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L’ombra dei frontalieri sul voto in Ticino

Seggio elettorale a Bellinzona nel precedente scrutinio dell aprile 2019.
Seggio elettorale a Bellinzona nel precedente scrutinio dell'aprile 2019. © Ti-press

Per il Ticino, cantone sudalpino incuneato nella Lombardia, il prossimo sarà un fine settimana di votazioni, sulle quali di regola si riflettono i complessi e intensi rapporti con la vicina Italia.

Il confronto tra le due realtà è continuo, sia per motivi geografici e culturali, sia per il fatto che quasi un o una abitante su tre nel cantone italofono possiede il passaporto italiano (per una parte consistente di essi in aggiunta a quello elvetico).

In questo quadro particolare l’aspetto forse più avvertito dalla popolazione locale riguarda l’imponente afflusso quotidiano di manodopera proveniente da oltre confine – oltre 77’000 persone, pari al 31,2% del totale degli occupatiCollegamento esterno nel cantone – che incide pesantemente sul mercato del lavoro locale, provocando effetti distorsivi e tensioni ricorrenti con la popolazione locale.

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Alcune formazioni politiche ticinesi (Lega dei ticinesi e UDC) hanno fatto della questione un cavallo di battaglia, arrivando a condizionare l’esito di votazioni, anche a livello federale (l’iniziativa contro l’immigrazione di massa del febbraio 2014 e, a livello cantonale, l’iniziativa “prima i nostri” del settembre 2016, per citarne solo due). Nel corso della campagna elettorale il tema è stato riproposto, restando però piuttosto in secondo piano e senza gli accenti polemici che si sono manifestati in passate consultazioni popolari.

Noi comunque ne abbiamo parlato con i responsabili dei sei principali partiti ticinesi, che ci hanno offerto il quadro aggiornato degli umori diffusi tra la gente.     

Alessandro Speziali (Patito liberale radicale ticinese)

Alessandro Speziali, presidente del Partito liberale radicale ticinese
Alessandro Speziali, presidente del Partito liberale radicale ticinese ti.ch

Come cantone di frontiera questo è un fenomeno che mette sotto pressione il nostro del mercato del lavoro. Ci troviamo in una situazione in cui una parte delle aziende e dei servizi, senza l’apporto della manodopera estera, sarebbe in grande difficoltà, basti pensare alla sanità – ma al contempo in altri settori si assiste a pressioni sui salari e precarietà.

Va quindi sottolineato che è importante per l’economia locale disporre di un importante e variegato bacino di manodopera, che consente di reperire i profili professionali che mancano. D’altro lato è innegabile il fatto che il numero di frontalieri sia elevato e che in alcuni settori in cui la concorrenza si gioca sul piano salariale.

Come liberali radicali abbiamo sempre difeso le misure di accompagnamento alla libera circolazione e su questo aspetto abbiamo sensibilizzato il partito a livello federale. In questo senso siamo favorevoli a controlli efficaci sul mercato del lavoro, al partenariato sociale e ai contratti collettivi.

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In parallelo va potenziata la formazione per assicurare il personale necessario nei settori che offrono impieghi qualificati e ben retribuiti (ricerca, farmaceutica, finanza, innovazione tecnologica e meccanica). Per far questo occorre soprattutto investire sull’economia.

Spesso poi ci si dimentica che gli accordi bilaterali con l’UE e la libera circolazione sono stati votati a più riprese dal popolo. Invece di cercare soluzioni non praticabili bisognerebbe puntare sulle misure fiancheggiatrici, sui controlli e sulla responsabilità sociale degli imprenditori e dei consumatori.

Per regolare il mercato c’è la clausola di salvaguardia regionaleCollegamento esterno a tutela della manodopera indigena, promossa dal nostro consigliere di Stato (governo ticinese) Christian Vitta, che consentirebbe di introdurre temporaneamente dei contingenti in singoli cantoni in presenza di situazioni contingenti problematiche.

Va riconosciuto che la situazione del Ticino è diversa da quella dei cantoni della Svizzera Interna o di altri cantoni di frontiera come Ginevra e Sciaffusa. Per questo motivo non è facile portare avanti le nostre rivendicazioni e si ha l’impressione che Berna non ci ascolti. Il problema è che la Svizzera è composta da 26 cantoni e le realtà sono eterogenee tra loro.

Sabrina Aldi (Lega dei Ticinesi)

Sabrina Aldi, portavoce del Consiglio esecutivo della Lega dei Ticinesi
Sabrina Aldi, portavoce del Consiglio esecutivo della Lega dei Ticinesi ti.ch

Quello dell’incremento di lavoratori frontalieri è un grosso problema, accentuato dal fatto che il loro numero progredisce di pari passo con l’occupazione di impieghi nel settore terziario che fino a qualche anno fa non era toccato dalla concorrenza straniera.

