Eredità Agnelli, le indagini possono proseguire
Rigettato il ricorso contro il sequestro dei documenti relativi al patrimonio della vedova di Gianni Agnelli, che risiedeva in Svizzera, in merito al quale sono in corso indagini su presunti reati tributari a carico degli eredi.
Resta sotto sequestro il materiale preso in consegna dalla Guardia di finanza nell’inchiesta sull’eredità di Gianni Agnelli. Il tribunale del riesame ha respinto il ricorso delle difese, confermando il decreto emesso dalla Procura di Torino il 6 marzo.
I pubblici ministeri possono quindi proseguire con le loro indagini volte a individuare l’intero patrimonio riconducibile a Marella Caracciolo, la vedova dell’Avvocato, deceduta nel 2019 a 92 anni.
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Alla ricerca delle quote degli eredi
Oltre ai telefonini e agli altri dispositivi digitali, gli inquirenti possono trattenere anche i documenti con cui risalire a ‘Dicembre’, la cassaforte di famiglia che controlla tutte le società del gruppo, per individuare i passaggi di proprietà delle quote.
A rivolgersi al riesame erano stati i legali dei fratelli John, Lapo e Ginevra Elkann (nipoti di Marella) e del commercialista Gianluca Ferrero.
“Siamo naturalmente delusi dalla decisione del tribunale e rimaniamo convinti della solidità degli argomenti giuridici che abbiamo sostenuto”, hanno commentato gli avvocati Paolo Siniscalchi, Federico Cecconi e Carlo Re. “Attendiamo comunque il deposito delle motivazioni – aggiungono – per decidere se presentare ricorso per Cassazione”.
I reati ipotizzati
Il fascicolo è aperto per due ipotesi di reato. La prima, che riguarda Ferrero e John Elkann, è la dichiarazione fraudolenta dei redditi di Marella per gli anni fra il 2015 e il 2019. La tesi è che vi sia stata una evasione dell’IRPEF “tramite simulazione di residenza prevalente in Svizzera” della signora Caracciolo.
La seconda ipotesi, estesa anche agli altri fratelli Elkann, si riferisce al fatto che, secondo la Procura di Torino, alla morte di Marella l’imposta di successione non venne versata in Italia. Qui, nel corso dell’udienza, le difese hanno dato battaglia affermando che, a differenza di quanto sostenuto dai pubblici ministeri, non si tratta di una truffa ai danni dello Stato.
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Al massimo, sostengono, è una violazione non prevista come reato da nessuna norma penale e, quindi, censurabile solo in sede amministrativa.
Nel confermare integralmente il decreto di sequestro, i giudici hanno dato ragione alle tesi avanzate dai pubblici ministeri. Ma è probabile che la questione finirà per essere ulteriormente esaminata dalla Cassazione.
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