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Salario minimo in Ticino, “Un modo per risolvere un problema”

Banconote di franchi in un portafoglio.
Il salario minimo non è un regalo per i frontalieri, secondo quanto asserisce l'associazione che rappresenta i lavoratori pendolari italiani. Keystone

La sofferta introduzione del salario minimo in Ticino, terzo cantone elvetico ad adottare questa misura, non ha mancato di suscitare interesse in questi giorni anche oltre frontiera.


La stampa italiana è pressoché unanime (Corriere della SeraCollegamento esterno, La RepubblicaCollegamento esterno, Il GiornaleCollegamento esterno, Il Corriere di ComoCollegamento esterno) nell’interpretare la nuova legge cantonale, approvata lo scorso 11 dicembre, come una misura per arginare l'”invasione” di lavoratori frontalieri.

In Ticino, stabiliscono le norme votate dal parlamento cantonaleCollegamento esterno che applicano il disposto costituzionale, verrà gradualmente applicata a partire dal 2021 una paga minima oraria di 19-19,50 franchi a seconda del ramo economico (circa 17,40-17,80 euro) che nel giro di un triennio – prorogabile a determinate condizioni di un anno – raggiungerà i 19,75-20,25 franchi (circa 18-18,40 euro).

Il 14 giugno 2015 i ticinesi hanno approvato alle urneCollegamento esterno, con il 54,7% di sì, l’iniziativa popolare lanciata dai Verdi “Salviamo il lavoro in Ticino” che ha fissato nella Costituzione cantonale il principio del salario minimo. Per oltre 4 anni però le divergenze tra i partiti hanno ritardato la promulgazione delle norme attuative. Fino all’accelerazione di questi ultimi mesi che ha visto Verdi, PS, Lega e PPD convergere sul testo approvato dal Gran Consiglio lo scorso 11 dicembre, con 45 voti contro 30 (e un astenuto).  

A regime il salario minimo mensile sarà si aggirerà intorno ai 3’476 e i 3’564 franchi, pari a circa 3’200 euro. Per completezza va sottolineato che si tratta comunque di una remunerazione lorda, cui vanno detratte diverse voci (contributi e assicurazioni sociali, imposte cantonali e federali) che possono essere stimate approssimativamente in circa 800-1’000 franchi.

Nel corso del dibattito che ha accompagnato il lungo iter parlamentare sono emerse opinioni assai diversificate: c’è infatti chi considera le nuove disposizioni un possibile regalo ai frontalieri italiani, che in alcuni settori percepiscono attualmente remunerazioni ben inferiori e il prevedibile aumento di paga rischia di attrarre nuova manodopera straniera. Per altri invece la fissazione di un salario minimo ridurrà la concorrenzialità dei frontalieri, soprattutto di quelli meno formati, e conseguentemente i datori di lavoro saranno incentivati ad assumere manodopera indigena. Ne abbiamo parlato con Eros Sebastiani, presidente dell’Associazione frontalieri TicinoCollegamento esterno.     

Tvsvizzera.it: Per alcuni esponenti politici l’introduzione di un salario minimo in Ticino costituisce un regalo per i frontalieri che ora vedranno aumentare le loro retribuzioni. Condivide questa opinione?

Eros Sebastiani: Non è un regalo ma un modo per eliminare un problema: nel Canton Ticino è forte la pressione sui salari ed esiste il dumping, inutile nascondercelo. Uno stipendio che si aggira sui 3’500 franchi, come quello minimo indicato nella proposta passata nel parlamento cantonale, è senz’altro più corretto.

Poi concordo sul fatto che debbano essere le competenze individuali, professionali e culturali, ad essere l’elemento discriminante. Se c’è un candidato con esperienze professionali e conoscenza di tre lingue sarà avvantaggiato a parità di salario. In questo senso in Svizzera non bisogna puntare sul massimo ribasso dei costi della manodopera ma sulle competenze. Non ho mai conosciuto un dipendente che per un posto normalmente retribuito con 10’000 franchi, ne chieda di sua iniziativa 1’700, se lo accetta è perché è il datore di lavoro che glielo impone.

“Un’azienda che paga salari di 1’800 franchi non porta nulla al Ticino”

Vorrei però sottolineare in proposito che il salario minimo va a vantaggio soprattutto dei residenti per i quali, va riconosciuto, è indispensabile un miglioramento delle condizioni globali di lavoro sul mercato ticinese. Se un’impresa ritiene di svolgere la sua attività con salari di 1’800 franchi al mese, come si può osservare nel Mendrisiotto, questo non porta nulla al Ticino, dal profilo economico, sociale e fiscale.

Non ritiene che i lavoratori pendolari lombardi e piemontesi, che sono già sensibilmente aumentati in questi due decenni con la libera circolazione e la crisi del 2008, siano ora ulteriormente invogliati a varcare la frontiera?

Il vero problema non è l’attrattiva dei salari minimi superiori che entreranno in vigore in Ticino. Chi lavora nel settore finanziario o in diversi altri ambiti del terziario già oggi percepisce remunerazioni in linea con i residenti. La questione riguarda il settore industriale dove si sta assistendo in realtà addirittura a una riduzione di certi stipendi.

