuisca a migliorare l’immagine della Città e a scrivere il nome Cleveland sulla mappa delle destinazioni turistiche”.

Anche per le strade attorno all’arena della Convention, i venditori di gadget – accorsi qui da tutta l’America – fanno affari d’oro. Ovunque troneggia tronfia la faccia di Trump.

“Gli affari vanno benissimo”, rivela Antoine. “La T-shirt con la scritta Trump presidente vende alla grande. Costa 10 dollari”.

Un clima di festa in una città militarizzata. Per la sicurezza sono stati spesi quasi 50 milioni di dollari. Per le strade, 7000 uomini tra polizia, FBI, servizi segreti. Ma basta comunque una scintilla per accendere la tensione.

Convention vuol dire anche un colorito universo di personaggi a dir poco improbabili che cerca la luce dei riflettori. Libertini e anti-abortisti. Guerrafondai e pacifisti. Come il signor Vishavjit Singh, artista e pacifista:

“Con la sua retorica Donald Trump getta benzina sul fuoco dell’intolleranza. Io appartengo alla minoranza Sikh, è una situazione che vivo di persone, sulla mia pelle”.

Infine, un esercito di giornalisti arrivati da ogni angolo del pianeta. Più di 15 mila. Calamitati qui dal fenomeno Trump.

“Quattro anni fa i candidati erano dei politici”, osserva il giapponese Eri Urano. “Quest’anno è diverso, Trump è un businessman, una celebrità, e questo in Giappone genera tantissimo interesse”.

C’è anche chi, come Craig Moss, in onore di Donald Trump ha composto un album. 12 canzoni, tutte ispirate al presunto salvatore della patria [cfr video sopra].

Il grande circo di una Convention è anche questo.

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