Parli italiano? In molti licei della Svizzera tedesca la risposta è “Nein”
Foto d'archivio. Immagine illustrativa.
Keystone / Alessandro Della Valle
La legge lo impone, ma nella pratica un quarto dei licei della Svizzera tedesca continua a non offrire lezioni di italiano a studenti e studentesse. E Berna che fa? Chiude un occhio, nonostante le ripetute sollecitazioni che arrivano dal Ticino.
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tvsvizzera.it/mrj con RSI
Secondo uno studio del 2022 della Conferenza dei direttori e delle direttrici cantonali della pubblica educazione, il 26% dei licei della Svizzera tedesca non offre lezioni d’italiano, nonostante esista un obbligo a livello federale e Berna. Malgrado le numerose segnalazioni giunte dal Ticino (compresa un’interpellanza al Consiglio federale da parte del deputato Marco Romano), Berna continua a non intervenire per cambiare le cose.
Malcontento è stato espresso anche dal Forum per l’italiano in Svizzera, che ha ricordato che una maturità, per poter essere riconosciuta nella Confederazione, deve rispettare delle condizioni minime e tra queste vi è la possibilità per lo studente o la studentessa di poter seguire corsi d’italiano anche come disciplina fondamentale e non solo facoltativa.
“Se non si rispetta l’ordinanza federale di maturità, i titoli non dovrebbero essere rilasciati come validi per l’intera Svizzera. E invece anche qui le autorità cantonali e federali hanno chiuso entrambi gli occhi”, ha dichiarato il coordinatore del Forum Diego Erba ai microfoni della trasmissione Seidisera della Radiotelevisione della Svizzera italiana RSI.
Gli istituti che non offrono corsi si giustificano con lo scarso interesse delle studentesse e degli studenti, ma secondo Erba è una scusa: “Se non scelgono questa materia è perché non viene loro offerta”. Un cane che si morde la coda, insomma.
Hans Ambühl, presidente della Commissione svizzera di maturità, assicura che il problema è conosciuto, ma che la Commissione non conosce le cause di questa inadempienza alle regole. “Per noi, però, non importano cause o motivi”. Quel che conta, sottolinea, è correggere la situazione attuale. L’Esecutivo, dal canto suo, tergiversa: all’interrogazione di Marco Romano ha risposto qualche mese fa che da agosto 2024 la Commissione potrà verificare il rispetto dei requisiti relativi all’insegnamento della lingua di Dante. Verificare, quindi, ma non imporre.
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E così chi difende l’insegnamento dell’italiano si sente inascoltato: “Per il momento non possiamo fare molto a parte sollecitare nuovamente i Cantoni a introdurlo nel programma fondamentale”, aggiunge Diego Erba. Inascoltato, ma anche preso poco sul serio: “Io dico sempre: se una persona non rispetta un obbligo di legge viene sanzionata. E qui invece si scaricano i barili da un posto all’altro”. L’Autorità federale, infatti, afferma che è compito dei Cantoni, i Cantoni dicono che è compito degli istituti “e gli istituti non fanno”, conclude il coordinatore del Forum.
Pessimismo condiviso, almeno in parte, da Renato Martinoni, professore emerito all’Università di San Gallo. “Il problema è vecchio e sembra non voler essere risolto”. La responsabilità di questo stallo è del mondo politico, che dovrebbe “intervenire con determinazione e far rispettare le regole”, spiega l’accademico.
Eppure, il plurilinguismo, che fa parte integrante della cultura elvetica, è una ricchezza da non perdere: “Una lingua non è semplicemente una grammatica o un obbligo costituzionale: dietro a una lingua c’è un mondo e imparandola s’impara a capire una realtà e a conoscerla meglio”. E non solo all’interno dei confini nazionali: “Ricordiamo – dice il professore – che i tre principali idiomi svizzeri permettono di parlare, nella sola Europa, con 200 milioni di persone”.
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