Questa situazione genera fenomeni di sostituzione della manodopera residente e di dumping salariale, dovuto al fatto che i lavoratori pendolari provenienti da oltre confine sono disposti a essere remunerati con salari che non sono oggettivamente accettabili dai e dalle ticinesi.

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persona in telelavoro

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Frontalieri e telelavoro, un connubio da incoraggiare o no?

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La ragione principale di questo fenomeno è da addebitare all’introduzione della libera circolazione delle persone che ha effetti particolarmente negativi nelle realtà di frontiera. Bisognerebbe concedere una certa discrezionalità alle autorità cantonali in materia di permessi di lavoro e contingenti ma purtroppo questa è materia di competenza federale.

A livello cantonale noi come Lega chiediamo da tempo uno statuto speciale per il Ticino, poiché riteniamo che Berna debba riconoscere nei fatti la particolarità del nostro cantone. Aggiungo però che anche le aziende locali dovrebbero responsabilmente rifiutarsi di assumere personale sottopagato.

Mentre ritengo che l’introduzione del salario minimo senza contingentamento dei permessi di lavoro sia destinata ad essere inefficace. In proposito ho presentato in Gran Consiglio una mozioneCollegamento esterno per imporre l’obbligo di residenza per gli impieghi pubblici, cosa che il Cantone, come datore di lavoro, ha la facoltà di fare.

Fiorenzo Dadò (Il Centro)

Fiorenzo Dadò, presidente de Il Centro
Fiorenzo Dadò, presidente de Il Centro © Repubblica E Cantone Ticino / Servizio Dell’informazione E Della Comunicazione (sic) Del Consiglio Di Stato

Il problema della concorrenza dei frontalieri esiste. La pressione sul mercato del lavoro è legato essenzialmente al livello dei salari. Normalmente questa categoria di dipendenti è disposta a lavorare per retribuzioni inferiori, che sono incompatibili con il costo della vita in Ticino e più in generale in Svizzera. A questo si aggiunge il fenomeno parallelo, indotto dal primo, della sostituzione di personale indigeno con quello proveniente da oltre confine.

A livello cantonale è difficile trovare misure efficaci. Si potrebbero intraprendere diverse strade ma al momento le possibili soluzioni non sono praticabili, soprattutto per motivi di tipo legale. In quest’ottica la Confederazione dovrebbe considerare più seriamente questo problema. In proposito ritengo che nelle zone di frontiera dovrebbero essere implementate misure di protezione dei salari e a tutela dei lavoratori indigeni, come prevedono le zone a statuto speciale.

A livello locale si potrebbe poi fare in modo che, in determinati settori, parte della manodopera frontaliera si domicili in Ticino, contribuendo così all’economia della regione in cui viene esercitata l’attività professionale.

Una delle misure votate dal popolo nel febbraio 2014 (iniziativa contro l’immigrazione di massa) riguardava l’introduzione di contingenti di lavoratori provenienti dall’estero, che avrebbe potuto contribuire a frenare la sostituzione di personale locale con manodopera straniera. Ma l’applicazione legislativa dell’iniziativa popolare ha in parte depotenziato gli scopi originari della proposta.

Anche le parti sociali potrebbero però adoperarsi per estendere la contrattazione collettiva a difesa dei salariati indigeni, soprattutto nei settori privi di tutele ed esposti alla concorrenza estera, come sta purtroppo avvenendo negli ultimi anni soprattutto nel terziario.  

Laura Riget (Partito socialista)

Laura Riget, copresidente del Partito socialista, sezione Ticino
Laura Riget, copresidente del Partito socialista, sezione Ticino sp-ps.ch

Il problema non è il frontalierato in quanto tale ma il fatto che ci sia un numero così elevato di lavoratori residenti all’estero. E questo produce inevitabilmente precarietà e dumping salariale. In Ticino il salario mediano è inferiore di mille franchi in rapporto al resto della Svizzera e le persone residenti non possono accettare posti di lavoro con stipendi che non consentono di arrivare a fine mese.

La nostra proposta sul salario minimoCollegamento esterno è già un buon punto di partenza. Ovviamente, pur essendo un passo nella giusta direzione, i 19 franchi e 50, come quelli stabiliti in Canton Ticino, sono una retribuzione oraria troppo bassa. Per questo motivo abbiamo lanciato, di concerto con le organizzazioni sindacali, un’iniziativa popolare per elevare a 21 franchi e 50 la paga oraria, che consentirebbe di vivere nella Confederazione senza dover ricorrere agli aiuti sociali.

I salari minimi permetteranno in futuro di accedere a tanti posti che al momento sono preclusi ai residenti in Ticino. Poi bisogna puntare a impieghi qualificati in settori produttivi ad alto valore aggiunto.

