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Quei mori che a Zurigo ad alcuni non piacciono

scritta Zum Mohrentanz
Scritta "Zum Mohrenkopf" sopra la porta di un edificio di Zurigo. © Keystone / Gaetan Bally

Le scritte "Zum Mohrenkopf" e "Zum Mohrentanz", presenti su due edifici di Zurigo e considerate razziste, restano dove sono (per ora). Non è la prima volta in Svizzera che il passato imbarazza al punto che c'è chi lo vorrebbe dimenticare.

Non solo di libri si occupano il “wokismo” e la “cancel culture” (cultura della cancellazione): il consiglio municipale della città di Zurigo ha voluto cancellare le scritte presenti su due edifici, proprietà della Città, che fanno riferimento ai Mori. La prima è “Zum Mohrenkopf” (alla testa di Moro) e l’altra “Zum Mohrentanz” (alla danza dei Mori). Inaccettabili perché razziste, dicono le consigliere e i consiglieri municipali, che nell’aprile del 2021 ne hanno annunciato la rimozione. Qualche mese dopo, però, è stato deciso di non cancellarle, ma di coprirle. Al contempo è stato anche commissionato al Politecnico federale di Zurigo (ETHZ) un rapporto sulla loro origine. Questo rapporto è stato reso noto martedì. Intanto, lo scorso 22 marzo il Tribunale dei ricorsi in materia edilizia ha accolto il ricorso di Heimatschutz (difesa del patrimonio) contro la copertura delle scritte e le autorità cittadine hanno deciso di portare il caso davanti all’istanza successiva, ossia il Tribunale amministrativo cantonale.

Moro – in origine il termine era usato per denominare degli abitanti della Mauritania. In seguito è stato esteso ad altre popolazioni africane e in particolare gli invasori musulmani che occuparono parte della penisola iberica dal 711 fino al 1492. Più tardi è diventato un termine per indicare i maghrebini in contrapposizione a europei e, più in generale, per distinguere i musulmani dagli abitanti cristiani d’Europa. Il termine ha da sempre avuto una connotazione peggiorativa.  

Le conclusioni dello studio sono a dir poco curiose: le scritte sono state aggiunte più tardi di quanto si potrebbe pensare, ossia alla fine del XX secolo, anche se gli edifici sui quali si trovano sono molto più vecchi. Secondo la storica Ashkira Darman, autrice dello studio di 124 pagine, svolto in collaborazione con il collega Bernard Schär, non c’è nessuna traccia delle iscrizioni né in un inventario del 1918 e nemmeno in alcune fotografie della prima metà dello scorso secolo. 

Una città vecchia (re)inventata

Per la studiosa le scritte sono state create in un processo che potrebbe essere descritto come “invenzione della città vecchia”. Nei primi decenni del secolo scorso il centro storico di Zurigo è stato riqualificato e per questo motivo non è stato possibile stabilire “una tradizione storica ininterrotta”.

È comunque indiscutibile che i due edifici abbiano portato in passato – e a lungo – il nome che figura attualmente sulle loro facciate. In particolare per quanto riguarda “Zum Mohrenkopf”: la famiglia di Jakob Schultheiss cui apparteneva in precedenza la casa portava il “moro” in alcune varianti del suo stemma, poiché impiegava dei mori nelle loro armerie. Meno chiaro invece, da dove provenga la dicitura “zum Mohrentanz”: quello che è certo (e documentato), però, è che se ne parla in un registro del 1682.

La prima cittadina di Zurigo Corine Mauch ha accolto le conclusioni dello studio dell’ETHZ con entusiasmo poiché permettono, ha detto, di capire “quanto la nostra società sia stata segnata per secoli da stereotipi razzisti” dei quali ora si può “essere consapevoli per tentare di superarli”.

Le associazioni di difesa del patrimonio hanno dal canto loro ribadito a più riprese che lasciare le scritte non significa promuovere o sostenere il razzismo. La loro proposta è quella di lasciarle, aggiungendo accanto a loro dei cartelli che le contestualizzino nel periodo storico cui appartengono.

Statue, dolci, libri, musica

Nessuna pace per i mori, insomma, che già sono stati al centro delle polemiche quando si è deciso di rinominare i dolcetti fatti con biscotti e albumi montati a neve ricoperti di cioccolato: da “teste di moro” o “negretti” sono diventate “teste di cioccolato” (anche se alcune pasticcerie, creando regolarmente malumori, hanno deciso di mantenere la nomenclatura originale). L’episodio che vi abbiamo appena raccontato è solo l’ultimo di una serie di azioni volte a cambiare un passato che, alla luce della consapevolezza moderna, suscita – se non vergogna – perlomeno un certo disagio. Nelle ultime settimane ha fatto scalpore la notizia che le opere di Roald Dahl, nell’ultima edizione proposta dalla casa editrice Puffin Books, sono state modificate perché ritenute troppo “offensive”. È così che sono sparite le parole come “grasso”, “pazzo”, “nano” e sono state sostituite da “enorme”, “con qualche problema” e “particolarmente basso”.

statua
La statua di David de Pury a Neuchâtel. © Keystone / Jean-christophe Bott

Una “woke culture” che si è risvegliata con il movimento #blacklivesmatter e che ha toccato anche altri aspetti della vita in Svizzera. Nella città di Neuchâtel, per esempio, la statua di David de Pury era stata vandalizzata nel 2020, poco dopo il lancio di una petizione che chiedeva di rimuoverla. Il controverso uomo d’affari, grande benefattore della città (ragione per la quale gli è stata dedicata la statua, eretta nella piazza che porta il suo nome), aveva fatto fortuna nel XVIII secolo sul mercato di diamanti e legname prezioso grazie alla tratta di schiavi. Due anni dopo, la Città, che non ha voluto rimuovere l’opera, ha fatto i conti con il suo passato aggiungendo un cartello sul quale vengono contestualizzate la vita e la storia del negoziante e si rende omaggio a tutte le persone che sono state private della loro libertà, sfruttate e disumanizzate a causa del lavoro di de Pury. 

“Wokismo” che non si ferma qua: sempre a Neuchâtel il nome dello spazio sul quale sorge la facoltà di lettere è stato cambiato da Louis Agassiz (noto glaciologo accusato di aver promosso il razzismo) a Tilo Frey (pioniera dell’emancipazione femminile e delle minorità etniche in Svizzera).

Anti-wokismo come campagna elettorale

Quelli del “wokismo” e della “cancel culture” sono temi in voga e, in vista delle elezioni federali svizzere, c’è chi ha voluto puntare su di essi parte della campagna elettorale in vista delle elezioni federali in ottobre. L’Unione democratica di centro (UDC, destra conservatrice) ha dichiarato guerra al wokismo: “Il partito si oppone fermamente alla società woke, in cui una piccola minoranza intollerante vuole determinare come la maggioranza debba comportarsi”, ha spiegato la deputata Esther Friedli, responsabile del programma del partito. Secondo gli esperti, comunque, non sarà l’argomento vincente per il partito: “Anche se non farà guadagnare voti, l’anti-wokismo permette all’UDC di mobilitare la sua base”, ha dichiarato il politologo Sean Müller a SWI Swissinfo.ch.

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