Mezzo secolo dal golpe cileno, la dolorosa testimonianza di un esule
Il ricordo di un accademico cileno, arrestato e torturato dai militari dopo il golpe del 1973, riuscito successivamente a riparare in Svizzera, dove vive tuttora.
“Per superare il dolore della tortura gridavo più di loro, li insultavo e davo così sfogo alla sofferenza”. Così racconta J.G. (iniziali di fantasia), ex professore di arti visive all’Università di Conception, capitale dell’omonima provincia cilena, che ci parla della sua odissea iniziata 17 giorni dopo il famigerato golpe dell’11 settembre 1973, quando i carabineros lo prelevarono da casa sua.
La sua unica colpa era quella di militare nel MAPU, piccola formazione proveniente dalla sinistra cattolica che appoggiava Unitad Popular, l’alleanza del presidente Salvador Allende, inviso alla destra cilena che, con l’appoggio più o meno diretto della CIA, sostenne il sanguinoso colpo di Stato del generale Augusto Pinochet.
tvsvizzera.it: Che ricordi ha di quel tragico 11 settembre 1973?
J.G.: Paradossalmente, i miei ricordi sono iniziati il giorno prima. Finito il corso di disegno architettonico all’Università Cattolica che tenevo la sera, sono passato davanti alla caserma del reggimento Chacabuco per prendere il bus e ho notato che diverse compagnie di soldati erano in formazione con le uniformi da combattimento.
“Per superare il dolore della tortura gridavo più di loro, li insultavo e davo così sfogo alla sofferenza”.
J.G., ex professore dell’Università di Conception
Gli ufficiali davano ordini frenetici e successivamente i militari si sono messi a cantare marce marziali a squarciagola. Il giorno seguente ho capito che ero stato testimone involontario dei preparativi del golpe. La notizia l’ho ricevuta ascoltando la radio che la mattina presto, a reti unificate, trasmetteva musica militare e testi patriottici.
Mi sono alzato velocemente e, senza prendere neanche un caffè, sono corso all’Università. Nelle strade c’erano militari in ogni angolo e nel centro della città sui balconi si vedevano bandiere cilene e persone, appartenenti ai ceti benestanti, che facevano tifo da stadio al passaggio dei soldati. L’Università era occupata dalle forze dell’ordine, come tutto il resto del Paese, e non era ormai più nostra.
J.G. è nato proprio l’11 settembre 1943 (“Non posso più festeggiare il mio compleanno”). Prima del golpe insegnava arti visive all’Università di Conception, nel Cile centro-meridionale e militava nel MAPU, piccolo partito di sinistra fuoriuscito dalla gioventù democristiana che stava nella coalizione (Unidad Popular) che dal 1970 al 1973 ha sostenuto il presidente socialista Salvador Allende. Alle municipali del 1973, alcuni mesi prima del colpo di Stato, si è candidato nella sua provincia (Conception). 17 giorni dopo il golpe militare è stato arrestato e da lì è iniziato il suo calvario fatto di 11 lunghissimi mesi in campo di concentramento, nella base navale di Talcahuano, dove ha subito violenze di ogni tipo. Dopo sei mesi di arresti domiciliari è stato rilasciato ma sotto la dittatura di Pinochet ha trovato solo porte chiuse. Nel 1978 finalmente è riuscito a uscire dal Paese e a riparare in Ticino, grazie all’aiuto di suoi connazionali presenti nel cantone e alla solidarietà di molti ticinesi. Da quel giorno non ha più fatto ritorno nel suo paese d’origine e ora vive nel Luganese.
Quale è stata la sua reazione?
Di disperazione e impotenza. Ho subito fatto di tutto per comunicare con famigliari, conoscenti e amici ma erano tutti irreperibili. Mi sono allora attaccato alla radio per sapere le ultime notizie, soprattutto quelle provenienti da Santiago. Ho ascoltato con profonda emozione le ultime parole del presidente Allende. Ma una dopo l’altra le emittenti libere, che avevano continuato a trasmettere, hanno smesso di funzionare. La disperazione è giunta quando si è saputo del bombardamento del palazzo della Moneda e della morte del presidente.
Cosa è successo dopo?
Dopo le prime ore di confusione e incredulità è cominciata la repressione sistematica. A poco a poco sono arrivate le notizie dei primi arresti, che sono divenute una triste consuetudine quotidiana. I coprifuoco allungavano le notti e le riempivano di paura. Tutte le sere si sentivano delle sparatorie e veicoli che transitavano lentamente per le strade deserte.
Altre volte sfrecciavano veloci per poi effettuare brusche frenate: tutto questo per infondere terrore. Nel frattempo marinai, soldati e poliziotti continuavano a prelevare gente, con destinazione sconosciuta, dalle loro abitazioni. Questa incertezza aggiuntiva avvelenava l’anima di ognuno: oltre alla guerra fatta con le pallottole, hanno condotto una spietata guerra psicologica.
Il servizio video del settimanale di informazione ReporterCollegamento esterno, due mesi dopo il golpe dell’11 settembre 1973, dell’allora Televisione della Svizzera italiana (TSI).
Come è avvenuto il suo arresto?
Un giorno a fine settembre, prima delle 9:00 del mattino, i carabineros hanno circondato l’isolato e si sono presentati in casa, domandando di me e, quando mi sono presentato, mi hanno comunicato che li dovevo accompagnare in caserma dopo la perquisizione dell’appartamento.
