Le colonie estive sindacali: vacanze popolari in Italia tra mare e solidarietà

Per migliaia di bambini e bambine ticinesi, le colonie estive sindacali hanno rappresentato la prima vera vacanza, un’occasione di crescita, salute e libertà. Nate negli anni Venti per iniziativa della Camera del Lavoro e seguita a ruota dall’OCST, queste esperienze hanno segnato un secolo di storia sociale, offrendo alle famiglie lavoratrici un’alternativa concreta al privilegio borghese delle ferie.
Da oltre un secolo, le colonie estive promosse dai sindacati ticinesi sono un punto di riferimento per migliaia di famiglie. Nata nel 1923 con la prima colonia ad Astano, nel Malcantone, su iniziativa della Camera del Lavoro, questa esperienza ha attraversato generazioni, trasformandosi con la società ma restando fedele alla sua missione originaria: offrire ai figli dei lavoratori un’occasione di crescita, salute e svago.
In un’epoca in cui le vacanze erano privilegio di pochi, le colonie sindacaliCollegamento esterno hanno segnato una svolta sociale. Tra le due guerre mondiali, soggiornare al mare o in montagna era un lusso riservato alla borghesia. Le colonie climatiche, come venivano chiamate inizialmente, nacquero per garantire ai bambini delle classi popolari un mese di recupero in ambienti salubri, lontano dalle città.
“Non conoscevo nessuno. Sono partito da Mendrisio con il treno insieme ad altri 300 bambini”
Filippo Gabaglio, presidente Centri OCST per l’infanzia
Fu però con l’espansione verso le destinazioni marine italiane che le colonie assunsero un ruolo ancora più rilevante.
A partire dagli anni Trenta, su iniziativa dell’Organizzazione cristiano sociale ticinese (OCST), e con maggiore intensità nel secondo dopoguerra, le colonie al mare divennero un appuntamento atteso e partecipato da migliaia di bambini.
L’infanzia al mare: salute, iodio e prime esperienze di autonomia
Come ricorda Filippo Gabaglio, presidente dei Centri OCST per l’infanziaCollegamento esterno, “quando sono tornato a casa, mia madre quasi non mi ha riconosciuto, talmente ero abbronzato e rotondetto”, testimoniando l’impatto positivo di queste esperienze.
Gabaglio partecipò per la prima volta a una colonia a soli 7 anni, ad Albenga, in Liguria: “Non conoscevo nessuno. Sono partito da Mendrisio con il treno insieme ad altri 300 bambini. Personalmente mi sono divertito tantissimo e non ho avuto nostalgia della famiglia. Ma ci sono stati casi in cui i bambini non smettevano di piangere per tutta la durata della colonia, che allora durava quattro settimane”.
>>Documentario sulle colonie estive al mare della RSI:
Come Filippo Gabaglio, anche Gianfranco Carobbio è stato prima ospite di una colonia marina e poi monitore. “Era la prima volta che noi bambini vedevamo il mare” racconta Carobbio, a cui quell’esperienza è rimasta nel cuore. Tanto che appena 18enne (età minima per fare il monitore in Italia) partecipa subito come volontario alle colonie marine in Italia organizzate dalla Camera del lavoro.
Dalle origini al periodo d’oro
Le prime colonie marine dell’OCST si tennero tra il 1937 e il 1939 a Bordighera e Sanremo, ma furono interrotte dallo scoppio della guerra. Ripresero nel 1947 e si conclusero nel 1952. Nel frattempo, dal 1949 al 1953, si aprì la parentesi di Loano, seguita da quella più duratura di Albenga (1953-1974), dove si arrivò a ospitare fino a 300 ragazzi per turno. In totale, furono circa 7’000 i giovani che trascorsero le vacanze in queste località.
“Era la prima volta che noi bambini vedevamo il mare”
Gianfranco Carobbio, già monitore delle Colonie sindacali
Negli anni Cinquanta e Sessanta, periodo d’oro delle colonie OCST, si organizzavano fino a quattro turni estivi – due in montagna in Svizzera e due al mare in Italia – per un totale di 1’200-1’400 partecipanti. Inizialmente riservate ai figli degli iscritti al sindacato, le colonie vennero presto aperte a tutte le famiglie, mantenendo costi accessibili. I partecipanti avevano tra i 6 e i 13 anni, e i soggiorni, inizialmente di quattro settimane, furono progressivamente ridotti a tre nel 1982 e a due dal 1996.