Va poi osservato che parte delle norme sul lavoro sono cantonali e su questo piano dobbiamo assumerci le nostre responsabilità per cercare di migliorare una situazione che è oggettivamente insoddisfacente. Una delle possibili strategie di intervento consiste nell’agire a livello di contratti collettivi di lavoro nei settori dove c’è forte precarietà, come ad esempio negli studi di architettura.

Piero Marchesi (Unione democratica di centro)

Piero Marchesi, presidente dell Unione democratica di centro, sezione Ticino
Piero Marchesi, presidente dell’Unione democratica di centro, sezione Ticino parlament.ch

Che ci sia un problema sul mercato del lavoro lo dicono i numeri. I frontalieri sono una risorsa per colmare la mancanza di determinati profili professionali ma negli ultimi 20 anni si è assistito alla sostituzione di personale indigeno nel terziario: i 35’000/40’000 impieghi creati in questo settore infatti stati occupati prevalentemente da manodopera frontaliera.

L’UDC ha lanciato più iniziative, in particolare quella accettata da popolo svizzero e cantoni nel febbraio 2014 che però il Parlamento non ha voluto applicare, nonostante fosse l’unico strumento efficace per regolare il mercato del lavoro. Non siamo contrari all’apporto fornito dai pendolari residenti oltre confine ma al loro impiego in misura eccessiva rispetto alle reali necessità.

Noi ci battiamo innanzitutto per la disdetta dell’accordo di libera circolazione delle persone. Poi a livello cantonale proponiamo una strategia per migliorare le condizioni quadro in favore dell’economia allo scopo di creare impieghi qualificati e ben retribuiti. Ma questo deve passare da un accordo tra Governo cantonale e imprese che abbia l’obbiettivo esplicito di impiegare personale residente.  

Riteniamo anche che non si faccia abbastanza a Berna per risolvere la situazione. Il Consiglio Nazionale ha appena discusso (il 16 marzo scorso) una mia mozioneCollegamento esterno che chiedeva la sospensione della libera circolazione in Ticino e nelle regione colpite dalla crisi, in applicazione dell’art 14 dell’accordoCollegamento esterno.

La norma prevede la convocazione del comitato misto Svizzera-UE per permettere alle regioni economicamente in difficoltà di adottare misure, in particolare la reintroduzione provvisoria della preferenza indigena e del contingentamento dei permessi, capaci di allentare la pressione sul mercato del lavoro. Ma solo i deputati UDC l’hanno approvata, nonostante la norma avvantaggiasse in questo caso la Svizzera.  

Samantha Bourgoin (Verdi)

Samantha Bourgoin, co-coordinatrice dei Verdi Ticino
Samantha Bourgoin, co-coordinatrice dei Verdi Ticino verditicino.ch

Per i Verdi una delle questioni più rilevanti indotte dal fenomeno del frontalierato riguarda il traffico, in merito al quale abbiamo appena inviato un’interpellanzaCollegamento esterno al Governo cantonale.

Con la fine del telelavoro stiamo riscontrando, a cavallo del confine, un incremento delle auto, con conseguenti problemi di carenza di parcheggi sul posto di lavoro, multe e tensioni varie. Lo evidenzia il caos che si verifica in queste settimane alla stazione ferroviaria di Gaggiolo-Cantello.

Per risolvere questa questione proponiamo l’adozione di tutta una serie di piccole misure, come i parcheggi di interscambio (Park&Ride e Car Sharing), soprattutto sul lato italiano, per consentire il trasferimento del traffico di confine su vettori pubblici e ci opponiamo a costosi e dannosi investimenti infrastrutturali, come la progettata terza corsia autostradale a sud di Lugano. La prevista diversificazione degli interventi è sufficiente ma devono collaborare tutti gli attori, a cominciare dalle aziende (bus navetta).

In ogni caso noi siamo favorevoli a salari adeguati per tutti e per questa ragione non abbiamo nulla, a differenza di altre forze politiche, contro i frontalieri. A suo tempo avevamo proposto il salario minimo in Ticino, che non è ancora a regime, e sosteniamo le varie proposte avanzate da socialisti e MPS (Movimento per il socialismo) per ulteriori incrementi della soglia legale delle retribuzioni attualmente in discussione.

Per sollecitare la Confederazione su questo problema abbiamo depositato quattro anni fa un’iniziativa cantonale indirizzata a Berna, tuttora pendente nella Commissione economia e lavoro del Gran Consiglio ticinese, per ottenere il riconoscimento dello statuto speciale per il cantone, che ha lo scopo di consentire un’applicazione differenziata delle norme che regolano il mercato del lavoro, in particolare in tema di controlli.   

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