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La Svizzera ha un problema con le gallerie

L interno della galleria di base del Monte Ceneri.
Appalti a basso costo e consegne in tempi record. Poi è emerso che è stato un vero e proprio cantiere della vergogna: turni infiniti, buste paga taroccate, assenza di controlli e lacune nella sicurezza. © Keystone / Gaetan Bally

Alcune grandi opere pubbliche elvetiche, in particolare i tunnel, sono state attribuite ad alcune imprese dalla dubbia reputazione. Tra abusi sugli operai, incidenti e sospetti d’infiltrazioni criminali, ecco una cronistoria brutta di quanto successo sul cantiere AlpTransit del Monte Ceneri.

L’11 febbraio, un’inchiesta della Divisione distrettuale antimafia di Milano ha rivelato le presunte penetrazioni della ‘ndrangheta nella manutenzione della rete ferroviaria italiana. Il sospetto è che degli uomini vicini alle cosche abbiano messo le mani su questo settore strategico attraverso un complesso sistema di subappalti mascherati che coinvolgeva anche le più grandi società del settore.

Fra i 35 indagati vi è un nome noto anche in Svizzera: Edoardo Rossi, il presidente della società romana Generali Costruzioni Ferroviarie (GCF) e membro del CdA della filiale elvetica di questo colosso della posa dei binari. GCF è la società che ha realizzato l’infrastruttura di tecnica ferroviaria sul cantiere di AlpTransit del Monte Ceneri. Un cantiere caratterizzato da abusi e violazioni dei diritti dei lavoratori che hanno portato all’apertura di un’inchiesta penale in Ticino.

La recente notizia giunta dall’Italia sui possibili legami tra alcune società subappaltatrici in odore di criminalità organizzata e la GCF alza però il livello delle preoccupazioni e alimenta i sospetti che, anche in Svizzera, dietro a certi grossi appalti pubblici, possano esseri infiltrati potenti interessi criminali. 

Il cantiere della vergogna

Camorino, 26 luglio 2017. Al portale Nord della galleria di base del Monte Ceneri si festeggia l’inizio dei lavori di posa dei binari. Edoardo Rossi è raggiante: “Ora tocca a noi dare il meglio della nostra esperienza e il massimo del nostro impegno per consegnare alla Svizzera la linea ferroviaria che completerà la Nuova Ferrovia Transalpina. La GCF fa parte del consorzio italo-svizzero Mons Ceneris che ha vinto l’appaltoCollegamento esterno per installare l’infrastruttura di tecnica ferroviaria. Un appalto da quasi 100 milioni di franchi vinto grazie ad un’offerta del 30% più basa rispetto ai consorzi concorrenti.

Nove mesi più tardi va in scena la cerimonia del cosiddetto “blocchetto d’oro”, la posa dell’ultimo pezzo dei binari. I lavori sono stati ultimati con 50 giorni d’anticipo. Un motivo d’orgoglio per Edoardo Rossi: «Avevamo fatto una promessa: dare il meglio della nostra esperienza e garantire la massima responsabilità e impegno (…) Oggi siamo orgogliosi di aver contribuito alla realizzazione di questa importante tessera del puzzle, soddisfacendo le aspettative sui tempi e sulla qualità d’esecuzione».

Appalti a basso costo e consegne in tempi record. Nell’aprile 2019, un servizio di FalòCollegamento esterno, trasmissione di approfondimento della RSI, ha svelato l’altro della medaglia. Quello che emerge dalle diverse testimonianze raccolte dalla RSI è un vero e proprio cantiere della vergogna: turni infiniti, buste paga taroccate, assenza di controlli e lacune nella sicurezza. Gli importi sottratti ai lavoratori stimati assieme all’ispettorato ticinese del lavoro sarebbero di almeno 3,5 milioni di franchi. In seguito a quel servizio televisivo, grazie alle denunce di una decina di operai appoggiati dal sindacato Unia, il procuratore pubblico Andrea Gianini ha aperto un’inchiesta. Un procedimento penale tuttora in corso.

La ‘ndrangheta prende il treno

La giustizia ticinese ha i suoi tempi e le sue lungaggini. Nel frattempo c’è chi ha pagato sulla propria pelle il coraggio di denunciare: «Mi hanno fatto perdere il nuovo lavoro, offerto 100’000 euro per ritirare la denuncia e minacciato» ha raccontato Fouad Zerroudi, principale protagonista del servizio della RSI. Pratiche, queste, che hanno fatto ipotizzare che attorno alla GCF ruotassero persone vicine al crimine organizzato. Già nel 2016, in Danimarca, il sindacato 3F aveva accennato alle infiltrazioni della ‘ndrangheta sui cantieri della metropolitana di Aahrus: alcune aziende subappaltatrici alle dipendenze di GCF sui cantieri danesiCollegamento esterno – la New World Construction e la Nicofer – avrebbero infatti avuto legami con delle famiglie Nicoscia e Giardino di Isola di Capo Rizzuto.

La recente inchiesta italiana, oggi, porta nuovi e rilevanti elementi. Edoardo Rossi, insieme al fratello Alessandro (direttore della GCF) è sospettato di aver preso parte a un’associazione a delinquere operante tra Varese e Milano e di avere avuto “solidi e perduranti legami” con la ‘ndrangheta assieme ad altri soggetti. Si parla della cosca Nicoscia-Arena le cui società avrebbero ottenuto in subappalto lavori che le ferrovie italiane appaltava a colossi del settore, come appunto la GCF. Tra i nomi delle ditte subappaltatori compaiono anche le due imprese già notate dai sindacalisti danesi.