Igea Marina e Chioggia: le grandi stagioni
Nel 1961 l’OCST acquistò una struttura a Igea Marina, dando vita all’esperienza più longeva: quasi quarant’anni di attività, con due turni annuali dal 1972 e picchi di 300 partecipanti. La colonia chiuse nel 1999 e l’edificio fu venduto l’anno successivo a un’associazione sociale. In totale, vi trascorsero le vacanze quasi 8’000 ragazzi.
Nel 1977 fu inaugurata una nuova struttura a Chioggia, costruita su terreni acquistati nel 1974. Anche qui si organizzarono due turni estivi fino al 2003. A causa della qualità delle acque dell’Adriatico, furono costruite due piscine per garantire la sicurezza dei bambini. La colonia di Chioggia arrivò a ospitare fino a 470 bambini, per un totale di quasi 6’000 partecipanti.
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A Igea Marina con la Camera del lavoro
Le prime colonie marine organizzate dalla Camera del lavoro risalgono agli inizi degli anni Cinquanta, e non a caso si svolsero proprio a Igea Marina, sulla costa adriatica. Questa località, già allora frequentata da numerose realtà associative e industriali italiane, divenne un punto di riferimento anche per il sindacato ticinese.
Come racconta Giuseppe Garobbio, oggi docente in pensione ma per oltre quindici anni attivo nelle colonie della Camera del lavoro, “se si fosse fatta una passeggiata in riva al mare, si sarebbe potuta vedere una fila di costruzioni, tutte colonie marine italiane. Poi c’era anche la nostra, e poco distante quella dell’OCST”.
In spiaggia, i bambini italiani dovevano prendere il sole prima sulla pancia, poi, al fischio del monitore, girarsi sulla schiena. Tutto era rigidamente regolato”
Gianfranco Carobbio, già monitore delle Colonie sindacali
La struttura utilizzata dalla Camera del lavoro apparteneva al sindacato stesso, ma la direzione era affidata a personale italiano. Intorno, sorgevano le colonie di alcune delle più grandi industrie italiane, come la Fiat e l’Olivetti. “Ricordo bene – continua Garobbio – quei bambini italiani vestiti tutti uguali, con monitori molto severi, sempre con il fischietto in bocca. Mi è rimasto impresso un episodio: in spiaggia, i bambini dovevano prendere il sole prima sulla pancia, poi, al fischio del monitore, girarsi sulla schiena. Tutto era rigidamente regolato”.
In netto contrasto con questa impostazione più rigida, la colonia della Camera del lavoro si distingueva per un approccio più aperto e collaborativo, anche grazie alla vicinanza e alla collaborazione con il CEIS di Rimini, il Centro Educativo Italo-Svizzero fondato nel 1946 su iniziativa del Soccorso Operaio Svizzero. Il CEIS, noto anche come “Villaggio svizzero”, era diretto da Margherita Zoebeli, giovane educatrice svizzera di ispirazione socialista libertaria, e rappresentava un modello pedagogico d’avanguardia.

Altri sviluppi
Margherita Zoebeli: una scuola attiva per ricostruire l’Italia
L’impostazione pedagogica della Zoebeli privilegiava il lavoro di gruppo, la cooperazione e l’assenza di gerarchie rigide. Questo spirito influenzava anche la colonia della Camera del lavoro, che ne traeva ispirazione per le proprie attività.
La colonia di Igea Marina poteva ospitare fino a 180 bambini, suddivisi in sei grandi camerate da 30 posti ciascuna. “Ricordo – aggiunge Garobbio – che noi monitori dormivamo nei corridoi, per essere vicini ai bambini e poter intervenire in caso di bisogno. Era un modo per creare un senso di vicinanza e sicurezza, ma anche per condividere pienamente la vita della colonia”.
L’esperienza di Igea Marina rappresenta un esempio significativo di come le colonie sindacali non fossero solo luoghi di vacanza, ma veri e propri spazi educativi, capaci di coniugare solidarietà, pedagogia attiva e spirito comunitario.
La rivoluzione pedagogica, dal controllo all’educazione attiva
Nel corso del Novecento, le colonie estive sindacali non sono state soltanto un’opportunità di svago per i figli delle famiglie lavoratrici, “ma anche un laboratorio educativo in continua evoluzione”, conferma Gianfranco Garobbio. “Se nei primi decenni del secolo dominava un’impostazione autoritaria e paternalistica – aggiunge Garobbio – a partire dagli anni Sessanta si assiste a una vera e propria rivoluzione pedagogica, che trasforma radicalmente il senso e la funzione di queste esperienze”.