Se chiediamo a molte persone impiegate oggi in Ticino quanto prendono c’è da rimanere scioccati: si tratta di gente che cerca un’occupazione oltre frontiera semplicemente perché, a differenza di diversi anni fa, in Italia – anche in regioni tradizionalmente più economicamente sviluppate – non c’è lavoro e ci si accontenta di certe paghe. E proliferano fenomeni indesiderati e veri e propri abusi, come ogni tanto riportano le cronache, ai danni dei lavoratori costretti a restituire in contanti parte del salario o con un grado di occupazione superiore a quello ufficiale al medesimo salario.

“Non bisogna andare verso il massimo ribasso del costo del lavoro ma verso l’alta tecnologia”

Per questo motivo dico che il mercato del lavoro indigeno va rafforzato e il salario minimo è una misura che va in quella direzione. Solo alcune piccole attività, ma parliamo di minuscole imprese familiari, potrebbero avere qualche svantaggio dal salario minimo.

Nel frattempo però i frontalieri in Ticino hanno sfiorato quota 68’000.

I dati statistici andrebbero interpretati correttamente. Proprio recentemente un datore di lavoro era alla ricerca di otto donne residenti in Italia da impiegare per un’ora alla mattina presto per mansioni di pulizia nella sede di un’importante società. Dal profilo statistico si tratta di otto frontaliere ma il loro carico di impiego equivale a un occupato a tempo pieno. Ci sono poi i casi di lavoratori che interrompono per vari motivi la loro attività ma che essendo titolari di un permesso G (frontalieri) rilasciato dalle autorità cantonali figurano ancora nelle statistiche.

Eros Sebastiani
Il presidente della’Associazione frontalieri Ticino Eros Sebastiani RSI-SWI

È comunque inconfutabile il costante incremento dei lavoratori frontalieri provenienti dall’Italia sul mercato confederato.

È indubbio, ma questo risponde anche a un approccio sbagliato dell’economia ticinese. Non bisogna andare verso il massimo ribasso del costo del lavoro ma verso l’alta tecnologia, ramo in cui vengono corrisposti stipendi corretti, anche perché in Cina e in altri paesi dell’Est riusciranno sempre a produrre a prezzi inferiori. Perché, ad esempio, non si cerca di creare sinergie, vista la collocazione geografica del Ticino, con il polo aerospaziale che sta per venire alla luce nel Milanese? L’Italia, e in particolare la produttiva Lombardia, andrebbero viste come un’opportunità per incrementare sviluppo e ricchezza locali e non come una minaccia.

L’aumento delle retribuzioni minime potrebbe favorire, come viene indicato da qualcuno, usi illegali da parte dei datori di lavoro?

Sì, effettivamente esiste il rischio di abusi ma dalla politica mi aspetto delle risposte e non delle accuse astratte. E soprattutto auspico che si facciano delle indagini serie sugli imprenditori disonesti da parte degli organi cantonali competenti, che fino ad oggi non mi sembra che siano esenti da critiche.

Ma non bastano più controlli: credo che sia importantissimo stipulare un patto d’onore tra fiduciari, aziende e società interinali per scongiurare pratiche negative. Purtroppo devo constatare che ciò non avviene. Sono venuto a conoscenza proprio recentemente di un responsabile e-commerce di una società, con sede nel Mendrisiotto che fattura milioni, pagato 1’700 franchi al mese esentasse. O di un architetto laureato che accetta di lavorare gratis per uno studio conosciuto in Ticino al solo scopo di migliorare il suo curriculum.

Si tratta di pratiche disoneste, scorrette e antieconomiche che finiscono per favorire la concorrenza sleale. Concorrenza sleale fatta però sulle spalle degli impiegati. Se venissero eliminate magari diverse imprese chiuderebbero ma così facendo si ricreerebbe un marcato interno sano, a tutto vantaggio di chi ci vive.

Il Ticino è il terzo cantone in Svizzera a dotarsi di norme che prescrivono una retribuzione minima per i salariati. Dal 4 agosto 2017 a Neuchâtel è in vigore una paga oraria di 20 franchi, che può variare leggermente in funzione dell’andamento dell’inflazione. Lo stipendio mensile di base, considerata la tredicesima, è quindi di 3’640 franchi. Sulla questione di sono espressi i cittadini del cantone francofono nel novembre 2011 e successivamente il Tribunale federale che nel luglio 2017 ha rigettato i ricorsi delle associazioni padronali. Un’analoga iniziativa è stata approvata nel Canton Giura nel 2013, il cui parlamento ha adottato la relativa legge nel novembre del 2017. A livello federale non ha avuto lo stesso riscontro l’iniziativa “Per la protezione di salari equiCollegamento esterno” lanciata dall’Unione sindacale (USS): la proposta di una paga oraria minima di 22 franchi (4’000 franchi al mese) è stata bocciata alle urne il 18 maggio 2014 da tutti i cantoni e dal 76,3% degli svizzeri.

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