La chiusura delle frontiere durante il confinamento che ha accompagnato la prima ondata pandemica è stata un evento inaspettato e sotto molti aspetti destabilizzante. Questa misura non ha avuto conseguenze, già ampiamente note, solo sul Ticino, ma anche sulla Svizzera orientale: a dimostrarlo è uno studio presentato lunedì dalla conferenza dei Governi della regione.
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L’analisi svolta dall’Università di San Gallo assieme alla Scuola universitaria professionale dei Grigioni è arrivata alla conclusione che il commercio internazionale in questa regione ha sofferto in misura maggiore rispetto ad altre zone di frontiera della Svizzera.
Beat Tiner, consigliere di Stato del Canton San Gallo spiega che il suo cantone “ha sofferto perché mancava il personale specializzato, ad esempio per la manutenzione di macchinari. Complessivamente posso però dire che abbiamo gestito bene questo momento e l’economia e l’industria si sono riprese.
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La chiusura delle frontiere ha ridotto anche la mobilità e a risentirne è stato in particolare il turismo degli acquisti, che da allora è cambiato: “È stato spaventoso vedere come il commercio online è cresciuto durante la pandemia. Una tendenza che continuerà anche in futuro. Il commercio al dettaglio dovrà adattarsi al di là e al di qua della frontiera” secondo il consigliere di Stato turgoviese Walter Schönholzer.
Le 84 pagine dello studio non contengono però solo analisi e suggerimenti, ma pure un appello da parte dei Governi della Svizzera orientale. Lo spiega Jon Domenic Parolini, presidente Conferenza Governi della Svizzera orientale: “Una regione di confine ha delle sue particolarità che, secondo le conclusioni dello studio, andrebbero in futuro considerate di più.”
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