Chiuso il cantiere del Monte Ceneri, GCF ha tentato di partecipare all’appalto per il nuovo tunnel autostradale del Gottardo, come membro di un consorzio che ha presentato un’offerta che ammontava alla metà di quella più elevata. A fine 2019, sindacati e associazioni padronali ticinesi scrissero una lettera alla Consigliera federale Simonetta Sommaruga con l’obiettivo di «scongiurare il ripetersi di quanto accaduto nelle opere di armamento ferroviario alla galleria del Ceneri AlpTransit deliberate a GCF di Roma». Nella lettera si invitava il committente pubblico federale a prendere le dovute precauzioni, in particolare evitando di considerare nella gara «unicamente il minor prezzo» come accaduto per il Ceneri. Un appello che sembrerebbe essere stato ascoltato dato che l’appalto è poi stato dato ad un consorzio concorrente, malgrado l’offerta più elevata. GCF sta comunque lavorando in Svizzera, nei lavori di posa dei binari del LEB di Losanna, dove è stata messa sotto stretta osservazione da sindacati e committente. Anche le FFS hanno sottoscritto un contratto con la ditta GCF all’interno di un più grande appalto.

L’avvocato svizzero di GCF, Emanuele Stauffer, ai microfoni della RSICollegamento esterno, ha respinto le accuse e specificato che il Giudice delle indagini preliminari italiano ha rifiutato la misura cautelare per i fratelli Rossi giudicando insufficienti le prove acquisite. Per tutti, naturalmente, vale la presunzione d’innocenza. Ciò non toglie che quanto andato in scena durante il cantiere del Monte Ceneri, nell’ambito di una delle principali opere pubbliche svizzere, desti preoccupazione. Anche perché non è la prima volta che una ditta attiva sul cantiere Alptransit finisce nel mirino delle autorità italiane.

Gli errori del passato

Duccio Astaldi, amministratore delegato della società Condotte d’Acqua Spa di Roma – responsabile dei lavori di scavo del tunnel del Monte Ceneri – è arrestato nel marzo del 2018. L’accusa è di corruzione. Da lì a poco la società, attiva in Svizzera anche su altri cantieri, finirà in amministrazione straordinaria. Nel 2019, Condotte uscirà dal consorzio attivo sul cantiere AlpTransit (era parte anche di un altro consorzio aggiudicatosi nel 2013 l’appalto per la tecnica ferroviaria e la coordinazione generale), mentre la sua controllata Cossi passerà nelle mani di Salini Impregilo (oggi Webuild).

Al di là dell’arresto di Astaldi, la reputazione di Condotte era già macchiata. Quando, nel 2009, la direzione di AlpTransit, firma il contratto per i lavori di costruzione dello scavo del tunnel del Monte Ceneri, la nomea dell’impresa italiana è già macchiata: nel 2008, infatti, in piena gara d’appalto per l‘attribuzione dei lavori di scavo, il gruppo romano aveva perso il certificato antimafia italiano per una vicenda di subappalti sulla Salerno-Reggio Calabria.

Un fatto, questo, che in Svizzera non sembra però aver disturbato più di tanto. D’altronde, anche in questo caso, l’offerta vincitrice, vicina al miliardo di franchi, era la più allettanteCollegamento esterno: il 7% in meno rispetto al principale consorzio concorrente. In soldoni, per AlpTransit, l’opera sarebbe costata 70 milioni di franchi in meno.

Un morto e altri sospetti

«Sono contento di avere lavorato in questo tunnel: ho conosciuto buoni colleghi con i quali eravamo molto uniti. Ma quello che ho visto sotto questa montagna mi ha fatto schifo. Ho imparato cosa significa lavorare in un cantiere di questo tipo, dove vigeva un’omertà mafiosa e dove le più basilari norme di sicurezza sono state calpestate regolarmente». Questa frase ci è stata detta qualche tempo fa da un operaio esperto di impianti elettrici sotterranei che è stato attivo sotto il Monte Ceneri.

In effetti, anche per le opere di scavo, i problemi sono stati diversi: incidenti, lacune nella sicurezza, turni infernali, soprusi, minacce. Fatti più volte segnalati dai sindacati, ma che non hanno portato a reali miglioramenti. È in questo contesto che, il 21 settembre del 2010, ci scappa il morto.

Pietro Mirabelli, minatore figlio di minatore, lancista esperto e da sempre in prima fila per chiedere più sicurezza, viene travolto da 400 chili di roccia staccatasi da un’altezza di 8 metri. La causa: l’impatto sulla parete del braccio della macchina di perforazione guidata da un operaio poco pratico. Una tragedia ha messo in luce le responsabilità di Condotte in termini di sicurezza.

Ma non solo: quello che emerse era un clima di omertà e di paura. Quando la Procura arrivò sul posto qualcuno aveva già pulito la scena del crimine. Per questa vicenda non è mai stata fatta giustizia. Resta però la sensazione che qualcosa di più marcio, in quel cantiere, c’era. Non a caso l’allora Procuratore generale John Noseda dichiarò alla stampa che la mafia «ha messo le mani su AlpTransit»Collegamento esterno. Il sospetto, mai provato, è quello che delle persone legate alla ’ndrangheta fossero state assunte al fine di far tacere chi si opponeva alla “cultura d’impresa” imposta da Condotte.

Quest’ultima, in seguito, è stata poi implicata in un’operazione antimafia in Calabria che ha portato all’arresto di alcuni dirigenti locali, accusati di aver collaborato con aziende legate alle cosche. Una storia che oggi sembra purtroppo ripetersi.


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