Il sergente mi ha domandato perché mi arrossivo gli occhi leggendo tutti quei libri. In caserma mi hanno lasciato in sala d’aspetto fino alle quattro del pomeriggio, trattandomi normalmente. All’improvviso sono arrivati diversi veicoli a tutta velocità, dai quali sono scesi civili e hanno portato via diverse persone che si trovavano segregate nelle celle interne.
“Non potevo camminare e ogni volta che dovevo orinare sentivo un bruciore insopportabile che si trasformava in una nuova tortura”.
J.G., ex professore all’Università di Conception
Il loro atteggiamento è cambiato e con modi bruschi mi hanno detto che anche io dovevo partire. Mi hanno scaraventato in un furgone e siamo partiti a tutta velocità verso una meta sconosciuta. Ci hanno portato nei seminterrati della sede della polizia civile e separati in piccole celle. Dopo è iniziata la tortura (…).
Dopo le torture cosa è successo?
Il ritorno in caserma dopo le sevizie l’ho fatto in un camion scoperto, nel quale ci hanno messi uno sopra l’altro. Gli altri detenuti si sono sacrificati per tenermi sopra di loro, evitando così che rimanesse schiacciato il mio corpo dolorante. Mi sento per questo di doverli ancora ringraziare.
Quando siamo arrivati ho ricevuto la solidarietà dei delinquenti comuni che mi hanno fatto bere caffè caldo, massaggiato tutto il corpo e per finire mi hanno avvolto in una coperta per scaldarmi. Erano veramente spaventati per il mio pietoso stato. Il passo seguente fu il mio trasferimento alla base navale di Talcahuano, dove sono arrivato in condizioni precarie: non potevo camminare e ogni volta che dovevo orinare sentivo un bruciore insopportabile che si trasformava in una nuova tortura.
Mi hanno portato all’ospedale navale e qui non dimenticherò mai il medico, un uomo di circa 45 anni, alto, stempiato e freddo che dopo un sommario esame mi ha prescritto un paio d’aspirine, dicendo alla guardia che potevano continuare con il mio trattamento, ossia potevo essere ancora torturato.
Che ricordo ha degli undici mesi passati nella base navale di Talcahuano?
Ci avevano portato in un impianto sportivo. Non ci potevamo lavare, né fare la doccia. Dopo una settimana la mia camicia bianca era diventata nera. Di giorno ci tenevano nelle gradinate, dove normalmente siede il pubblico, durante la notte dovevamo dormire per terra con una coperta.
Quando volevamo andare in bagno ci puntavano il mitra o il fucile sia all’andata che al ritorno. Lì sono stato pestato da un karateka e successivamente da due guardie, con il calcio del fucile. Un giorno un ufficiale mi ha comunicato che mi mandavano a riposare all’isola Quiriquina. Sulla nave c’erano diversi prigionieri, tra i quali il deputato comunista Quintana, rappresentante della nostra provincia, il quale ci raccontava di sentirsi quasi male per il fatto di essere stato risparmiato dagli aguzzini.
“Un medico sulla quartantina, alto, stempiato e freddo, dopo un sommario esame mi ha prescritto un paio d’aspirine, dicendo alla guardia che potevano continuare con il mio trattamento, ossia potevo essere ancora torturato”.
J.G., ex professore all’Università di Conception
Ma un giorno lo hanno prelevato e al ritorno era così malmesso che non poteva né muoversi, né parlare e per mangiare lo dovevamo imboccare. Durante una delle successive notti è sparito e il giorno seguente abbiamo saputo dai giornali di regime che era stato ucciso nel corso di un improbabile tentativo di fuga.
Quale altro episodio ricorda, in particolare, di quel periodo?
Il caso del medico Villagrán, al quale non avevano torto neanche un capello ma lo costringevano a stare in una delle camere di tortura. Doveva assistere alle sevizie per dare alla fine un parere medico sulle condizioni di salute dei prigionieri e sulle capacità degli stessi di continuare il martirio. Alla fine non ha più resistito e si è impiccato in una delle torrette delle guardie. Ho visto quando lo tiravano giù.
Un altro caso toccante fu quello di un dirigente sindacale di origine mapuche, che avevano dato per morto dopo averlo letteralmente scotennato. Solo grazie alla tenacia di un medico, che gli ha salvato la vita, è ricomparso una notte tra lo stupore di tutti nello stadio. E’ subito scoppiato un applauso spontaneo e ci siamo messi a cantare a squarciagola Venceremos, con le guardie che ci puntavano le loro armi, non sapendo bene cosa fare per far terminare la canzone.
Salvador Allende vinse le elezioni presidenziali del 1970 alla testa della coalizione di sinistra Unidad Popular con il 36,3% dei voti, davanti al candidato conservatore Jorge Alessandri Rodriguez (35,8%). Con l’appoggio della Democrazia cristiana il Congresso lo ha quindi designato alla presidenza e il suo Governo ha subito intrapreso un vasto programma di riforme sociali (sanità, scuola e agricoltura), tra le quali la nazionalizzazione delle miniere di rame in mano a società statunitensi. La forte inflazione e le difficoltà nelle esportazioni di rame fecero crescere le proteste di alcuni ceti sociali, che organizzarono una serie di scioperi. Nonostante la crescita nelle legislative del 1973 di Unidad Popular (socialisti, comunisti, radicali, MAPU), che superò il 43% dei consensi, il Governo si è trovato ad affrontare la forte opposizione del parlamento nel quale la Democrazia Cristiana si era spostata all’opposizione insieme al Partito Nazionale. La crisi fu risolta dal generale Augusto Pinochet, appena designato dallo stesso Salvador Allende alla testa delle forze armate, che ordinò il bombardamento del palazzo presidenziale.
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