Fino agli anni Cinquanta, le colonie erano spesso percepite come luoghi di sorveglianza più che di educazione. La disciplina era rigida, le giornate scandite da orari fissi e attività imposte, e la figura dell’adulto era quella del controllore. Non a caso, come ricorda qualcuno, “la minaccia più o meno velata “se non fai il bravo ti mando in colonia” era un deterrente efficace per molti bambini.
Ma dopo la metà degli anni Sessanta si apre una fase di straordinaria crescita qualitativa. Le nuove teorie pedagogiche, il clima culturale post-’68 e l’influenza delle esperienze educative più avanzate in Europa portano a un profondo ripensamento delle dinamiche educative. È in questo contesto che i CEMEACollegamento esterno (Centri d’Esercitazione ai Metodi di Educazione Attiva) giocano un ruolo fondamentale.
L’influenza dei CEMEA e la formazione dei monitori
Grazie ai corsi dei CEMEA, molti insegnanti e studenti della magistrale che si offrivano come volontari nelle colonie acquisirono strumenti pedagogici innovativi. L’esperienza come monitore diventava così non solo un’occasione di servizio, ma anche una preziosa tappa formativa. “I CEMEA – ricorda Garobbio – promuovevano un’educazione attiva, partecipativa, centrata sul bambino e sulla bambina, in netto contrasto con i modelli autoritari del passato”.
Questa nuova impostazione, sottolinea ancora Gianfranco Garobbio, si tradusse in cambiamenti concreti: “sveglia e siesta libere, gestione condivisa delle serate, abolizione delle giornate dei genitori, introduzione di coordinatori per le attività”. Ogni elemento della vita quotidiana veniva ripensato per favorire l’autonomia, la responsabilità e la partecipazione attiva dei bambini. Le colonie non erano più solo un luogo di custodia, ma un ambiente educativo sperimentale.
Un’esperienza vissuta con piacere
Il cambiamento fu percepito anche dalle famiglie. Le colonie, un tempo viste con sospetto o come necessità imposta, iniziarono a essere vissute come un’opportunità positiva.
“Noi ragazzi di famiglie modeste andavamo in colonia per andare in vacanza, non perché i nostri genitori non sapessero cosa farci fare durante l’estate”.
Filippo Gabaglio, presidente Centri OCST per l’infanzia
“Le colonie estive erano spesso le prime e uniche vacanze per questi bambini”, ricorda Filippo Gabaglio che aggiunge “noi ragazzi di famiglie finanziariamente modeste andavamo in colonia per andare in vacanza, non perché i nostri genitori non sapessero cosa farci fare durante l’estate”.
Questa trasformazione pedagogica contribuì a rendere le colonie un’esperienza non solo educativa, ma anche emotivamente significativa. I bambini imparavano a stare insieme, a scoprire nuove forme di relazione e di espressione. “Le colonie erano ideali per gestire il distacco dalla famiglia”, aggiunge Gabaglio. “Non per tutti fu facile, certo, ma per molti fu un’esperienza di crescita indimenticabile”.
Il declino e la nuova attualità
Gli anni Novanta portarono nuove sfide per le colonie organizzate dei sindacati. La crescita esponenziale delle offerte di vacanze estive creò un mercato molto più competitivo e diversificato. Dalle colonie itineranti a quelle integrate, dagli esploratori alle colonie comunali e religiose, l’offerta si moltiplicò, spesso con proposte di durata ridotta rispetto ai tradizionali 18-21 giorni delle colonie storiche.
Molte colonie marine in Italia furono chiuse anche per motivi amministrativi e burocratici, o per la percezione della qualità delle acque. Tuttavia, oggi si assiste a un rinnovato interesse per le colonie sindacali. “L’aspetto economico – sottolineano Gabaglio e Garobbio– è tornato a essere un fattore importante per le famiglie, e le colonie continuano a rispondere a questi bisogni, riaffermando la loro attualità come baluardi di collettività e rispondono a un bisogno concreto: offrire a tutti i bambini, indipendentemente dal reddito familiare, un’estate di scoperta, libertà e crescita”.

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